PRIMA PARTE
LA VERGINE MARIA E LA VITA CONSACRATA
ALL’ALBA DEL TERZO MILLENNIO

La metafora dell’alba

4.   «S’avvicina il terzo millennio della nuova era».6 Con queste parole Giovanni Paolo II inizia la lettera apostolica sulla «preparazione del Giubileo dell’anno duemila». Come tutta la Chiesa, l’Ordine deve prepararsi adeguatamente a tale celebrazione giubilare, perché l’anno commemorativo del bimillenario della nascita di Cristo Signore costituisca anche per noi, Servi e Serve di santa Maria, un evento di grazia e un motivo di confortante speranza.
     Nella lettera apostolica Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994) il Santo Padre ha dato a tutta la Chiesa, e con essa agli Istituti di vita consacrata, varie indicazioni per una fruttuosa preparazione del Grande Giubileo: ne ha fissato la fase antepreparatoria e quella preparatoria;
7 ha osservato che «la migliore preparazione alla scadenza bimillenaria» consisterà «nel rinnovato impegno di applicazione [...] dell’insegnamento del Vaticano II alla vita di ciascuno e di tutta la Chiesa»;8 ha rilevato come sia giusto che la Chiesa, alla soglia del nuovo millennio, spinga «i suoi figli a purificarsi, nel pentimento, da errori, infedeltà, incoerenze, ritardi»;9 ha indicato vari campi di azione apostolica e ha insistito sulla necessità di una nuova evangelizzazione e di un incremento dell’impegno ecumenico;10 ha richiamato le urgenze pastorali riguardanti la famiglia e i giovani; ha mostrato infine come, per il fatto stesso che il mistero di Cristo è l’oggetto centrale del Giubileo del duemila, la Madre, la Vergine Maria, dovrà essere convenientemente associata alla celebrazione del Figlio: «È nel suo grembo che il Verbo si è fatto carne! L’affermazione della centralità di Cristo non può essere disgiunta dal riconoscimento del ruolo svolto dalla sua Santissima Madre».11 Indicazioni tutte che dovranno trovare cordiale accoglienza presso le nostre comunità.

5.    Concludendo questo cenno alla lettera Tertio millennio adveniente, desideriamo soffermarci un momento sui valori simbolici insiti in un termine che ricorre spesso in riferimento all’anno 2000, e che figura pure nel titolo di questa Prima Parte: alba. L’alba indica la prima luce nel cielo dopo la tenebra della notte: prelude all’aurora. Essa è l’ora trepida della risurrezione di Cristo; l’ora del risveglio dal sonno inerte alla vigile azione; dell’offerta delle primizie della preghiera; ora soffusa di speranza, densa di propositi; l’ora in cui la terra si bagna di rugiada, simbolo a sua volta dell’azione fecondante dello Spirito.
     Il simbolismo cosmico dell’aurora è stato usato, fin dall’antichità, per indicare il rapporto tra Cristo, vero sole di giustizia (cf. Ml 3, 20) e salvatore universale, e Maria di Nazaret che, avendolo preceduto, è giustamente salutata quale «aurora della salvezza».
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     L’augurio che scaturisce dal simbolo dell’alba è chiaro: possa l’anno duemila essere per l’Ordine, per dono dello Spirito — dono che non esclude l’impegno — un tempo di risveglio e un’ora di speranza. Ne abbiamo bisogno. Augurio peraltro che, se ci è consentito, rivolgiamo fraternamente ad ogni Istituto di vita consacrata, ad ogni Società di vita apostolica.

Sezione prima
Le ragioni di una consonanza profonda

La Vergine Maria: una «presenza materna»

6.    Ormai può ritenersi un dato acquisito: tutti gli Istituti riconoscono in Maria di Nazaret una «presenza materna», che crea vincoli di comunione tra i loro membri, una sorgente ispiratrice del loro stile di vita, un modello compiuto di radicalismo nella sequela di Cristo.13
     L’esperienza è universale; il fatto, antico. Ciò nondimeno esso è singolare: perché il contesto esistenziale in cui si svolse la vita di Maria di Nazaret — donna sposata, madre di famiglia — è profondamente diverso da quello in cui si configura la vita consacrata: la scelta del celibato per il Regno (cf. Mt 19, 10-12), la convivenza fraterna regolata da specifici ordinamenti e condotta sotto la guida di un membro della comunità. Non c’è dubbio, ad esempio, che l’amore sponsale di Maria per Giuseppe di Nazaret fu di natura diversa dall’amore che unisce i fratelli o le sorelle di una comunità animata da vera carità; come pure l’esperienza della maternità — Maria ebbe un figlio nato dalla propria carne — non è partecipata da chi, abbracciando la vita consacrata, offre al Signore la propria verginità.
     Questa diversità di situazioni non turba coloro che hanno scelto la via della vita consacrata. Essi sanno che nel cristianesimo non sono infrequenti i paradossi e che Dio, nella sua infinita sapienza, compone mirabilmente ciò che agli occhi dell’uomo appare contraddittorio. Nel caso nostro: colei che è salutata come vergine integerrima è proposta ai fedeli come madre esemplare di famiglia.
     A questo punto ci si deve domandare: perché, nonostante la diversità del contesto esistenziale, si riscontra una così profonda consonanza tra la vita consacrata e la Madre del Signore? Oggi — ci sembra — vengono indicati i seguenti motivi.

Maria, donna consacrata dallo Spirito

7.    Qualunque espressione di ‘vita consacrata’ sussiste e si definisce unicamente in riferimento a Cristo, a «colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo in modo supremo (cf. Gv 10, 36)».14 Gesù, colui sul quale si è posato lo Spirito (cf. Is 11, 2; 61, 1; Mt 3, 16; Lc 4, 17-18), è infatti l’Unto di Dio: «per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4, 18). In Cristo «si riassumono tutte le consacrazioni dell’antica Legge» e in lui e per lui «è consacrato il nuovo popolo di Dio».15
     I discepoli del Signore, in virtù dei sacramenti del battesimo e della confermazione, sono immersi nella Pasqua di Cristo e divengono partecipi del dono della Pentecoste. Sono un popolo di consacrati, pienamente abilitati a offrire al Padre per Cristo nello Spirito il «culto spirituale» gradito a Dio (cf. Rm 12, 1), «resi capaci di vivere in pienezza le esigenze del discepolato e della missione».
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     Tuttavia il Signore elargisce ad alcuni, in vista del bene di tutti, il dono di una «consacrazione particolare» — quella della sequela di Cristo attraverso la professione dei consigli evangelici —, «che è intimamente radicata nella consacrazione battesimale e ne è un’espressione più piena».
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     Come è noto esistono opinioni differenti sulla natura della consacrazione religiosa. Non è nostra intenzione entrare in questa disputa teologica, ma ci sembra che dai pronunciamenti del Magistero, dalle indicazioni della Liturgia18 e dagli scritti dei teologi della vita consacrata emerga il convincimento che due elementi concorrono armonicamente, ciascuno secondo la propria natura, a configurare la consacrazione religiosa: l’azione dello Spirito e la volontà dell’uomo, sostenuta dalla grazia.

8.    La consacrazione è essenzialmente opera dello Spirito. Da qui deriva — ci sembra — uno dei motivi principali dell’intrinseco riferimento della vita consacrata alla beata Vergine: ella è, per eccellenza, la donna consacrata dallo Spirito.
     In Maria, «dallo Spirito Santo quasi plasmata e resa una nuova creatura»,19 il momento iniziale dell’esistenza, in cui ella è già ricolma «dell’abbondanza di tutti i doni celesti»,20 coincide con quello della sua consacrazione. Santificata dallo Spirito e da lui intimamente dedicata a Dio, Maria divenne tempio del Signore, talamo riservato al Verbo, sacrario dello Spirito.
     Ma soprattutto nell’evento dell’incarnazione del Verbo, Maria fu consacrata dallo Spirito: «Lo Spirito Santo scenderà su di te» (Lc 1, 35). Lo Spirito è il soffio divino, la potenza creatrice e consacratrice dell’Altissimo — unzione sovrabbondante — che avvolge e permea Maria consacrandola tutta, fecondandone il grembo verginale, dedicandola all’incomparabile missione di essere la Madre del Salvatore. In virtù della ‘discesa dello Spirito’ in lei, Maria divenne la «Vergine sacratissima», come la chiama la tradizione liturgica, «la più pienamente consacrata a Dio, consacrata nel modo più perfetto».
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     I membri degli Istituti di vita consacrata amano posare lo sguardo su Cristo, il Consacrato, di cui ogni pensiero e ogni gesto sono volti unicamente alla gloria del Padre e alla salvezza del genere umano. Tale sguardo contemplativo è per essi motivo di letizia e sorgente di ispirazione per la vita; ma esso, quanto più è intenso, tanto più scorge accanto a Cristo la figura di Maria, la consacrata per grazia, anch’essa totalmente dedita a compiere la volontà salvifica del Padre. Allora essi avvertono più nitidamente che la consacrazione derivante dalla professione è, in linea battesimale, grazia e dono dello Spirito, azione sua, unzione santa che prolunga nei loro cuori ciò che compì nel cuore di Cristo e nel cuore della Vergine.

Maria, donna fedele alla vocazione

9.    Gesù è il Figlio. Egli, come è ‘il consacrato’ supremo, così è ‘il chiamato’ nel modo più alto e alla più alta missione: compiere la salvezza del genere umano, restituendogli l’immagine divina perduta e reintroducendolo nella intimità con Dio. A questa vocazione egli rispose con assoluta adesione alla volontà del Padre: «entrando nel mondo, Cristo dice: [...] Ecco io vengo [...] per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10, 5. 7; cf. Sal 40, 7-9). Nei momenti essenziali della missione salvifica Gesù rinnova il suo totale assenso al progetto del Padre e questi ratifica la sua identità filiale (cf. Mt 3, 17; Mc 1, 11; Lc 3, 22; Gv 12, 23-24. 28).
     Ma ogni cristiano è stato pure oggetto di un’altissima vocazione: divenire in Cristo, per grazia dello Spirito (cf. Gal 4, 6; Rm 8, 14-16), figlio di Dio (cf. 1 Gv 3, 1-2). Perciò egli — come esorta l’Apostolo — deve vivere «in maniera degna della vocazione» che ha ricevuto, «con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza» (Ef 4, 1-2). D’altra parte la vocazione a divenire figli di Dio si identifica con l’«universale vocazione alla santità», sulla quale il Concilio Vaticano II 22 e altri documenti magisteriali
23 hanno richiamato l’attenzione della comunità ecclesiale. Il discepolo del Signore infatti è chiamato a portare fino alle conseguenze ultime la sua vocazione: giungere «allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4, 13).
     Nel linguaggio ecclesiale tuttavia il termine ‘vocazione’ non viene usato ordinariamente in riferimento alla chiamata battesimale, ma alla chiamata al ministero ordinato o alla vita consacrata. La ragione di ciò è probabilmente da vedersi nel fatto che per la maggior parte di noi la chiamata battesimale non ha costituito, al momento del battesimo, una cosciente esperienza esistenziale: per pura grazia e per l’amorevole cura della Chiesa e dei nostri genitori abbiamo ricevuto il battesimo nei primi giorni della nostra vita. E poi, via via che la nostra intelligenza si apriva alla conoscenza della verità e il nostro cuore all’esperienza dell’amore, abbiamo appreso a riconoscere Dio quale nostro Padre e quindi a rivolgerci a lui chiamandolo «Padre nostro» (Mt 6, 9).

10.    Ben altra è l’esperienza della chiamata alla vita consacrata. Nella dialettica della vocazione chiamata e risposta — abbiamo vissuto un paradosso: nell’oscuro linguaggio degli avvenimenti abbiamo avvertito con chiarezza che Dio ci chiamava alla vita consacrata e attendeva da noi una risposta ‘libera’, che tuttavia noi sentivamo ‘obbligata’ per l’obbedienza dovuta al Signore che si manifesta (cf. Rm 1, 5; 16, 26). Ed ancora, abbiamo compreso che la nostra risposta doveva essere totale e definitiva; maturata nella fede e strettamente personale, eppure bisognosa del riconoscimento della comunità e della garanzia della Chiesa.
     La riflessione sulle ‘esigenze della risposta’ ha suscitato, fin dall’antichità, nei chiamati alla vita consacrata il bisogno di rivolgersi alla divina Scrittura per trovarvi modelli genuini di adesione alla chiamata di Dio. Così l’eroica risposta di Abramo (cf. Gen 12, 1-4), il pronto accoglimento della Parola da parte del giovanetto Samuele (cf. 1 Sam 3, 1-10), il generoso slancio di Isaia (cf. Is 6, 8), il sofferto assenso di Geremia (cf. Ger 1, 4-10), l’immediato distacco di Eliseo dalla casa paterna per seguire Elia (cf. 1Re 19, 19-21) e, nelle pagine del Vangelo, la sollecita risposta di Simone e Andrea, di Giacomo e Giovanni (cf. Mt 4, 18-22), di Filippo di Betsaida (cf. Gv 1, 43-46), di Matteo il pubblicano (cf. Mt 9, 9) e di molti altri all’invito del Maestro, sono divenuti punto di riferimento per quanti, lungo i secoli, si sono sentiti chiamati dal Signore.24 Modelli vocazionali di grande valore.

11   Tuttavia i membri degli Istituti di vita consacrata hanno trovato in Luca 1, 26-38 il modello vocazionale più alto: quello offerto da Maria di Nazaret. Straordinaria, la vocazione di Maria: divenire la madre verginale del Figlio di Dio Salvatore; straordinaria, l’adesione della Vergine: il «sì» più puro e più intenso che mai sia stato pronunziato da una creatura in risposta ad un progetto del Creatore.
     Poche pagine del Vangelo sono state oggetto di tanto studio e meditazione quanto la pericope lucana, che è insieme annuncio di nascita, narrazione con elementi propri dei formulari di alleanza, racconto di vocazione.25 Essa è stata sorgente di ispirazione per un’ingente produzione liturgica, omiletica, innografica, ascetica, artistica.
     In questo concento di voci, i membri degli Istituti di vita consacrata hanno approfondito soprattutto le molteplici sfaccettature del fiat della Vergine nazaretana. Ai loro occhi esso è apparso espressione di libertà e di sapiente discernimento (cf. Lc 1, 34): fiat, frutto della grazia, perché solo un cuore illuminato dalla luce dello Spirito e sostenuto dall’energia dell’Alto (cf. Lc 1, 35; 24, 49; At 1, 8) poté pronunziare la parola che introduceva l’Eterno nel tempo e faceva del Figlio di Dio il Figlio dell’uomo; fiat verginale, scaturito da un cuore nuovo, ignaro di infedeltà e di menzogna (cf. Ez 36, 26-27); fiat sponsale, per cui il grembo della Figlia di Sion divenne talamo delle nozze fra il Verbo divino e la natura umana; fiat «filiale e materno»,26 di chi ha coscienza di essere figlia di Dio e che il suo consenso è ordinato alla maternità messianica (cf. Lc 1, 30-33); fiat, parola di alleanza, compimento del fiat di Israele al Sinai (cf. Es 19, 8),27 inizio del patto nuovo tra Dio e l’umanità, che sarà sancito nel sangue dell’Agnello (cf. Mc 14, 24; Lc 22, 20; Mt 26, 28; 1 Cor 11, 25; cf. Es 24, 8); fiat, manifestazione di consenso totale — riguarda lo spirito, l’anima e il corpo della Vergine — e definitivo — si prolunga durante tutta la sua vita, fino al Calvario (cf. Gv 19, 25-27),28 e alla pienezza pentecostale della Pasqua (cf. At 1, 12-14; 2, 1-4) —; fiat grave del peso di tutte le generazioni, perché — spiega un frate teologo, Tommaso d’Aquino - esso fu pronunziato a nome di tutta l’umanità;29 fiat, momento essenziale della nuova creazione, ché quasi parola creatrice, concorre alla formazione dell’Uomo nuovo, Cristo Gesù, capostipite dell’umanità rinnovata; fiat obbediente, espressione genuina della spiritualità dei «poveri del Signore»,30 che cancella la disobbedienza primordiale (cf. Gen 33 1-6) con una parola di docile amore; fiat di pace, parola che congiunse il cielo e la terra, riconciliò il Creatore con la creatura,31 fiat di misericordia, gesto di compassione verso l’umanità ferita dal peccato, da parte di una figlia di Adamo, privilegiata ma solidale con i fratelli.32
     Si comprende allora come la Chiesa proponga la beata Vergine, «per la sua incondizionata risposta alla vocazione divina», quale «modello della totale donazione a Dio»,33 e come i candidati alla vita consacrata, dovendo assumere, sotto 1’influsso della grazia, in libertà ed amore, 1’impegno totale e definitivo di seguire radicalmente Cristo e di dedicarsi pienamente al servizio del Regno, volgano lo sguardo alla Vergine dell’Annuncio e vedano in lei l’esempio supremo di «donna fedele alla vocazione».

12.    Come in tutti gli Istituti di vita consacrata, anche nella Famiglia Servitana la Vergine dell’Annuncio è oggetto di serena contemplazione e di riverente amore.
     La figura della santissima Annunziata si ricollega alle origini stesse dell’Ordine: la Vergine del celebre affresco del santuario fiorentino, nella sua mdefinibile bellezza, nel suo atteggiamento accogliente, è per tutti i Servi e le Serve di Maria segno-memoria, che rinvia alla parola-evento, il fiat salutare, la risposta che vorremmo sgorgasse costantemente dal nostro intimo e fosse continuamente sulle labbra per esprimere l’adesione al progetto di Dio su di noi.
     Del costante amore dei Servi alla Vergine dell’Annunciazione sono testimonianza: le numerose chiese dell’Ordine dedicate a questo mistero; il dettato costituzionale che ricorda come, in ogni tempo, i nostri frati «dal ‘fiat’ dell’umile Ancella del Signore hanno appreso ad accogliere la Parola di Dio e ad essere attenti alle indicazioni dello Spirito»;34 la preghiera che i Servi e le Serve di Maria, celebrando la Vigilia de Domina, rivolgono «Alla Vergine del ‘fiat’»;35 la rinnovata attenzione per il pio esercizio dell’Angelus Domini.36

Maria, la prima e perfetta discepola

13   Il fondamento teologico della vita consacrata è Cristo stesso — la sua persona, il suo messaggio, il suo stile di vita —. Come insegna il Vaticano II, «il raggiungimento della carità perfetta per mezzo dei consigli evangelici trae origine dalla dottrina e dagli esempi del divino Maestro».37 Senza quella dottrina, dunque, e senza quegli esempi non sarebbe mai sorta nella Chiesa la particolare forma di vita cristiana che chiamiamo «vita consacrata». Essa, come quella di ogni altro battezzato, si configura nei confronti di Cristo in termini di discepolato e di sequela. Una sequela che si vuole totale, radicale, riproducente, per quanto è possibile, il ‘progetto esistenziale’ che il Signore attuò sulla terra e, a partire dal quale, annunziò il Regno e compì l’opera della salvezza. Tale progetto ebbe, quali linee fondamentali, la scelta di una vita verginale, vissuta in volontaria povertà, in obbedienza amorosa alla Legge e alla parola del Padre, e la costituzione di una comunità di discepoli uniti da vincoli fraterni (cf. Mt 23, 8) e di reciproco servizio (cf. Gv 13, 14-15), protesa all’edificazione del Regno.

14   Negli ultimi trent’anni la riflessione degli esegeti e dei teologi sulla Vergine, riprendendo un filone patristico,38 ha valorizzato la visione della Vergine quale «discepola del Signore». Ne fu antesignano Paolo VI. Egli, nella celebre allocuzione di chiusura della III Sessione del Concilio Vaticano II (21 novembre 1964), affermò che Maria «nella sua vita terrena ha realizzato la perfetta figura del discepolo di Cristo»,39 e nell’esortazione Marialis cultus (2 febbraio 1974) propose la Vergine quale «prima e più perfetta discepola di Cristo».40 Sono anche numerosi i testi in cui Giovanni Paolo II chiama Maria ‘discepola’; tra essi sono da segnalare due brani: uno, dell’esortazione Catechesi tradendae (16 ottobre 1979), in cui il Santo Padre rileva che la Vergine fu «la prima dei suoi discepoli: prima nel tempo, perché già ritrovandolo nel tempio ella riceve dal Figlio adolescente lezioni, che conserva nel cuore [cf. Lc 2,51]; la prima soprattutto, perché nessuno fu mai “ammaestrato da Dio” [cf. Gv 6,45] ad un grado simile di profondità»;41 1’altro, dell’enciclica Redemptoris Mater (25 marzo 1987), dove il tema del discepolato si rapporta esplicitamente a quello della sequela: «Maria madre diventava [...], in un certo senso, la prima ‘discepola’ di suo Figlio, la prima alla quale egli sembrava dire: “Seguimi”, ancor prima di rivolgere questa chiamata agli apostoli o a chiunque altro (cf. Gv 1,43)».42 Poco prima, il 15 agosto 1986, era stata promulgata una messa votiva della Vergine, avente per titolo «Santa Maria, discepola del Signore».43

15.    I tratti di Maria quale «discepola del Signore» appartengono alla sua immagine evangelica. Per i membri degli Istituti di vita consacrata, impegnati nella sequela radicale di Cristo, Maria, discepola, è esempio, memoria e monito di come si segua il Signore sulle vie del Vangelo.
     Siamo nuovamente di fronte a uno di quei paradossi o apparenti contraddizioni che contrassegnano la figura di Maria di Nazaret: la Chiesa propone come modello supremo della sequela di Cristo lei, una donna che, diversamente dagli apostoli e da altre donne — Maria di Magdala, Giovanna, Susanna e molte altre (cf. Lc 8, 2-3) —, non seguì il Maestro quando questi «se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio» (Lc 8, 1). Infatti, a quanto sembra, negli anni della vita pubblica, la Madre fu accanto al Figlio solo all’inizio, nella manifestazione messianica di Cana di Galilea (cf. Gv 2, 1-12), e al termine, quando per Gesù giunse l’«ora di passare da questo mondo al Padre» (Gv 13, 1; cf. 19, 25-27), nonché in un episodio di non facile interpretazione — i parenti ricercano Gesù ritenendolo «fuori di sé» (Mc 3, 21) —, in cui sembra che ella fosse presente: ulteriore momento del suo cammino di fede.44 Ciò sta a indicare che la sequela fisica di Cristo, anche se alle origini ebbe una sua importanza nel determinare la figura del ‘discepolo’, non costituisce l’essenza intima del discepolato.

16   L’esemplarità discepolare di Maria è da ricercare soprattutto nel ‘cammino’ che ella percorse in adesione al progetto del Padre sul Figlio suo, Gesù, e in accoglimento della predicazione di questi, il quale «esaltando il Regno al di sopra delle condizioni e dei vincoli della carne e del sangue, proclamò beati quelli che ascoltano la parola di Dio (cf. Mc 3, 35; Lc 11, 27-28), come ella stessa fedelmente faceva (cf. Lc 2, 19 e 51)».45
     Cammino lungo, comprendente l’intera vita della Vergine. Cammino difficile, nel quale ella progredì non senza «una particolare fatica del cuore».46 Cammino di fede grande ed eroica,47 segnato da persecuzione violenta (cf. Mt 2,13-18), da incomprensione del modo di agire del Figlio (cf. Lc 2, 48-50), da rinuncia a riconoscimenti derivanti dalla maternità (cf. Mt 12, 46-50; Mc 3, 31-35; Lc 11, 27-28; Gv 2, 4), dal mistero della spada che le trafisse il cuore nell’evento straziante della morte di Gesù (cf. Lc 2, 48-50; Gv 19, 33-34), da nuove attese anche dopo la risurrezione del Figlio (cf. Lc 24, 49; At 1, 12-14; 2,1-6), e da nuovo dolore per la persecuzione di cui era oggetto la Chiesa nascente (cf. At 4, 1-31; 6, 8 - 8, 3; 12, 1-18; 28, 22).48
     Senza cedere alla retorica si può affermare che Maria è proposta dalla Chiesa quale prima e perfetta discepola perché nella sua vita si riscontrano in modo eminente i contenuti dello ‘statuto del discepolo’: la fede (cf. Gv 14, 1), che in Maria fu tale da definire la sua identità — ella è «la credente» (Lc 1, 45) — ed essere causa della sua beatitudine (cf. ibid.) e della sua maternità, poiché «credendo concepì»;49 l’abnegazione (cf. Mt 16, 24; Lc 14, 26-27), perché ella, dimentica di sé, si fece dono agli altri (cf. Lc 1, 39-45), visse attenta alle necessità del prossimo (cf. Gv 2, 1-5); l’accoglimento della Parola, che fu atteggiamento caratteristico di lei (cf. Lc 1, 38; 2,19.51; cf. 11, 27-28), ‘povera del Signore’, cresciuta nell’amore e nell’osservanza della Legge (cf. Lc 2, 22-24.27.39.41); i1 servizio reciproco (cf. Mc 10, 42-45; Mt 20, 24-28; Lc 22, 24-27), proprio degli amici di Gesù (cf. Gv 13,14-15), e il servizio alla causa del Regno, per cui Maria si offrì «totalmente come la serva del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo»;50 la condivisione del destino del Maestro (cf. Gv 15, 20), poiché ella fu indissolubilmente congiunta al Figlio nell’amore, nel dolore (cf. Lc 2, 34-35), nella gloria; l’esperienza della croce (cf. Mt 16, 24; Lc 14,27), che in Maria raggiunse il culmine allorché, piena di fede, stette presso la croce del Figlio, accogliendo le parole del Salvatore morente (cf. Gv 19, 25-27); la vigilanza operosa e orante (cf. Mt 24, 22-44; Mc 13, 33-37; Lc 21, 36), che in Maria, membro e icona della Chiesa, fu attesa della venuta dello Spirito (cf. At 1, 14) e ardente desiderio dell’ultima venuta del Signore: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”» (Ap 22, 17).

17.    I membri degli Istituti di vita consacrata sono — dicevamo — discepoli che pongono una particolare attenzione a vivere in modo radicale e costante la sequela Christi. I ‘consigli evangelici’ che essi professano hanno — afferma il Vaticano II — «la capacità di maggiormente conformare il cristiano al genere di vita verginale e povera che il Signore scelse per sé»;51 ma il Concilio, non senza una certa audacia, aggiunge: «e che la Vergine sua Madre abbracciò».52 Nel fare questa affermazione il Concilio non rinvia ad alcun testo biblico; esprime semplicemente un’antica intuizione divenuta, nel corso dei secoli, maturo convincimento, esperienza ecclesiale. I valori discepolari che si riscontrano nella vita della Vergine giustificano l’affermazione conciliare. Maria dunque, a prescindere dall’immediato contesto esistenziale, abbracciò quel «genere di vita» che Gesù aveva scelto per sé e al quale si richiamano, come ad arduo ed esaltante paradigma, i membri degli Istituti di vita consacrata. Ciò rende la Vergine particolarmente vicina a quanti, uomini e donne, seguono il Signore sulla via della vita consacrata. Ognuno di essi può dire: Maria di Nazaret è mia compagna, mia sorella nel cammino della sequela di Cristo.

18.    Ma, sorelle e fratelli, Serve e Servi di santa Maria, la vicinanza della Discepola alla nostra vita di discepoli non è semplice motivo di conforto, causa di legittimo godimento spirituale. Essa è soprattutto appello alla coerenza, monito all’autenticità, invito al confronto.
     Appello alla coerenza. Coerenza nella fedeltà alla propria vocazione, perseverando in essa anche nell’ora dell’incomprensione e della croce; fedeltà, quindi, «fino alla morte», come diciamo nella formula di professione;53 fedeltà fondata, come quella della Vergine, sulla Parola, per cui, su di essa, impegnamo la vita: «Signore, confidando nella tua Parola, / ti do la mia parola».54
     Monito all’autenticità. Perché la nostra sequela Christi sia genuina, totalizzante, tale da dare unità e senso alla nostra vita, nonostante le molteplici attività a cui essa si applica e nelle quali sembra disperdersi. Perché la nostra sequela Christi, libera da accomodamenti mondani o da irresponsabili banalità, sia lievito evangelico, testimonianza coraggiosa, servizio al Regno, anticipazione profetica del nuovo cielo e della nuova terra (cf. Ap 21, 1).
     Invito al confronto. Per verificare sulla vita della Vergine, come in uno specchio:

— se il celibato per il Regno (cf. Mt 19, 12; lCor 7, 7-8) è vissuto da noi in modo che il cuore, libero dalle preoccupazioni «delle cose del mondo» (1Cor 7, 33. 34), sia acceso di carità verso Cristo e verso tutti i figli di Dio, considerati fratelli e sorelle; se esso, «speciale sorgente di fecondità spirituale nel mondo»,55 è inteso come piena disponibilità al servizio apostolico; se è visto, in prospettiva quotidiana, come spazio di solitudine che facilita il dialogo con Dio e, in prospettiva escatologica, come proiezione verso l’incontro con lo Sposo che viene (cf. Mt 25, 6);

— se la testimonianza di povertà, tanto necessaria quanto difficile, è da noi offerta secondo lo stile della Vergine, donna di umile condizione (cf. Lc 1, 48; 2, 24; Lv 12, 8) e «profondamente permeata dallo spirito dei poveri di Jahvé» 56 ed è conforme ai contenuti della beatitudine evangelica (cf. Mt 5, 3; Lc 6, 20); se proviamo dolore e sdegno per la crescita a dismisura della povertà nel mondo e per le molteplici forme di ingiustizia sociale; se, sensibili al «grido dei poveri» (cf. Gb 34, 28; Pr 21, 13; Gc 5, 4), leviamo, come la Vergine (cf. Lc 1, 51-53), la nostra voce di denuncia e, vivendo con sobrietà e semplicità, condividiamo con i bisognosi il frutto del nostro lavoro;57 se siamo persuasi che la possibile giustizia sociale si otterrà solo predicando a ricchi e a poveri, senza mistificazioni, il ‘Vangelo della Povertà’;

— se la nostra obbedienza è anzitutto, come quella dell’umile Serva del Signore (cf. Lc 1, 38.48), accoglimento della Parola;58 se è ascolto della voce interiore dello Spirito e disponibilità al servizio fraterno (cf. Lc 1, 39-45); ossequio alla Legge del Signore (cf. Lc 2, 22-24.27.39.41) che per noi significa anche amore alla Chiesa e alla comunità —, rispetto delle istituzioni civili (cf. Lc 2, 1-5), dedizione alla causa del Regno;

— se la comunione fraterna, cardine della nostra vita e preziosa eredità dei sette primi Padri,59 è modellata su quella della singolare comunità prepentecostale i cui membri, con al centro la Madre di Gesù, «erano assidui e concordi nella preghiera» (At 1, 14) e su quella della primitiva comunità gerosolimitana (cf. At 2, 42-47; 4, 32-35), il cui programma di vita abbiamo assunto, sulla scia della Regola di sant’Agostino,60 come primaria fonte di ispirazione, per vivere «concordi e unanimi nella preghiera, nell’ascolto della Parola di Dio, nello spezzare il Pane eucaristico e il pane guadagnato con il nostro lavoro, in vigile attesa del Signore che viene».61

Maria, donna consacrata per la missione

19   Nel nostro tempo gli insegnamenti magisteriali, la riflessione dei teologi sulla vita consacrata e i testi legislativi dei vari Istituti — soprattutto di quelli fondati dopo il Concilio di Trento (1545-1563) — mettono in luce il rapporto intrinseco tra consacrazione e missione. L’Instrumentum laboris (26 giugno 1994) del IX Sinodo dei Vescovi ne segnala con chiarezza il fondamento cristologico: «Come Cristo, consacrato e inviato nel mondo (cf. Gv 10, 36), ha fatto di tutta la sua esistenza una missione salvifica, così analogamente, le persone consacrate, chiamate a riprodurre mediante lo Spirito l’immagine del Primogenito (cf. Rm 8, 29), devono fare di tutta la loro esistenza una missione».62
     Queste parole introducono la nostra riflessione, perché di tale rapporto Maria di Nazaret costituisce, nell’ambito dell’analogia tra ‘Cristo consacrato-inviato nel mondo’ e le ‘persone consacrate’, la prima e più alta espressione. Noi ne siamo persuasi. Le indicazioni della Scrittura, infatti, lette anche alla luce dell’esperienza ecclesiale della vita consacrata, confermano il nostro convincimento.

20   La consacrazione-vocazione di Maria fu ordinata essenzialmente alla maternità messianica (cf. Lc 1, 30-33). La sua missione fu infatti quella di dare alla luce il Messia Salvatore: perché ne fosse la madre fu ‘chiamata’, perché ne fosse degna fu ‘consacrata’. Nei Vangeli Maria di Nazaret è la «madre di Gesù» (cf. Mc 3, 31-32; Mt 2, 11. 13-14. 20-21, Lc 2, 33-34.48. 51;Gv 2, 1.3.5. 12; 19, 25.26).
     La Vergine compì per il suo Bambino ciò che ogni madre compie nei confronti del proprio figlio: atti umanissimi appartenenti alla ‘sfera naturale’, come fasciarlo o allattarlo, e atti appartenenti alla ‘sfera religiosa’, comuni a tutte le madri di Israele, come presentare il neonato al Tempio. Ma nella prospettiva dei Vangeli i gesti compiuti dalla Vergine non sono azioni riguardanti la sola sfera privata: essi hanno sempre una valenza simbolica perenne e universale, valida per tutti i tempi e per tutti i discepoli e le discepole del Signore. In altri termini: hanno un valore salvifico.63 Il Vaticano II lo ha rilevato esplicitamente: «col concepire Cristo, generarlo, nutrirlo, presentarlo al Padre nel tempio [...] ella ha cooperato in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime».64
     Perciò la Chiesa, sotto la guida dello Spirito di verità (cf. Gv 14, 26; 16, 13-15) e attraverso il paziente scavo degli esegeti e le intuizioni dei mistici, ha individuato altre missioni della Vergine, che sono in stretta connessione con la maternità messianica e da essa derivano: la cooperazione all’opera della salvezza (Socia Redemptoris), la maternità universale (Mater viventium), la mediazione materna (supplex Mater), l’esemplarità in rapporto alla connotazione sponsale verginale materna della Chiesa (typus Ecclesiae) e alla sua santità (exemplar virtutum). Non è nostro compito trattare di questi capitoli della dottrina ecclesiale sulla Madre di Gesù. Ma riteniamo utile verificare con un solo esempio, ampiamente illustrato dagli studiosi, come nella Vergine la missione fluisca direttamente dalla consacrazione.

21.    Consacrata dallo Spirito e dallo Spirito adombrata (cf. Lc 1, 35), la Vergine, che porta in grembo il Figlio di Dio, compie la sua prima missione: recare il Cristo Salvatore alla «casa di Zaccaria» (Lc 1, 40), sacerdote del tempio di Gerusalemme (cf. Lc 1, 8-9), e dell’anziana Elisabetta, che portava chiuso nel grembo Giovanni, futuro Precursore. Portato nel seno della Madre, Gesù intraprende un viaggio salvifico, da Nazaret a una città della Giudea (cf. Lc 1, 39), quasi preludio del grande viaggio — Luca 9, 51-19, 27 — che egli, il Maestro, compirà decisamente dalla Galilea a Gerusalemme per offrire la propria vita per la salvezza del genere umano.
     L’episodio della Visitazione è momento di effusione dello Spirito, primordiale pentecoste. Maria, l’arca nuova che porta il Mediatore della nuova Alleanza, è anche il tempio sacro in cui dimora lo Spirito. Ogni azione, ogni parola di quell’evento salvifico ha la sua sorgente nella grazia dello Spirito. Dallo Spirito trae origine la premura con cui Maria si affretta a compiere il viaggio (cf. Lc 1, 39): «la grazia dello Spirito Santo — osserva sant’Ambrogio — non conosce ostacoli che ritardino il passo»;65 dallo Spirito, il sussulto di gioia del nascituro Giovanni nel grembo della madre (cf. Lc 1, 40.44) e il saluto benedicente di Elisabetta a Maria (cf. Lc 1, 41-42); dallo Spirito, la luce che consente alla moglie di Zaccaria di riconoscere nella sposa di Giuseppe «la madre del Signore» (cf. Lc 1, 43), a Giovanni di avvertire la presenza del Messia; dallo Spirito, la grazia che santifica il profeta e il cantico che sgorga dal cuore della Vergine (cf. Lc 1, 46-55).
     Oggi i commentatori dell’episodio della Visitazione sono soliti chiamare la Vergine «la prima evangelizzatrice» o «la protomissionaria». Non ci sembrano esagerati tali titoli, se si considerano i contenuti salvifici insiti in quell’evento di grazia, i destinatari, la modalità — un viaggio della Vergine che richiama il viaggio dell’arca (cf. 2 Sam 6, 11-15) —, il suo valore paradigmatico. Al nostro sguardo Maria di Nazaret si offre come il prototipo, dopo Cristo, della dinamica consacrazione-missione: dallo Spirito la consacrazione, dallo Spirito la missione.

22.    Così è anche per la Chiesa. Rimasti a Gerusalemme in attesa «che si adempisse la promessa del Padre» (At 1, 4; cf. Lc 24, 49), di essere cioè «battezzati in Spirito Santo» (At 1, 5), i discepoli di Gesù sono nel chiuso di un’abitazione: «si trovavano tutti insieme nello stesso luogo» (At 2, 1). Ma quando lo Spirito, qual vento gagliardo e globo di fuoco, discende sulla primitiva comunità, essa apre le porte della casa per annunciare agli uomini di Giudea e a quanti si trovano in Gerusalemme (cf. At 2, 14) — «Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo» (At 2, 5) — il mistero di Cristo crocifisso e risorto (cf. At 2, 22-24. 36) e la buona novella del Regno.
     Per l’unzione dello Spirito la bocca dei discepoli si apre per annunziare il Regno a tutte le genti; essi, partecipi dell’antica beatitudine (cf. Is 52, 7), dirigono i loro passi sulle vie del mondo, perché deve avverarsi la parola del Maestro: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19-20). Lo Spirito di Gesù è invero «il protagonista di tutta la missione ecclesiale»,66 la sua guida, l’energia interiore che la vivifica e ne sostiene lo slancio, colui «che sparge i “semi del Verbo”, presenti nei riti e nelle culture, e li prepara a maturare in Cristo».67

23.    Così è anche per noi, Servi e Serve di santa Maria. Il battesimo e l’unzione crismale ci hanno reso partecipi della missione messianica — profetica, sacerdotale, regale — di Cristo. Ma dalla specifica consacrazione alla sequela Christi nella Famiglia Servitana deriva a noi una peculiare missione.
     Le Costituzioni dei Servi hanno presente il rapporto Spirito Santo — consacrazione — missione: «Mossi dallo grazia del Battesimo, dall’impulso dello Spirito Santo e dalla consacrazione religiosa, noi, Servi di Maria, intendiamo vivere e testimoniare l’amore cristiano. Desiderando attuare il carisma dell’Ordine, ci doniamo al servizio degli altri, prolungando nella storia della salvezza la presenza attiva della Madre di Gesù».68

La nostra missione è dunque:

— «vivere e testimoniare l’amore cristiano», impegno arduo, ma perfettamente in linea con l’insegnamento di Gesù e l’esempio della primitiva comunità di Gerusalemme, con la Regola di sant’Agostino e l’eredità spirituale dei sette primi Padri;

— donarci «al servizio degli altri», perché il carisma dei Servi è servire. Inviati per servire intitola il Priore generale la sua Lettera all’Ordine (19 giugno 1992) in occasione del V centenario dell’inizio dell’evangelizzazione delle Americhe:69 servire Dio e la nostra gloriosa Signora, servire il Vangelo, la Chiesa e gli uomini — fratelli e sorelle —, ma a questi ultimi rivolgiamo anzitutto, secondo il monito di Giovanni (cf. lGv 4, 20), il nostro visibile amore-servizio;

— «estendere la [...] fraternità agli uomini d’oggi, divisi a causa dell’età, della nazione, della razza, della religione, della ricchezza, dell’educazione»,70 sull’esempio stesso di Gesù che «fu mandato da Dio Padre fra uomini divisi per unirli come fratelli»;71

— prolungare «nella storia della salvezza la presenza attiva della Madre di Gesù».

Quest’ultima espressione richiede una parola di chiarimento, perché non sembri dettata da una intollerabile presunzione: chi siamo noi per poter costituire un prolungamento della «presenza attiva» della Tuttasanta nella storia della salvezza? In virtù del disegno salvifico di Dio, la Vergine e una presenza orante e operante, materna e misericordiosa, nella compagine ecclesiale.72 È infatti dottrina perenne della Chiesa che la Vergine, assunta in cielo, non ha deposto la sua missione di salvezza, ma la continua in favore «dei fratelli del Figlio suo ancora pellegrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata».73 Nell’ambito dell’unica mediazione di Cristo, la Vergine glorificata è presente nella Chiesa, svolgendo la sua «missione materna: di intercessione e di perdono, di protezione e di grazia, di riconciliazione e di pace».74
     Ma santa Maria, la perfetta discepola, è anche fonte di ispirazione per quanti hanno abbracciato la vita consacrata. Noi siamo persuasi che molte persone consacrate, ispirandosi nella sequela di Cristo alla beata Vergine, ne riproducono, in un certo senso, gli atteggiamenti, lo stile di vita, i tratti della fisionomia spirituale, rendendola in qualche modo presente.75 Tra queste confidiamo di essere, per grazia e misericordia di Dio, anche noi. A questo ci siamo impegnati con la professione solenne.76 Dalla ‘consacrazione’ quindi deriva per noi la ‘missione’ di prolungare nell’ “oggi della Chiesa” «la presenza attiva della Madre di Gesù», di prolungare cioè il suo fiat salvifico (cf. Lc 1, 38) nella nostra disponibilità «ad essere docili alla voce dello Spirito e a vivere nell’ascolto della Parola»;77 il suo canto di ringraziamento e di libertà (cf. Lc 1, 46-55) nella decisione di assecondare «con le nostre energie le esigenze liberatrici dei singoli e della società»;78 la sua supplice compassione (cf. Gv 2, 3) 79 in un atteggiamento abituale di comprensione e di misericordia;80 la sua presenza presso la croce di Cristo (cf. Gv 19, 25) nell’impegno di sostare con lei presso le infinite croci degli uomini dove il suo «Figlio è ancora crocifisso».81

Conclusione

24.    All’alba del terzo Millennio la vita consacrata si presenta, pur tra le difficoltà dell’ora attuale,82 ricca di germi di speranza.83 Il motivo della speranza è Cristo, Signore Maestro Sposo: in lui la vita consacrata ha la sua origine, il suo significato, la forza ispiratrice, la norma suprema, la prospettiva escatologica. Ma, dopo Cristo e a causa di lui, il futuro della vita consacrata è nell’icona evangelica della Vergine, nel valore della sua testimonianza di discepola, nella sua intercessione di grazia, nell’influsso materno con cui ella sostiene e accompagna i vari Istituti nel loro cammino.
     Come la Chiesa, alla cui componente carismatica appartiene in modo intrinseco,84 la vita consacrata guarda a Maria, «segno di sicura speranza»,85 per vedere in lei, come in purissima immagine, ciò che essa, tutta, tende a divenire in tutti i suoi membri.
     Al termine di questa Prima Sezione ci sembra utile raccogliere in sintesi alcuni dati emersi nel corso della nostra riflessione: la Vergine è all’origine della vita consacrata; l’immagine esistenziale di Maria è riflessa dalla vita delle persone consacrate; vi sono ragioni profonde per affermare la consonanza tra lei e la vita consacrata.

25.    Nel corso della storia sono stati riconosciuti come ‘iniziatori’ della vita religiosa personaggi quali il profeta Elia e Giovanni Battista: per la loro scelta celibataria e la vita austera e penitente, per la ricerca dell’assoluto e il servizio radicale al Dio dei Padri, per il movimento discepolare che suscitarono intorno a sé. Tuttavia l’approfondimento della figura di Maria ha condotto la Chiesa a vedere in lei, in modo eminente, per i valori di ‘vita consacrata’ che ha incarnato, l’inizio stesso del fenomeno ecclesiale della vita religiosa. In vari sensi, avvertono i teologi:

— in senso cronologico, perché Maria di Nazaret, come osserva il Vaticano II in un testo già citato, fu la prima ad abbracciare il «genere di vita verginale e povera» che suo Figlio, Cristo Signore, aveva scelto per sé;86 la prima quindi a vivere, nonostante il diverso contesto esistenziale, la forma di vita discepolare che oggi chiamiamo «vita consacrata»;

— in senso storico, perché la figura della Madre di Gesù è certamente in rapporto con il sorgere, particolarmente nei circoli ascetici femminili, delle prime forme organizzate di vita consacrata;

— in senso causale, perché la Vergine, in virtù della sua maternità ecclesiale, concorre alla ‘nascita-formazione’ di quelle forme di «vita di comunione nella Chiesa» che sono gli Istituti di vita consacrata; perché con il suo esempio attira i fedeli alla sequela radicale del Figlio: «Maria [...] con il suo esempio — scriveva Leandro di Siviglia († 600 ca) alle vergini consacrate — ha generato voi [...]; con la sua testimonianza ha partorito voi»;87 perché con la sua intercessione facilita la ‘formulazione del consenso’ con cui i fedeli rispondono alla chiamata del Signore: la Madre che era presso il fonte battesimale dove i suoi figli nascevano alla vita della grazia sta anche — ritiene più di un teologo — presso l’altare dove essi assumono gli impegni della vita consacrata.

     Possiamo concludere questo paragrafo con una ponderata parola di san Tommaso d’Aquino: «l’osservanza dei consigli, che deriva dalla grazia di Dio, fu inaugurata da Cristo in modo perfetto, ma in qualche modo cominciò (fuit inchoata) nella Vergine sua madre».88

26   In una efficace pagina il Vaticano II esorta i membri degli Istituti di vita consacrata a porre «ogni cura, affinché per loro mezzo la Chiesa ogni giorno meglio presenti Cristo ai fedeli e agli infedeli, o mentre egli contempla sul monte, o annunzia il Regno di Dio alle turbe, o risana i malati e i feriti e converte a miglior vita i peccatori, o benedice i fanciulli e fa del bene a tutti, sempre obbediente alla volontà del Padre che lo ha man dato».89
     Per analogia e fatte le debite distinzioni, si può dire: oggi la Chiesa presenta la Vergine ai fedeli anche attraverso gli Istituti di vita consacrata che esplicitamente si richiamano alla sua testimonianza evangelica. Negli atteggiamenti e nelle azioni di molte sorelle e di molti fratelli consacrati rivivono esistenzialmente la fede e l’obbedienza di Maria nell’accogliere il progetto di Dio su di lei; la sollecitudine nel recarsi, portatrice di grazia, dalla parente Elisabetta; la fedele custodia della Parola; l’accettazione fiduciosa dell’esperienza del dolore, dell’incomprensione, del rifiuto e della persecuzione; la presenza materna presso la croce del Figlio; la preghiera concorde e assidua con la comunità apostolica in supplice attesa dello Spirito.
     Sotto questo profilo gli Istituti di vita consacrata costituiscono, nel loro insieme, una sorta di memoria attualizzante e di esegesi vivente della Madre di Gesù.

27.    Sulle ragioni del profondo rapporto tra la Vergine di Nazaret e la vita consacrata abbiamo riflettuto nelle pagine che precedono. Ne abbiamo individuate quattro: la consacrazione della Vergine per opera dello Spirito e, in sinergia con lui, la sua totale donazione al Signore (nn. 7-8) la sua fedeltà alla vocazione ricevuta (nn. 9-12); la sua condizione di prima e perfetta discepola di Cristo (nn. 13-18); la sua consacrazione in vista della missione (nn. 19-23). Consacrazione, vocazione, discepolato radicale, missione: quattro valori e quattro condizioni comuni a Maria e alla Chiesa, di cui gli Istituti di vita consacrata sono visibile memoria.

Sezione seconda
La tipologia di un rapporto

28.     Dopo aver esaminato le ragioni del rapporto tra la Vergine Maria e la vita consacrata, ci sembra opportuno, fratelli e sorelle della Famiglia Servitana, considerare i modi con cui tale rapporto si configura nei vari Istituti di vita consacrata: da essi possiamo trarre non poco giovamento per la comprensione vitale e la giusta valorizzazione del vincolo che ci unisce alla nostra gloriosa Signora. La nostra rilevazione non ha, come oggi si suol dire, carattere scientifico; essa scaturisce dall’osservazione di una documentazione varia — testi costituzionali, documenti magisteriali, fonti storiche, studi critici, scritti ascetici... —, ma sufficientemente significativa.

La Madre

29.     Il Concilio Vaticano II riconosce in Maria di Nazaret la donna in cui ha avuto compimento, sul piano della grazia, il simbolo di Eva, «la madre di tutti i viventi» (Gen 3, 20);90 ricorda che «la Chiesa cattolica, edotta dallo Spirito Santo, con affetto di pietà filiale la venera come una madre amantissima»;91 legge la cooperazione di Maria all’opera della salvezza in chiave materna: la «maternità di Maria nell’economia della grazia perdura senza soste dal momento del consenso prestato al tempo dell’annunciazione e mantenuto senza esitazioni sotto la croce, fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti».92
      Affermando la maternità spirituale di Maria nei confronti di tutti gli uomini, il Vaticano II si è fatto interprete autorevole della tradizione ecclesiale e del sensus fidelium. Tra questi fedeli sono i membri degli Istituti di vita consacrata. In modo corale essi affermano: Maria è nostra madre; madre dei singoli membri e madre anche — aggiungono spesso — dell’Istituto in quanto tale.93

30.    Ma la maternità spirituale di Maria nei confronti dei membri degli Istituti di vita consacrata non è di natura diversa da quella che essa esercita nei confronti degli altri fedeli. Perché, allora, le persone consacrate, definendosi in rapporto alla Vergine, sottolineano la relazione madre-figlio? A nostro parere ciò è dovuto a vari motivi.

— Dal punto di vista storico la dottrina della maternità spirituale di Maria si è sviluppata nell’ambito della teologia monastica. Il monaco sant’Agostino († 431), affermando che Maria «ha cooperato mediante l’amore a generare nella Chiesa i fedeli che formano le membra di quel capo [Cristo]», ha scritto una delle pagine più importanti nella storia di questa dottrina.94 Il pensiero va poi ad alcuni grandi rappresentanti del monachesimo benedettino: all’abate Ambrogio Autperto († 784), che chiama la Vergine «madre degli eletti», «madre dei credenti»,95 «madre delle genti»;96 a sant’Anselmo di Canterbury († 1109), per il quale è familiare invocare santa Maria come «nostra madre»,97 e rivolgersi a lei come alla «madre dei giustificati, dei riconciliati, dei salvati»;98 a Ruperto di Deutz († 1130), il quale, approfondendo il significato salvifico della presenza di Maria presso la Croce (cf. Gv 19, 25), la chiama «madre di tutti noi».99 Si tratta dunque di una sorta di ‘patrimonio familiare’ che il monachesimo ha trasmesso alle successive istituzioni di vita consacrata, le quali lo hanno accolto come eredità preziosa e lo hanno accresciuto fino ai nostri giorni.

— Ai membri degli Istituti di vita consacrata, attraverso la celebrazione della liturgia e la lectio divina, si offrono molteplici occasioni per volgere lo sguardo alla santa Madre del Signore, per contemplare i gesti materni da lei compiuti verso Gesù, il Figlio primogenito (cf. Rm 8, 29), per sentirli quasi prolungati in se stessi — non sono essi i fratelli e le sorelle di Gesù? e i fratelli non hanno la stessa madre? —, per ammirare le sue virtù evangeliche. Ma — si sa — l’esemplarità è una componente della maternità.100 La contemplazione attiva tende a riprodurre nel contemplante figlio, discepolo — i tratti spirituali del modello — madre, maestra —. Quanti Istituti di vita consacrata sono nati dalla contemplazione degli episodi salvifici — l’Annunciazione, la Visitazione, la Compassione presso la Croce... — a cui la Vergine prese parte? quanti, dalla considerazione delle sue virtù?

— La fondazione di un Istituto è una sorta di ‘nascita’, segnata spesso da ostacoli e contraddizioni. L’approvazione poi è ritenuta una ‘grazia’, che quasi sempre i fondatori e le fondatrici attribuiscono a un materno intervento della Vergine. Perciò — affermano — Maria è la ‘Madre dell’Istituto’, a lei esso deve la sua esistenza.101

     Dal riconosciuto rapporto madre-figlio consegue la frequente esortazione ai membri degli Istituti di vita consacrata ad assumere nei confronti della Vergine Maria un atteggiamento filiale: gratitudine e amore filiale, fiducia e abbandono filiale, preghiera e imitazione filiale. Esso è peraltro insito nel cuore delle persone consacrate, che sono consapevoli della parte avuta dalla Vergine nella loro nascita alla vita della grazia e nel loro cammino di sequela radicale di Cristo. Ma l’invito alla ‘vita filiale’ è rivolto con un linguaggio sorvegliato, tendente ad evitare espressioni di infantilismo e il trasferimento automatico all’ordine della grazia di modalità proprie del rapporto materno-filiale nell’ordine della natura, soggetto a molteplici condizionamenti culturali.

31.    I sette primi Padri e i Servi delle prime generazioni ritenevano la Vergine Maria, la santa Madre di Cristo, loro «gloriosa Signora», alla cui misericordia si appellavano fiduciosi e al cui amoroso servizio erano «singolarmente dedicati».102 Ma essi sentirono la Vergine oltre che come «signora propria», anche come «speciale rifugio» e «madre singolare».103 Le testimonianze sull’uso degli antichi Servi di rivolgersi a santa Maria come alla loro Madre sono numerose. Qui ci limiteremo a ricordare l’amabile figura del beato Francesco da Siena († 1328), il quale, da giovane, «si era scelto come speciale madre e signora, la Vergine gloriosa» 104 e, già frate esperto nelle vie dello spirito, la pregava quale «madre carissima», «madre dolcissima», «madre di grazia e di misericordia».105
      «Signora e Madre»: un binomio costante nella spiritualità dei Servi; il primo membro indica la trascendenza della Vergine, assunta in cielo, assisa accanto al Re della gloria (cf. Sal 24, 8-10; lCor 2, 8; Sal 45, 11-16); il secondo, la sua vicinanza misericordiosa agli uomini, suoi figli, esuli — per usare un termine comune all’epoca dei Sette — in un mondo bisognoso di grazia. Per i Servi e le Serve di santa Maria non è stato difficile, rivolgendosi a lei, comporre armonicamente il servizio amoroso da rendere alla Signora con la pietà filiale dovuta alla Madre.
      Ai Servi e alle Serve di Maria poi, a cui è familiare sostare nella contemplazione della Madre ai piedi del Figlio crocifisso, è stato, per così dire, naturale aderire a quanto l’esegesi contemporanea, corroborata dagli insegnamenti della Tradizione e del Magistero, rileva a proposito della parola di Gesù morente al Discepolo amato: «Ecco la tua madre!» (Gv 19, 27). Quella parola esprime il dono personale del Redentore ad ogni discepolo, al quale spetta di accoglierlo con animo riconoscente e di introdurre quindi la Madre di Cristo «in tutto lo spazio della propria vita interiore, cioè nel suo “io” umano e cristiano: “La prese con sé”».
106

La Patrona

32.   Molti Istituti ritengono la Vergine, invocata con una straordinaria varietà di titoli, loro Patrona. Come tale, in un giorno stabilito ne celebrano la memoria con particolare solennità. Per tutti i membri dell’Istituto quel giorno costituisce un’occasione propizia e attesa per riconsiderare le proprie origini, riaffermare l’identità e il carisma, rinsaldare la fraternità, ringraziare Dio per i benefici elargiti all’Istituto, rivolgere lo sguardo alle prospettive future. In una parola: il giorno della Patrona è festa della Vergine, ma è anche la «festa dell’Istituto».

33.    Ma in alcuni Istituti — segnatamente in quelli che affondano le loro radici nei secoli XII-XIV — il termine Patrona ha conservato valenze e aspetti risalenti a istituzioni giuridiche e culturali del Medio Evo. Il gruppo di discepoli o di discepole che ha deciso di seguire Cristo con radicalità evangelica, riconoscendo da una parte la propria fragilità e indegnità spirituale e, dall’altra, la bontà della Vergine e l’efficacia della sua intercessione, si affida liberamente a lei, si pone sotto la sua tutela, dedica a lei la chiesa e la dimora. La Vergine diviene la Patrona e l’Avvocata del gruppo, la Titolare della chiesa. Secondo l’istituto del vassallaggio ella dovrà proteggerlo, assumerne la difesa, impetrare per i suoi membri perdono e abbondanza di ‘meriti’; essi saranno i suoi ‘clienti’ o ‘servi’, che ricambieranno la sua protezione con il loro amore — la Vergine sarà per essi la Donna —, con cortesi omaggi (reverentiae), con la lode — essi saranno i suoi laudesi — e, soprattutto, con l’impegno di compiacere al suo divin Figlio.

34.     La Patrona dei Servi appartiene a questa tipologia. In essa alcuni elementi sono certamente caduchi, tra i quali in primo luogo lo sfondo giuridico del vassallaggio. Di perenne valore sono invece: il senso della propria indigenza spirituale, che impedirà atteggiamenti di autosufficienza o di farisaico compiacimento (cf. Lc 18, 11-12); il ricorso fiducioso alla santa Madre del Signore; il culto reso a lei, ingentilito dall’arte e dalla poesia, orientato a prolungare il devoto ossequio in servizio di misericordia ai fratelli e alle sorelle; l’attenzione alla Vergine, quale Donna nuova, avvolta dall’amore santificante di Dio, che costituì la premessa per un atteggiamento più rispettoso della dignità della donna.
      Anche noi, come gli antichi Servi, riteniamo santa Maria nostra Patrona. Anche noi vogliamo, sorelle e fratelli della Famiglia Servitana, renderle il nostro devoto servizio. Esso, alla luce delle rinnovate Costituzioni, si configura come impegno «di cogliere il significato della Vergine Maria per il mondo contemporaneo»;l07 di approfondire «la conoscenza di Maria, Madre di Dio e degli uomini e della sua missione nel mistero della salvezza»;l08 di adoperarci, «consapevoli della divisione dei cristiani, [...] perché la Figlia di Sion divenga per tutti un segno di unità»,109 lei che «condivise fino in fondo la volontà di Cristo di “riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”»;110 di proporre «agli uomini insicuri [...], quale esempio della fiducia dei figli di Dio, la Donna umile che ha posto nel Signore la sua speranza»;111 di offrirle come espressione del servizio, la nostra stessa vita112 e il nostro apostolato che, sotto la sua guida, vuol essere anzitutto presenza attenta e misericordiosa presso i fratelli e le sorelle che sono nel dolore e nel bisogno;113 di porgerle 1’omaggio della nostra pietà «attingendo a forme proprie della nostra viva tradizione o creandone altre, frutto di rinnovato servizio alla Vergine».114

La Regina e Signora

35.    Cristo, l’Agnello immolato e risorto, è «Re dei re e Signore dei signori» (Ap 19, 16). Sulla terra egli non fu tuttavia un re secondo le categorie di questo mondo (cf. Gv 18, 36): regnò dalla croce con la forza dell’amore. Paradossalmente il Re fu il Servo dei suoi ‘sudditi’: ne lavò i piedi (cf. Gv 13, 4-5), diede la vita per loro (cf. lGv 3, 16; Ef 5, 2; Gv 15, 13), volle che i rapporti tra loro fossero, sul suo esempio, improntati all’amore (cf. Gv 13, 34-35; 15, 12. 17) e al servizio reciproco (cf. Gv 13, 14-15; Mt 20, 25-28; Mc 10, 42-45; Lc 22, 24-27).
      Anche santa Maria è Regina, Signora gloriosa, a causa di Cristo e nello stile di Cristo. Il Vaticano II, confermando una tradizione risalente al secolo IV, ha ribadito autorevolmente la dottrina sulla regalità di Maria: ella, «finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria [...] e dal Signore esaltata come la regina dell’universo, perché fosse più pienamente conformata al Figlio suo».115
      Nel nostro tempo si osserva una certa riluttanza ad applicare il titolo di ‘regina’ alla beata Vergine: esso è ritenuto appartenente a un’epoca storica tramontata; richiama — si afferma — più la ‘mariologia dei privilegi’ che non la ‘mariologia del servizio’. La contestazione ha suscitato tuttavia un utile approfondimento della natura della regalità di Maria, dei suoi fondamenti teologici, dello sfondo biblico in cui essa deve essere considerata.116

36.    Ciò nonostante negli odierni testi costituzionali i titoli di Regina e di Signora ricorrono con una certa frequenza. Essi sostanzialmente si equivalgono. In alcuni casi si può, forse, cogliere tra l’uno e l’altro questa differenza: il titolo Regina è usato per indicare, in modo quasi ‘ufficiale’, la condizione ultima della Vergine, assisa accanto al Figlio, il Re della gloria; il titolo Signora è usato con un tono e in un contesto più familiare: allude alla presenza di lei, quale padrona, nel luogo — monastero, convento... — in cui i membri dell’Istituto, postisi volontariamente al suo servizio, sono impegnati nella sequela radicale di Cristo.
      I titoli di Regina e Signora e, conseguentemente, il riconoscimento del ‘dominio’ della Vergine sono molto frequenti nel monachesimo benedettino. Il loro uso avrà un considerevole sviluppo nel movimento della riforma cistercense e negli ordini di vita evangelico-apostolica sorti a partire dal secolo XII. La celebre antifona Salve Regina misericordiae, già nota nel secolo XI, è forse l’espressione più caratteristica del modo con cui il monaco e il frate si rivolgono supplici alla beata Vergine. Ma in quell’epoca, mentre si afferma con vigore la regalità di Maria, con altrettanta convinzione ne vengono affermate l’indole materna e la funzione mediatrice. In Maria l’esercizio della regalità è servizio materno di misericordia. Questa considerazione porterà a modificare, già nel secolo XIII, l’incipit della ricordata antifona, includendovi il termine Mater: «Salve Regina, Mater misericordiae».
      Da quell’epoca il binomio «Regina-Madre» figura spesso in testi liturgici, legislativi e ascetici degli Istituti di vita consacrata. Esso ha assunto talora un carattere ufficiale, come nel caso della famiglia carmelitana, in cui la Vergine è la «Regina e Madre del Carmelo».117

37.     Negli odierni testi costituzionali il titolo di Regina, pur nella sostanziale identità di significato, è usato con diverse sfumature, che rilevano ora l’uno ora l’altro aspetto della regalità della Vergine o l’ambito in cui essa si esercita:

— il destino di gloria e la dignità della Madre del Signore, ormai pienamente configurata al Figlio e partecipe della sua regalità: i membri degli Istituti di vita consacrata guardano con gioia a questa ‘realtà di grazia’ e volentieri si pongono sotto la tutela della Regina di misericordia;

— la natura e lo spazio in cui la beata Vergine svolge la sua regalità: come il Figlio ella regna con la sola forza dell’amore e il suo dominio si esercita unicamente nell’intimo — il cuore — dell’uomo; questo aspetto sottolinea, ad esempio, la tradizione monfortana quando, rivolgendosi a Maria, la chiama «Regina dei cuori»;118

— il modo eminente con cui la Vergine nazaretana praticò le virtù evangeliche: Maria è la «Regina delle virtù» — «Regina dell’umiltà», «Regina della purezza»... —, a cui le persone consacrate sono invitate a rivolgere lo sguardo per riprodurre in se stesse quelle espressioni di perfezione cristiana;

— il primato che la Madre di Gesù possiede nei confronti di particolari ‘categorie’ nelle quali si riconoscono alcuni gruppi di persone consacrate: così Maria è salutata «Regina delle vergini», «Regina degli Apostoli».

      Quest’ultimo titolo, che mostra la Vergine al centro della nascente comunità degli Apostoli (cf. At 1, 14), è molto amato dagli Istituti con forte carisma apostolico.

38.     Il titolo di Regina, attribuito a santa Maria, è dunque di uso frequente negli Istituti di vita consacrata Si osserva tuttavia, in conformità con gli indirizzi della mariologia postconciliare, la preoccupazione che esso non sia inteso in modo da creare un senso di distanza tra la «gloriosa Regina del cielo» e le persone consacrate che, pellegrine sulla terra, faticano nell’esaltante sequela di Cristo. Abbandonata quindi ogni connotazione politica del titolo, viene richiamata la genuina natura della regalità di Maria. Essa è:

— partecipazione eminente alla condizione regale del Popolo della nuova Alleanza (cf. lPt 2, 9-10); Ap 1, 6; 5, 10; Es 19, 6), i cui membri sono chiamati, tutti, a regnare con Cristo (cf. 2Tm 2, 12; Rm 5, 17; Ap 22, 5);

— conseguenza del coinvolgimento della Madre nel Mistero pasquale del Figlio — umiliazione, passione, gloria (cf. Fil 2, 6-11) —, per cui ella come ha partecipato alla sua umiliazione così partecipa alla sua gloria;

— esito ultimo del cammino discepolare di Maria, per cui al termine della sua corsa ella è stata trasferita nel Regno del Figlio diletto (cf. Col 1, 13) e ha ricevuto per la sua fedeltà «la corona della vita» (Ap 2, 10; cf. lCor 9, 25); ma esito con valenza universale, perché la Vergine, giunta alla suprema libertà e alla piena unione con Cristo, è l’icona regale dell’approdo del cammino della Chiesa, della storia e della creazione: essere «un nuovo cielo e una nuova terra» (Ap 21, 1; cf. Is 65, 17), dimora di Dio, in cui «non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno» (Ap 21, 4; cf. Is 25, 8);119

— esercizio della sua materna intercessione volta all’avvento del Regno e al progressivo annientamento dei nemici di Dio e dell’uomo, che la Scrittura identifica in «ogni principato e ogni potestà e potenza» (lCor 15, 24), nel diavolo (cf. Eb 2, 14), nel peccato (cf. Eb 1, 3; 9, 13) e, infine, nella morte (cf. lCor 15, 26); nemici che generano violenza, oppressione, guerra, distruzione della natura, razzismo, sostituzione del Dio vero e santo con gli idoli nefandi del potere, della gloria, del denaro;

— prolungamento della sua apertura all’azione dello Spirito; il fiat obbediente di Maria (cf. Lc 1, 38), frutto dello Spirito, è divenuto, nell’economia della grazia, influsso materno perché gli uomini si aprano al dono dello Spirito e crei in loro, come in lei, un cuore nuovo (cf. Ez 36, 26-27) li introduca nella «nuova creazione» (cf. Mt 19, 28) e susciti in essi gli stessi sentimenti di Cristo (cf. Fil 2, 5); così ella, nello Spirito, collabora al consolidamento e allo sviluppo del Regno;

— conferma della legge storico-salvifica secondo cui all’abbassamento segue l’innalzamento, all’umiliazione il trionfo; documento concreto del costante agire di Dio, che disperde i superbi e innalza gli umili (cf. Lc 1, 51-52), nonché avveramento pieno della parola del Signore: «chi si umilia sarà innalzato» (Lc 14, 11).

      Il titolo di Regina — viene infine rilevato — è l’attestazione suprema della verità con cui Maria di Nazaret visse la sua condizione di «Serva del Signore» (Lc 1, 38).

39.     Per noi, sorelle e fratelli della Famiglia Servitana, è abituale rivolgerci alla Vergine come a «nostra Signora» (Domina nostra), «Regina dei Servi» (Regina Servorum) e di ritenerci, se pure indegni, suoi Servi e Serve. È la nostra tradizione perenne. È il carisma della nostra vita.
      L’antica letteratura dell’Ordine, i testi legislativi, la liturgia, l’iconografia sono pieni di testimonianze sul modo in cui i frati concepivano i loro rapporti con la santa Madre di Cristo: in termini di «Signora — Servi». Qui sarà sufficiente ricordare, a comune consolazione, il frammento del «libretto delle Costituzioni» (constitutionum libellus) che contiene la ‘formula di professione’ dei sette primi Padri, notevole per l’orientamento teologico e cristologico che essi dettero al «servizio alla Signora»:

Temendo la loro imperfezione,
pensarono rettamente
i mettere umilmente se stessi e i loro cuori,
con ogni devozione,
ai piedi della Regina del cielo
la gloriosissima Vergine Maria,
perché essa, come mediatrice e avvocata
li riconciliasse e li raccomandasse al Figlio suo
e, supplendo con la sua pienissima carità
alla loro imperfezione,
impetrasse loro misericordiosamente fecondità di meriti.
Per questo mettendosi a onore di Dio
al servizio della Vergine Madre sua,
vollero fin da allora essere chiamati
‘Servi di santa Maria’,
assumendosi un regolamento di vita
secondo il consiglio di persone sagge.
120

      L’orientamento cristologico del servizio alla Vergine è messo in luce in un’altra pagina dello stesso scritto. L’Autore, in colloquio interiore con la Madre di Gesù, rilevando che nello stesso anno — 1233 — sono nati l’Ordine e Filippo Benizi, domanda: «O dolcissima Signora, che cosa fai?», e si risponde cogliendo il senso esatto dell’intervento della Vergine:

Il tuo futuro servo
fai somigliante al tuo Figlio.121

      Per noi, come per i sette primi Padri, come per tanti santi fratelli e sorelle, «servire nostra Signora» è motivo di gioia, titolo di gloria.122 Presto i frati dell’Ordine, felici di vivere alla costante presenza della Signora, intesero quasi rivolta a loro stessi l’esclamazione che la Regina di Saba rivolse a Salomone. Un’esclamazione che da secoli campeggia nell’arco del presbiterio della basilica di Monte Senario:

Beati i tuoi servi,
beati coloro che stanno sempre davanti a te (cf. lRe 10, 8).

     In quale modo noi, oggi, con fedeltà dinamica alla tradizione, intendiamo il servizio alla Vergine abbiamo già detto.123
     La figura regale e misericordiosa della Signora continua ad essere per noi fonte di ispirazione vitale: perché, volgendo gli occhi a lei, lo sguardo si spinge oltre e si posa, stupito e adorante, su Gesù, il Re Servo; perché l’unico ‘ordine’ che noi, Servi, riceviamo dalla nostra Regina è quello di eseguire i comandi del Figlio (cf. Gv 2, 5).

La Maestra

40.    Gesù è il Maestro e Signore (cf. Gv 13, 13-14). L’unico Maestro (cf. Mt 23, 8. 10). Un «maestro venuto da Dio» (Gv 3, 2), «mite e umile di cuore» (Mt 11, 29), il solo che conosca il Padre (cf. Mt 11, 27). Coloro che, credendo in lui, ne accolgono l’insegnamento e seguono le orme sono i suoi discepoli (cf. Mt 16, 24; Lc 9, 23).
     Egli, il Maestro, ha voluto tuttavia che i suoi discepoli partecipassero alla sua funzione magisteriale, non diversamente di come egli, «la luce del mondo» (Gv 8, 12), ha voluto che i suoi discepoli fossero essi pure «la luce del mondo» (Mt 5, 14): prima di salire al Padre inviò in missione universale gli «undici discepoli» (Mt 28, 16), comandando loro: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni [...] insegnando loro di osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 20). La Chiesa dunque è istituzionalmente Maestra: «Per volontà di Cristo — insegna il Vaticano II — la Chiesa cattolica è maestra di verità».124 Su di essa grava dunque il compito di insegnare agli uomini le verità che sono via al cielo. Ma di essere anche «esperta di umanità»;125 deve, cioè, forte della sua esperienza, aiutare gli uomini e le donne del nostro tempo a vivere e a potenziare, alla luce del Vangelo, i valori insiti nella persona umana.

41.    Anche Maria di Nazaret è maestra. Il suo magistero non deriva tuttavia dal compito di insegnare (munus docendi) che il Maestro affidò alla Chiesa. È carismatico. È maestra perché madre. Maestra perché discepola.
     Quale madre la Vergine svolse sulla terra, come ogni madre, un compito di maestra-educatrice nei confronti di Gesù, suo figlio. Insieme con san Giuseppe gli trasmise i valori della cultura ebraica e la spiritualità dei «poveri del Signore», nella quale eccelleva.126 Con ogni probabilità, sulla terra ancora, Maria fu ‘maestra’ della Chiesa nascente, cioè fonte di informazione sugli avvenimenti riguardanti l’infanzia di Gesù.127 Congiungendo Luca 2, 19. 51 con Atti 1, 14, la pia meditazione ecclesiale è giunta a parlare della «scuola della Madre», dove gli apostoli e gli evangelisti, attenti al suo insegnamento (ipsa docente), attingono notizie riguardanti Gesù e la sua dottrina.128 Dal cielo poi ella continua a svolgere, nei confronti degli uomini, suoi figli nell’ordine della grazia, attraverso l’esempio, un ruolo magisteriale il cui scopo è indurli all’imitazione di Gesù: «Come, infatti, gli insegnamenti dei genitori acquistano un’efficacia ben più grande se sono convalidati dall’esempio di una vita conforme alle norme della prudenza umana e cristiana, così la soavità e l’incanto emananti dalle eccelse virtù dell’immacolata Madre di Dio attraggono in modo irresistibile gli animi all’imitazione del divino modello, Gesù Cristo».129
     Quale discepola, per la perfezione del suo apprendimento, Maria divenne maestra. Fu anzitutto discepola: apprese informazioni riguardanti la persona e la missione di suo Figlio dall’angelo Gabriele e da Elisabetta, dai pastori e dai magi, da Simeone e Anna. La tradizione ecclesiale poi ritiene che la Vergine, in virtù di una lunga consuetudine di vita, assimilò progressivamente e profondamente l’insegnamento del Figlio — le sue parole, i suoi gesti inattesi... — i valori e lo stile del Regno. Li assimilò in modo sapienziale ed esistenziale: custodendo e confrontando nel cuore (cf. Lc 2, 19. 51) profezie antiche e parole udite da lei stessa, avvenimenti straordinari e fatti quotidiani della vita. Ella inoltre — osserva Giovanni Paolo II — «è la prima di quei ‘piccoli’, dei quali Gesù dirà un giorno: “Padre, ... hai tenuto nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11, 25)».130 Nell’annunciazione le fu «rivelato il Figlio», negli anni della vita nascosta fu «quotidianamente in contatto con l’ineffabile mistero di Dio che si è fatto uomo»: ma furono una rivelazione e un contatto che non la dispensarono dalla fede, messa a dura prova dalle contrarietà che accompagnarono l’infanzia di Gesù e gli anni oscuri di Nazaret.131

42.    Le antiche espressioni di vita consacrata furono sensibili all’immagine della Vergine quale Maestra. Ciò awenne soprattutto in due ambiti:

— nei circoli di vergini consacrate, alle quali veniva proposta, quasi spontaneamente, Maria di Nazaret come Maestra. Ambrogio di Milano († 397), parlando ad esse, chiama Maria «maestra della verginità»,132 cioè dello stato di vita che esse professano, e «maestra dell’umiltà»,133 vale a dire della virtù che tradizionalmente è collegata, per sua difesa e garanzia, con la verginità; e poiché «il primo stimolo dell’apprendimento è costituito dalla nobiltà del maestro»,134 le vergini consacrate non dovrebbero nutrire alcun dubbio ad apprendere da Maria, ‘nobilissima’ Madre di Dio, la «forma ideale» del loro stato di vita;

— negli ambienti monastici, nei quali i monaci, adusi a ruminare la Parola, assumono quale ‘maestra’ della lectio divina Maria di Nazaret,135 donna riflessiva, figlia di Israele, abituata come il suo popolo ai tempi lenti di Dio e a interpretare il presente alla luce dei libri santi, memoria e profezia a un tempo.

     Negli attuali testi costituzionali non figura spesso il titolo di Maestra; non è raro invece trovare espressioni in cui i membri degli Istituti di vita consacrata sono esortati a imparare dalla Vergine il modo di seguire radicalmente Cristo, e testi eucologici che le chiedono di insegnare ad essi questo o quell’aspetto della vita discepolare.

43.    Non dissimile è, fratelli e sorelle della Famiglia Servitana, la nostra esperienza nei confronti della metafora della Vergine ‘Maestra’. Anche noi, in riferimento ad aspetti importanti della nostra vita, ci rivolgiamo a lei, dicendo: «insegnaci».136 Ma non mancano testi nei quali invochiamo nostra Signora con il titolo di Maestra. Così in un inno del significativo ufficio Sancta Maria Servorum, la supplica dei Servi si rivolge alla Vergine «Signora, Maestra, Madre»:


Precamur voce supplici:
servos tuere, Domina;
doce, Magistra, asseclas;
custodi, Mater, filios.
137

Preghiamo con voce supplice:
guarda i tuoi servi, Regina,
insegna,
Maestra, ai tuoi discepoli,
custodisci, Madre, i tuoi figli.

 

     Così pure nelle Litanie dei Servi di santa Maria, nelle quali sono state ricuperate invocazioni di alcuni formulari litanici che, tra i secoli XV e XVI, furono in uso nell’Ordine:

Ave Maria, maestra di santità
Maestra di umiltà
Maestra di obbedienza
Maestra di fortezza
Maestra di contemplazione
Maestra di servizio.
138

     Come per tutti gli Istituti di vita consacrata, anche per noi la Madre di Gesù è maestra non per le sue nozioni su Dio, ma per la sua grande fede in Dio; cioè, come dicevano i medievali, più per la sapienza che per la scienza; più per l’esperienza che per la conoscenza.

La Guida

44.    La metafora della guida, strettamente associata a quella del pastore, ricorre frequente nei libri dell’Alleanza sia nella prima sia nella seconda fase. Il Signore è il pastore e la guida del suo popolo. In riferimento all’epopea dell’Esodo, nella memoria storica di Israele è rimasta profondamente incisa la visione di Dio che guida il suo popolo errante nel deserto: «Il Signore marciava alla loro testa di giorno con una colonna di nube, per guidarli sulla via da percorrere, e di notte con una colonna di fuoco per far loro luce» (Es 13, 21; cf. 15, 23). Le pagine di Ezechiele (cap. 34) e di Isaia (40, 10-11) su Dio Pastore che raduna, difende conduce al pascolo le sue pecore e ne ha delicatissima cura sono tra le più commoventi e le più alte teologicamente della Scrittura antica. Guida dell’intero popolo, il Signore è anche guida del singolo pio israelita, come mostra il rassicurante salmo del Pastore: «mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome» (Sal 23, 3).
     Anche Gesù, che incarna la figura del Buon Pastore (cf. Gv 10, 11.14), è la guida del nuovo popolo messianico: cammina avanti ai suoi (cf. Mc 10, 32; Lc 19, 28), indicando la via della salvezza, che passa attraverso la croce; risorto, egli è l’Agnello-Pastore che «guiderà [gli eletti] alle fonti delle acque della vita» (Ap 7, 17; cf. Is 49, 10).

45.   Anche alla Vergine la tradizione cristiana ha applicato il titolo di guida (dux). Ciò è avvenuto soprattutto per una duplice via:

— da una parte i Santi Padri riconobbero in lei la nuova Miryam (cf. Es 15, 20-21),139 colei che con il Magnificat ha inaugurato il canto dei tempi nuovi e guida il coro di coloro che lodano Dio per la vittoria definitiva riportata da Cristo su Satana, il vero faraone omicida;

— dall’altra videro nella Vergine di Nazaret, in quanto persona esperta della vita consacrata, la guida di coloro che abbracciano questa forma di discepolato cristiano. Così Venanzio Fortunato († 600 ca.) afferma che «la Vergine Maria [...] guida le pecore del verginale gregge dell’Agnello» 140 e san Leandro di Siviglia († 600 ca.) la chiama «Madre e guida delle vergini».141
     Quest’ultimo senso prevale nella letteratura sulla vita consacrata di matrice monastica. La Vergine è guida esperta: conosce il cammino, è salita sulla vetta, è approdata alla riva. Può quindi guidare altri nella via che conduce alla meta, nell’ascensione verso la cima, nella traversata verso il porto. La meta, la cima, il porto è Cristo.
     La metafora della guida ne richiama altre come quella della stella 142 e si accompagna spontaneamente all’idea di protezione, di difesa, di accompagnamento. Sotto questo profilo la Vergine è sentita da alcuni, tra cui la beata Edith Stein († 1942), martire carmelitana, più che un modello che ci sta di fronte, una persona che ci è accanto e, tenendoci per mano, ci guida nel cammino verso Dio.143

46.    Non si tratta ovviamente di immagini e metafore applicabili unicamente alla vita consacrata, ma in riferimento ad essa hanno trovato particolare favore. Nei testi costituzionali degli Istituti di vita consacrata la santa Vergine è presentata ancora come guida nella via della contemplazione, nella realizzazione di se stessi, nell’impegno apostolico. E così via.
     Nelle nostre Costituzioni santa Maria viene presentata quale «sostegno e guida nella via dell’orazione».144 Ciò si riallaccia all’antica consuetudine di rivolgere alla Vergine, prima di ogni ora dell’Ufficio divino, il saluto angelico; con esso sollocitiamo «il suo misericordioso intervento, perché accompagni e sorregga la nostra preghiera»,145 e esprimiamo il nostro desiderio di pregare con lei e come lei. A questo testo si deve aggiungere l’Epilogo delle Costituzioni. Esso, pur non contenendo il termine, si riferisce alla Vergine quale guida: nell’«impegno di servizio la figura di Maria ai piedi della Croce sia la nostra immagine conduttrice».146 Testo a noi particolarmente caro perché congiunge l’immagine evangelica della Madre presso la croce del Figlio con l’immagine teologica della Vergine guida, in ciò che costituisce il nostro carisma: il servizio.

Il Modello

47.    Per i discepoli di Cristo non vi è altro modello che Cristo stesso. Per ogni discepolo, sia egli laico o consacrato o ministro ordinato, Gesù è il prototipo di santità. Egli stesso si è proposto come modello: «Vi ho dato l’esempio soprattutto, perché come ho fatto io facciate anche voi» (Gv 13, 15) I suoi discepoli ne dovranno seguire l’esempio soprattutto nel servizio (cf Mt 20, 28; Mc 10, 45; Lc 22, 27) e nell’amore (cf Gv 13, 34-35) Gesù è il modello supremo perché egli, anche nella sua condizione umana, è il Santo di Dio (cf Mc 1, 24; At 3, 14), il Figlio obbediente nel quale il Padre si è compiaciuto (cf Mc 1, 11; Mt 3, 17; Lc 3, 22), 1’Unto che sovrabbonda di Spirito (cf Gv 1, 32-33; Lc 4, 16-21), il Maestro di verità (cf Mt 22, 16) Dalla condizione esemplare di Cristo consegue, per tutti i suoi discepoli, il dovere dell’imitazione e della sequela (cf Mc 8, 34; Lc 14, 27; Mt 10, 38).
     Secondo il Vaticano II, lo stato di vita consacrata è «fondato sulle parole e sugli esempi del Signore» 147 e «fedelmente imita e continuamente rappresenta nella Chiesa la forma di vita, che il Figlio di Dio prese quando venne nel mondo per fare la volontà del Padre e che propose ai discepoli che lo seguivano».l48 La «imitazione di Cristo», dunque, da parte dei membri degli Istituti di vita consacrata sembra avere questo di specifico: essa costituisce un tentativo, intenzionalmente radicale, di vivere secondo quella «forma di vita»,149 che Gesù, storicamente, scelse per sé. Un’imitazione peraltro che non è semplice ‘mimesi’, ripresa delle transitorie modalità storico-culturali secondo le quali visse Gesù, ma assunzione delle motivazioni ideali che determinarono la scelta, da parte sua, di quello stile di vita.

48.    Nella luce di Cristo la Vergine Maria, la Discepola, è modello di vita per tutti i discepoli. Si tratta di un’antica intuizione. Già Ambrogio di Milano († 397) proclamava che «Maria fu tale che la vita di lei sola è insegnamento per tutti».150 Nel dopo Concilio la dottrina sull’esemplarità di Maria, «la quale rifulge come il modello della virtù davanti a tutta la comunità degli eletti»,151 ha conosciuto uno straordinario sviluppo.
     Per quanto concerne la vita consacrata si può affermare che non vi è documento magisteriale su di essa che, venendo a parlare di Maria, non la proponga come modello. Come pure non vi è testo costituzionale che non esalti il valore esemplare della Madre di Gesù in ordine alla vita consacrata.
     Qui sarà sufficiente riportare, per il suo valore sintetico e per la terminologia caratteristica, un testo dell’Instrumentum laboris, in cui è dominante la categoria dell’esemplarità:

Per la sua incondizionata risposta
alla vocazione divina,
per la sua consacrazione interiore
per mezzo dello Spirito Santo,
[Maria] è modello della vocazione
e della totale donazione a Dio.
Ella ha vissuto la verginità per il regno,
l’umiltà, la povertà evangelica
e la totale obbedienza al disegno di Dio;
è la prima discepola
e l’esempio impareggiabile della sequela di Cristo Signore.
Per tale dedicazione
al mistero e alla missione di suo Figlio,
risplende come modello
del servizio apostolico ecclesiale.
Nella sua vita, «regola di condotta per tutti»,
risplendono come in uno specchio
i carismi della vita consacrata.
Essa è modello sponsale e verginale
specialmente della donna consacrata
nella sua dedicazione alla contemplazione
e nella donazione apostolica,
sia nella solitudine dei monasteri
che anche in mezzo alle vicende del mondo e della società.
152
 

     Gli elementi che qui vengono proposti in una sintesi notevole, nei testi costituzionali degli Istituti di vita consacrata vengono dispiegati, secondo i vari carismi, con dovizia di prospettive. Non è il caso di insistervi. Semmai di osservare che, senza dubbio, il termine modello non è da intendersi nel senso di un punto di riferimento ideale, statico, quasi estraneo al contesto in cui si svolge la vita delle persone consacrate, ma nel senso di «sorgente di ispirazione» ricca e adattabile alle più svariate situazioni.
     Tale è l’esperienza degli Istituti di vita consacrata nei confronti di santa Maria: da secoli essi volgono a lei lo sguardo, attingendovi sempre nuova linfa e nuova ispirazione vitale. È sorprendente come gli Istituti, anche quelli più distanti tra loro per carisma e tipologia strutturale, affermino di trovare nella Vergine una sorgente ispiratrice per la loro vita.

49.    Anche per noi, sorelle e fratelli della Famiglia Servitana, la beata Vergine è sorgente di ispirazione vitale. Lo affermiamo nel primo articolo delle Costituzioni: «Mossi dallo Spirito, ci impegnamo, come i nostri primi Padri, a testimoniare il Vangelo in comunione fraterna e ad essere al servizio di Dio e dell’uomo, ispirandoci costantemente a Maria, Madre e Serva del Signore».153 Non episodicamente quindi né per questioni marginali, ma tenacemente e per ciò che costituisce l’essenza della nostra vita e del nostro carisma rivolgiamo lo sguardo alla Vergine: da lei, la Discepola e la Serva, imbevuta della sapienza di Israele e aperta alla novità del Vangelo, vogliamo ricevere indicazioni comportamentali per vivere la nostra vocazione di discepolato cristiano e di servizio a Dio e all’uomo.
     Alcuni testi delle Costituzioni rilevano aspetti particolari dell’esemplarità di Maria: il suo «altissimo esempio di creatura orante»,154 per cui assumiamo lei come modello per «vivere nell’ascolto della Parola di Dio»,155 ed «essere attenti alle indicazioni dello Spirito»;156 il suo esempio di misericordia 157 e di speranza, che ci spinge ad essere misericordiosi e a infondere fiducia nel cuore degli uomini insicuri e sfiduciati;158 la sua compassione presso la Croce, che richiede da noi un cuore compassionevole, pronto a «comprendere e sollevare le umane sofferenze».159 In una parola: nulla nella nostra vita e nella nostra missione apostolica rimane fuori dall’influsso esemplare di Maria di Nazaret.
     La Vergine, icona di vita evangelica, richiama lo sguardo dei suoi Servi. Gli antichi frati desideravano tenere fisso lo sguardo sulla loro Signora, «come gli occhi della schiava alla mano della sua padrona» (Sal 123, 2). Nell’Ordine continua una radicata tradizione di «sguardo alla Vergine». A volta a volta, esso è supplice: implora grazia e misericordia; contemplativo: si posa con stupore sulla figura santa e gloriosa della Theotókos; vigile: è mosso dal desiderio di eseguire con prontezza i comandi della Signora; puro e intenso nella visione della bellezza della Donna amata.
     Ma — lo abbiamo detto — è sguardo che, posatosi su santa Maria, si spinge oltre e si fissa in Cristo: passando, per così dire, attraverso la Serva del Signore, la Regina di misericordia, la Madre presso la Croce, si appunta nel santo Servo Gesù, nel Sacerdote che sa «compatire le nostre infermità» (Eb 4, 15), nel Figlio crocifisso. È, infine, sguardo che orienta alla sequela di Cristo, come imploriamo nella Supplica dei Servi: «Ravviva in noi l’antico, sacro impegno / [...] lo sguardo fisso in te seguire Cristo».160

La Sorella

50.    Gesù, «nato da donna» (Gal 4, 4), figlio di Maria di Nazaret e figlio del Dio Altissimo, è il Fratello universale.
     In virtù dell’incarnazione, «il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo»:161 ne è divenuto fratello. «Colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli» (Eb 2, 11; cf. 2, 17). Infatti, Gesù stesso, nella pienezza della sua gloria di risorto, chiama i discepoli-amici (cf. Gv 15, 15) «miei fratelli» (Gv 20, 17; Mt 28, 10). Con la Pasqua la redenzione è compiuta: suo Padre è anche il Padre dei discepoli, perciò li chiama fratelli. Gesù quindi è, come afferma Paolo, «il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8, 29), «il primogenito di coloro che risuscitano dai morti» (Col 1, 18).
     In Gesù i vincoli della fraternità non si limitano al genere umano, ma in virtù della creazione e dell’incarnazione si estendono a tutto il cosmo. Infatti «per mezzo di lui sono state create tutte le cose» (Col 1, 16; cf. Gv 1, 3), le quali, secondo il disegno divino, devono essere ricapitolate in Cristo (cf. Ef 1, 10), cioè rapportate a lui come al loro capo; la santa umanità di Cristo poi, generata dalla Vergine, è creatura congiunta all’intera creazione. Ma sappiamo che la creazione, che «è stata sottomessa alla caducità» (Rm 8, 20), sarà anch’essa oggetto di redenzione (cf. Rm 8, 21.23 ) e parteciperà alla libertà dello stato glorioso di Cristo.162
     Il discepolo quindi che guarda la realtà con gli occhi del Maestro, vedendo un uomo o una donna, dice con verità: è mio fratello, è mia sorella; e contemplando il creato è come percorso da un fremito di fraternità che, in Cristo, lo unisce alle creature.
     I discepoli che hanno abbracciato la vita monastica e la vita religiosa, per le quali la «comunione fraterna» è una componente essenziale, sono in condizioni particolarmente favorevoli per sentire la gioiosa realtà di ‘Cristo fratello’, della ‘creazione sorella’. A questo proposito è motivo di letizia ricordare la testimonianza di frate Francesco d’Assisi: egli «circondava di un amore indicibile la Madre di Gesù, perché aveva reso nostro fratello il Signore della maestà»;163 e, contemplando la creazione, sentiva fratelli il sole, il vento, il fuoco; sorelle la luna, le stelle, l’acqua.

51.    ‘Sorella’, come titolo mariano, è antico, se pure non frequente. Nei primi secoli esprimeva soprattutto venerazione;164 oggi è usato per richiamare la ‘condizione comune’ a Maria di Nazaret e ai discepoli di Cristo, nell’ordine sia della natura sia della grazia. Paolo VI ebbe una particolare predilezione per il titolo di Sorella.165 Lo usò anche in discorsi dottrinalmente impegnati.166
     La Vergine è nostra sorella. I teologi ne elencano le ragioni con ordinata successione. È creatura, parte del cosmo, ha la stessa origine, gli stessi limiti, tende alla stessa meta delle altre creature. È vera figlia di Adamo, se pure privilegiata: condivide quindi con noi la natura umana, sottomessa all’esperienza del dolore e al mistero della morte, ma protesa incoercibilmente verso la pienezza della vita, della verità, dell’amore. È figlia di Sion: appartiene pertanto alla discendenza di Abramo (cf. Lc 1, 55) e con noi, ma prima di noi, riconosce in lui il «nostro padre nella fede».167 È frutto della redenzione, se pure «il più eccelso»:168 come noi, quindi, è stata redenta da Cristo, anche se in «modo sublime»169 e diverso. È membro della Chiesa, anche se sovreminente:170 con noi e come noi è figlia e discepola della Chiesa, vive nello spazio comunionale creato dallo Spirito.
     Nella storia della vita religiosa è da rilevare il caso della Famiglia carmelitana. Nel secolo XIV l’Ordine accentua la propria spiritualità mariana in riferimento al termine ‘sorella’: i carmelitani sono i ‘fratelli’ (fratres) della Vergine Maria, essa quindi è la loro ‘sorella’.171 Ciò costituì per essi motivo di un rinnovato impegno e di un rapporto sempre più familiare con la Madre di Gesù.
     Nel nostro tempo il titolo mariano di Sorella compare con una certa frequenza nella letteratura della vita consacrata. Esso dice vicinanza e comunione di esperienze di vita. Le persone consacrate infatti sentono Maria vicina nel loro cammino di fede, nelle modalità esistenziali della sequela di Cristo, nella determinazione di vivere in modo stabile la regola dell’amore fraterno.
     Alcune comunità monastiche sorte in questo secolo nell’ambito della Riforma — Taizé (Francia), Grandchamp (Svizzera), Pomeyrol (Francia), Upsala (Svezia), Darmstadt (Germania)... — sono sensibili alla visione di Maria quale sorella.172 L’approccio di queste comunità alla figura della Madre del Signore avviene partendo dalla Scrittura che ne disegna i tratti essenziali. Nella lectio divina queste comunità scoprono in Maria la creatura in cui tutto, perfino il suo fiat, è opera della grazia, l’umile serva in cui si manifesta in modo eminente lo stile di Dio, che sceglie gli ultimi e si rivela ai piccoli (cf. Mt 11, 25). Sotto questo profilo Maria appare come la ‘sorella povera’ che Dio ha reso bella e ricca di grazia. Ed ancora, alla luce della Scrittura, queste comunità valorizzano l’esemplarità della Vergine: ella è l’icona dell’accoglienza della Parola, dell’apertura allo Spirito, della fede stupita e riconoscente, gioiosa e sofferta.

52.    Nelle Costituzioni e nella tradizione dei Servi non figura il titolo di Sorella. Tuttavia l’Ordine, per la sua attenzione alle prospettive mariologiche del nostro tempo, lo ha accolto e valorizzato e lo usa in vari contesti: in alcuni pii esercizi, in documenti di varia natura,173 nei testi liturgici:

Nella fede e nel dolore, o Maria,
ci sei madre e sorella.
174

... [Maria], frutto più eccelso della redenzione
è sorella di tutti i figli di Adamo.
175

     È probabile che la visione della Vergine quale ‘nostra Sorella’ vada progressivamente radicandosi in noi, Servi e Serve di Maria. Risponde infatti alla nostra concezione della vita consacrata e può divenire nuova sorgente di ispirazione e ulteriore motivo per vivere con autenticità la comunione fraterna.

Conclusione

53.    Abbiamo detto che nella nostra riflessione sulla tipologia del rapporto tra la Madre di Gesù e le persone consacrate avremmo attinto agli studi e all’esperienze di fratelli e sorelle di altri Istituti. Ad essi siamo largamente debitori ed esprimiamo qui la nostra riconoscenza.
     Ma la nostra gratitudine si rivolge anzitutto a Dio, che in Maria di Nazaret ha dato agli Istituti di vita consacrata una figura così ricca di funzioni vitali e di valori esemplari perché accompagni i loro membri nel cammino verso il raggiungimento dello «stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4, 13).
     A questo punto ci sembra utile fare alcune osservazioni conclusive sul rapporto Maria-persone consacrate e raccogliere in sintesi alcuni dati emersi durante la riflessione.

54.    Il rapporto tra Maria e le persone consacrate è una realtà di grazia. E un dono di Dio. Possiamo quindi dire: è ‘sapienza cristiana’ accoglierlo con grata consapevolezza e viverlo con lieta coerenza. Dalla parte di Dio il dono preesiste ed esiste; dalla parte delle persone consacrate esiste, in un certo senso, nella misura in cui esse lo conoscono e lo riconoscono operativamente.
     Il rapporto poi non è fine a se stesso. È mezzo. Esso è finalizzato al conseguimento della perfetta carità e conduce là donde trae origine: a Cristo e per lui, nello Spirito, al Padre. Nella grande metafora della vita come cammino, il rapporto Maria-persone consacrate si configura in termini di accompagnamento, di sostegno, di guida: la Madre Maestra Sorella cammina accanto al figlio discepolo fratello verso il luogo dove essa vive immersa nell’amore: la santa Trinità. In questo spazio di vita infinita e di suprema santità quel rapporto viene esaltato, ma se ne palesa anche l’intrinseca relatività, perché in esso tutto è riferito al Padre, al Figlio e allo Spirito e tutto viene assorbito nella beata Trinità.

55.    La tipologia del rapporto della Vergine con le persone consacrate non è appannaggio esclusivo di queste ultime. Tranne alcuni aspetti derivanti dalla specificità della vita consacrata, tale tipologia è comune a tutti i discepoli di Cristo; per tutti santa Maria è madre e maestra, patrona e regina, guida modello sorella. Tuttavia l’affettuosa insistenza con cui gli Istituti di vita consacrata si richiamano a quella tipologia non è ingiustificata. Tale tipologia infatti riflette spesso esperienze spirituali vissute con lucida intensità in ambienti di vita consacrata; è stata oggetto di una riflessione teorica da parte dei religiosi che ne hanno rilevato l’efficacia, descritto i contorni, esaltato la bellezza e i valori simbolici; è oggetto non di rado di una precisa scelta sancita nei testi costituzionali e testimoniata da una tradizione vivente; è stata divulgata in larga misura dalla predicazione dei religiosi.
     I membri degli Istituti di vita consacrata non possono vantare alcuna esclusiva sulla ‘tipologia del rapporto con la Vergine’ di cui si è fatto parola nelle pagine precedenti, ma, per misericordia di Dio, ne sono stati fruitori intensi e alacri diffusori.

56.    I vari tipi di rapporto della Vergine con le persone consacrate - madre-figlio, maestra-discepolo, regina-servo... - non sono incompatibili fra loro. Nei testi costituzionali è frequente incontrare binomi quali «Madre e Regina», «Madre e Maestra», «Maestra e Guida». E così via. Ciò è dovuto da una parte al fatto che l’unica missione di grazia della Vergine nei confronti del Popolo di Dio si rifrange in molteplici interventi salutari; dall’altra al fatto che nessun ‘tipo di rapporto’ esaurisce la varietà di modi con cui le persone consacrate si pongono di fronte alla Vergine.
     Ogni ‘tipo di rapporto’ è frutto di approfondimenti dottrinali, di esperienze di vita,. di fattori storici e di condizionamenti culturali. Né va dimenticato che ognuno di essi è analogico, per cui oltre alla parte ‘coincidente’ presenta un’altra ‘divergente’. Ciò impedisce di fare di qualsiasi ‘tipo di rapporto’ un assoluto. Vi sono infine propensioni personali, radicate nella propria psicologia o nella propria cultura, che orientano la persona consacrata verso un ‘tipo di rapporto’ più che verso un altro.
     Perciò gli Istituti di vita consacrata, anche quando privilegiano, secondo la propria tradizione, questo o quel ‘tipo di rapporto’ sono nondimeno rispettosi degli orientamenti personali dei suoi membri.
     Il religioso - la persona consacrata - sa che nel suo cammino discepolare verso Cristo è accompagnato dalla beata Vergine. Ella è accanto a lui qual madre sollecita, patrona che lo difende, regina che intercede per lui, maestra sicura, guida esperta e punto di riferimento esemplare (modello), sorella premurosa.

57.    Crediamo si debba aggiungere una parola su quella che, in analogia di quanto viene detto della Chiesa, possiamo chiamare ‘dimensione mariana’ degli Istituti di vita consacrata. Essa implica nel loro essere un’impronta mariana, nell’agire un riferimento alla Vergine.
     Tale ‘dimensione mariana’ è ordinariamente stabilita in base a fattori, per così dire, esterni, verificabili (titolo dell’Istituto, festa patronale, precise indicazioni costituzionali, patrimonio di pietà mariana, tradizione vivente...). Ci sono invece Istituti che non hanno né titolo mariano, né festa patronale mariana, né scelta preferenziale di un mistero della Vergine — l’Annunciazione, la Visitazione... — su cui posare l’attenzione, né particolari espressioni di pietà mariana. Eppure essi affermano di avvertire nella vita della comunità una sorta di ‘clima mariano’ di significativa ‘presenza della Vergine’ — monito, incoraggiamento, protezione ... —. Per descriverla fanno talora propria una parola di Paolo VI sulla presenza della Madre di Gesù nella vita della Chiesa: «Dio ha collocato nella sua famiglia — la Chiesa —, come in ogni focolare domestico, la figura di una donna, che nascostamente e in spirito di servizio veglia per essa “e benignamente ne protegge il cammino verso la patria, finché giunga il giorno glorioso del Signore”».176

58.    Nel nostro tempo si ricorre spesso all’ espressione «Maria, icona della vita consacrata». Qui vorremmo rendere ragione di essa in riferimento alle grandi aree della vita consacrata, vale a dire l’eremitismo, il cenobitismo, l’itineranza missionaria, la diaconia ecclesiale. La Vergine infatti è:

— donna del silenzio, che nella solitudine, abbandonata allo Spirito, confronta ‘eventi e parole’ (cf. Lc 2, 19.51): immagine dunque dell’eremita che scende nel proprio cuore per meditare la Parola che lo rende uno con Cristo, nella conformità al suo pensiero, ai suoi sentimenti, alla sua azione;

— donna di comunione all’interno della Chiesa nascente (cf. Gv 2, 11-12; At 1, 14), e di ogni Chiesa e comunità che si forma nella fede e nella sequela di suo Figlio: immagine dunque del cenobitismo, stimolo a una vita di preghiera assidua e concorde, memoria che solo nello Spirito è possibile la koinonia dei cuori e dei beni;

— donna in cammino, che, mossa dallo Spirito, si reca sollocita alla casa di Zaccaria per portare Cristo e la buona notizia della salvezza (cf. Lc 1, 39-45): immagine dunque dell’itineranza missionaria, per cui discepoli e discepole di Cristo, per impulso dello Spirito (cf. At 2, 1-4), si dipartono per le vie del mondo per annunciare il Vangelo (cf. Mt 28, 19);

— donna del servizio, attenta alle necessità del prossimo (cf. Gv 2, 3): immagine dunque della diaconia — di misericordia, di insegnamento, di assistenza pastorale... —, che molti Istituti esercitano in nome della Chiesa per servire i poveri e i bisognosi nel corpo e nello spirito.