SECONDA PARTE
RIFLESSIONE SULLA VITA CONSACRATA
ALLA LUCE DEL MAGNIFICAT: PROSPETTIVE E STIMOLI

59   Nella Seconda Parte della nostra lettera capitolare intendiamo, con l’aiuto del Signore, sostare in ascolto meditativo del Magnificat, il cantico di Maria di Nazaret (Lc 1, 46-55); esso ci offrirà prospettive e stimoli per vivere con autenticità la vita consacrata e per approfondire alla sua luce il nostro carisma di servizio.
     La bellezza del cantico, la profondità dottrinale, il valore liturgico e pastorale, l’attenzione che ad esso riserva la Chiesa hanno orientato la nostra scelta. Siamo sicuri, sorelle e fratelli della Famiglia Servitana, che essa, per l’amore che avete alla Parola e per la vostra pietà verso santa Maria, sarà condivisa da tutti voi.

Sezione prima
Il dono del Magnificat

60.    Il Magnificat è un dono. Di Dio alla Vergine; di questa alla Chiesa, a ciascuno di noi. Come dono esso va compreso e accolto, diversamente non se ne coglie il fascino, non se ne penetra il significato profondo. Per il Magnificat vale la parola biblica: «ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce» (Gc 1, 17). Con animo riconoscente, dunque, e pieno di rispetto per la Parola santa vogliamo riflettere su questo cantico che il Signore, dopo averlo posto sulle labbra di Maria di Nazaret, mette ogni giorno sulle nostre labbra.

Un dono congiunto ad altri doni

61.    Pronunziato dalla Vergine Maria, ‘povera del Signore’, il Magnificat non è un canto isolato. È giunto a noi insieme con i cantici di altri anawim: il Benedictus (Lc 1, 68-79) del sacerdote Zaccaria; il Nunc dimittis (Lc 2, 29-32) di Simeone, «uomo giusto e timorato di Dio» (Lc 2, 25); insieme con il cantico degli angeli (cf. 2, 14); con la ricca innologia dell’epistolario paolino 177 e dell’Apocalisse giovannea.178 Insieme — aggiungiamo — con il Pater noster (Mt 6, 9-13), la preghiera per eccellenza, e le Beatitudini (cf. Mt 5, 3-11), del cui messaggio il Magnificat è quasi lirica anticipazione.
     Il Magnificat affonda le sue radici nella poesia dei salmi e di altri inni del Testamento antico, in particolare nei cantici delle donne di Israele, che esaltarono le gesta e la misericordia di Dio: Miryam, «profetessa, sorella di Mosè», che condusse le danze dopo il passaggio del Mar Rosso (cf. Es 15, 20-21); Debora, «giudice d’Israele, una profetessa» (Gdc 4, 4) che, dopo la disfatta dell’esercito di Sisara, proruppe in un canto di vittoria (cf. Gdc 5, 2-31); Giuditta che, dopo la vittoria su Oloferne, intonò un canto di lode e di riconoscenza a Dio per la liberazione di Betulia (cf. Gdt 16, 1-17); Anna, donna afflitta e umiliata che, dopo la nascita del figlio Samuele, innalzò, esultante, un commosso cantico di ringraziamento al Signore che aveva esaudito la sua preghiera (cf. lSam 2, 1-10).
     Miryam, Debora, Giuditta, Anna, donne di coraggio, di poesia e di profezia. I loro canti preludono al cantico della Vergine, come gli avvenimenti che esse cantarono sono figura dei fatti salvifici a cui ella prese parte: il passaggio del Mar Rosso adombra la Pasqua di Cristo; le vittorie su Sisara e Oloferne, la sconfitta del Maligno; la nascita di Samuele da grembo sterile, la nascita di Gesù da grembo verginale.

Un dono da accogliere, vivere, trasmettere

62.    Il cantico della Vergine è profondamente radicato nella storia di Israele. In esso confluiscono la sua sapienza e la sua poesia; si ode l’eco dell’attesa gemente dei patriarchi e degli oracoli dei profeti; vi è riassunta la fede di Israele in Dio salvatore e la sua visione della storia.
     Il Magnificat ha un senso letterale, inerente al momento e al contesto in cui sgorgò dal cuore della Vergine. Ma esso giunge a noi carico della ricchezza delle successive letture ecclesiali. Il Magnificat infatti ha accompagnato e nutrito la preghiera della Chiesa, ne ha illuminato il cammino, l’ha fatta crescere e, a sua volta, è cresciuto con essa. Al cantico di Maria si applica in modo particolare il principio esegetico formulato da san Gregorio Magno († 604): «gli oracoli divini crescono insieme con chi li legge».179
     La Parola svela sempre nuovi aspetti di se stessa a Chiese, comunità, singoli discepoli che l’ascoltano e la pregano dall’interno della loro situazione storica. La Parola è stata scritta, è divenuta Scrittura per il bene degli uomini e delle donne che si sarebbero succeduti di generazione in generazione. Una lettura della Parola, quindi, avulsa dalla situazione in cui l’uomo si trova a vivere, non risponde all’intenzione originaria del testo, cioè all’intenzione divina. È indispensabile tuttavia che le ‘letture storiche’ del Magnificat siano accolte con discernimento spirituale, secondo la norma dell’Apostolo: «esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (1Ts 5, 21). Perché, certamente, non ogni ‘lettura storica’ del Cantico è da ritenere.180
     Di fronte al Magnificat la nostra situazione, sorelle e fratelli della Famiglia Servitana, è questa: il cantico della Vergine è là, nel capitolo iniziale del Terzo Vangelo, circoscritto in dieci versetti, immutabile in ogni sua parola. Esige di essere compreso secondo il pensiero di Luca, l’agiografo ispirato da Dio. Eppure esso giunge a noi accresciuto da molteplici letture ecclesiali compiute sotto la guida dello Spirito, accompagnato dal giubilo orante di innumerevoli generazioni cristiane. Richiede di essere da noi letto, pregato, interiorizzato, vissuto. Vuole, infine, essere arricchito, per così dire, dalle nostre esperienze vitali, perché dobbiamo essere suoi lettori e interpreti, cantori e artefici a partire dalla nostra condizione di Servi e di Serve di santa Maria.
     Il dono deve essere — dicevamo — ricevuto e custodito. Ma deve essere anche comunicato e trasmesso. Nel cristianesimo è legge trasmettere ad altri ciò che abbiamo ricevuto (cf. Lc 1, 1-3; lCor 11, 23; 15, 3). Per tutti noi sia quindi gradito impegno tramandare ad altri il dono del Magnificat, letto alla luce della nostra esperienza, circondato dal nostro riconoscente amore.

Un dono che ci introduce nella vicenda di Maria

63.    Accogliendo e vivendo il dono del Magnificat entriamo a far parte della storia stessa di questo cantico: quella di quanti hanno cantato il Magnificat prima di noi e dal Magnificat sono stati orientati nei percorsi del discepolato cristiano; quella di quanti lo canteranno e si lasceranno guidare dalle sue illuminanti parole. Mentre la Chiesa, cantandolo incessantemente, tesse la trama del «Magnificat dei secoli»,181 tutti siamo in attesa di prolungare il cantico della Vergine nella dossologia senza fine: «A Colui che siede sul trono e all’Agnello / lode, onore, gloria e potenza, / nei secoli dei secoli» (Ap 5, 13).
     Ma vi è di più. Compreso e accolto come dono, il Magnificat, nel mistero della «comunione dei santi», rende Maria contemporanea a noi e noi a Maria. Il suo cantico è divenuto nostro. Uniti a lei siamo congiunti con quanti essa rappresenta: Israele, di cui è figlia eccelsa; la Chiesa, di cui è figura (typus) 182, modello (exemplar) 183 e icona escatologica (imago);184 l’umanità, in quanto ella è figlia di Eva.
     Come il suo fiat fu parola detta a nome dell’intera umanità, così il Magnificat è canto che racchiude l’esultanza e la lode dei popoli. Maria è creatura, frammento singolare in cui, dopo Cristo, tutto è ricapitolato e in cui tutto è detto. Come Maria, così noi. In noi e per noi, restituiti alla nostra verità di frammenti destinati a comporre il tutto, Israele, le Chiese, il mondo — l’umanità e il cosmo cantano e magnificano il Signore.

Un dono per la nostra preghiera

64.    Il Magnificat è un dono dello Spirito. Con esso egli è venuto «in aiuto alla nostra debolezza» (Rm 8, 26) e ci ha offerto, per mezzo di Maria, «la profetessa, madre del grande Profeta»,185 un testo che è insieme uno straordinario modello di preghiera e una singolare pagina per la nostra meditazione. Consideriamo i due aspetti per trarre dal cantico della Vergine indicazioni e stimoli per la nostra vita di orazione.

65.    Modello di preghiera. Le Costituzioni dell’Ordine, allorché propongono santa Maria quale «altissimo esempio di creatura orante»,186 si riferiscono soprattutto alla «Vergine del Magnificat».
     Maria di Nazaret, donna ricolma di grazia divina (cf. Lc 1, 28) e umile serva del Signore (cf. Lc 1, 38.48), pronunziò il Magnificat avendo nel cuore lo Spirito, nel grembo il Figlio di Dio: indicazione per noi di come la preghiera genuina scaturisca da un cuore docile la mozione dello Spirito (cf. Gd 20; Rm 8, 15. 26-27; Gal 4, 6) e sia compiuta in unione con Cristo (cf. Gv 14, 13-14; 15, 7.16; 16, 23-24.26; lGv 5, 14).
     Lo pronunziò in risposta al saluto benedicente di Elisabetta: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1, 45), trasformando in lode di Dio l’elogio a lei rivolto: insegnamento per noi di come la preghiera debba essere risposta dossologica alla Parola ascoltata, fede che canta la grazia.
     Lo pronunziò sorretta dalla fede, sollecita nella carità, ferma nella speranza dell’adempimento delle promesse fatte ad Abramo; lo pronunziò in comunione con il suo popolo, esultante per lo spuntare dell’alba messianica, grata perché il Signore aveva rivolto lo sguardo a lei, sua umile serva: ammaestramento per noi di come la preghiera sia spazio di comunione tra Dio e noi, tra noi e il prossimo; sia lode dell’Altissimo e servizio ai fratelli e alle sorelle.
     Ed ancora il Magnificat si offre a noi come modello di preghiera per i suoi contenuti e gli aspetti formali: è cantico di ringraziamento e di lode; è memoria delle meraviglie operate dal Signore; espressione di concretezza e di radicamento nell’ora presente; sguardo proiettato sul futuro. È esempio di come, rivolgendosi a Dio, si debbano coniugare il senso della trascendenza assoluta di Dio — egli è il Signore, il Salvatore, l’Onnipotente, il Santo (cf. Lc 1, 46-47.49) — con quello della sua sorprendente vicinanza — egli volge il suo sguardo agli umili, stende la sua misericordia a coloro che lo temono, si ricorda delle sue promesse (cf. Lc 1, 48.54-55) —. Nel Magnificat colui che i teologi chiamano il «Totalmente Altro» si manifesta vicinissimo all’uomo: nel grembo della Vergine nazaretana il Dio inaccessibile del roveto ardente (cf. Es 3, 3-5) è divenuto già l’Emmanuele, il Dio con noi.

66.    Pagina per la nostra meditazione. Con la professione solenne ci impegnamo a «vivere [...] nell’ascolto della Parola di Dio» («in lectione divina», secondo l’originale latino).187 Ogni pagina della Scrittura, quindi, deve essere oggetto della nostra meditazione. Tuttavia riconosciamo nel Magnificat, il canto della Serva del Signore, un particolare dono offerto alla nostra lectio divina. Il Magnificat è Parola di Dio da accogliere con fede e con rendimento di grazie, come l’accolse Maria; da meditare nel cuore sotto la guida dello Spirito, come fece la Vergine che, sotto l’impulso del medesimo Spirito, custodiva nel cuore la memoria di parole ed eventi riguardanti suo Figlio e la salvezza del genere umano; da cantare per le strade del mondo, quale espressione di riconoscente culto al Signore e proclamazione della sua misericordia, come lo cantò la Madre di Gesù in «una città di Giuda» (Lc 1, 39); da vivere con coerenza ed audacia confidando, come santa Maria, nella bontà di Dio e nell’aiuto della grazia.
     Il Magnificat è quindi parola che impegna tutto l’uomo: dall’udito scende nel cuore; dal cuore risale, trasformata in canto, alle labbra; parola che sollocita l’impegno fattivo dei discepoli di Cristo, che illumina i loro passi sulla via della santità e della giustizia.

67.    Il Magnificat è sgorgato da un cuore puro e pieno di fede, il solo che potesse levare a Dio una lode degna della sua gloria. Si comprende allora l’intuizione di sant’Ambrogio († 397), che auspica: «Sia in ciascuno l’anima di Maria per magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio».188 E si spiega perché la Chiesa abbia fatto del Magnificat un momento culminante della Liturgia delle Ore: in Oriente al sorgere del sole, in Occidente all’ora del Vespro. L’uso liturgico del Magnificat si colloca in quel processo di identificazione tra la Chiesa e Maria che fu molto sentito nell’epoca patristica:189 Maria e la Chiesa, una persona, una voce. La Chiesa in preghiera (Ecclesia orans) è la Vergine orante Maria (Virgo orans).
     Negli ultimi decenni, nella Famiglia Servitana, si sono sviluppate, accanto alla forma tradizionale di ‘preghiera a Maria’, altre forme di preghiera, esse pure note all’antichità: come Maria e con Maria. La preghiera come Maria richiama la sua esemplarità; la preghiera con Maria allude alla sua presenza orante nella comunità dei discepoli di suo Figlio.190
     Si tratta di un legittimo sviluppo, di cui ci sono numerose testimonianze nei libri di preghiera dell’Ordine. A quello sviluppo ha contribuito in larga misura la crescente stima dei Servi e delle Serve del nostro tempo per il cantico della loro Signora; hanno voluto con lei e come lei glorificare Iddio e proclamarne la misericordia. Perciò pregano:

Vergine della speranza,
profezia dei tempi nuovi,
unisci al tuo cantico le nostre voci
e accompagnaci nel nostro cammino: [...]
per magnificare con te la misericordia di Dio
e cantare la gioia della vita e la salvezza.
191

     Ci sia consentito come frati capitolari formulare un auspicio: che la Famiglia Servitana, in quanto tale, aggiunga al «Magnificat dei secoli» una sua ‘lettura storica’, accogliendo e meditando, cantando e vivendo il cantico della Vergine.

Sezione seconda
Il carisma del servizio alla luce del Magnificat

68.    Nella Seconda Sezione ci proponiamo, sorelle e fratelli della Famiglia Servitana, di approfondire il nostro carisma alla luce del Magnificat. Non abbiamo alcun intendimento esegetico nei confronti del cantico della Vergine, di cui peraltro insigni studiosi hanno fatto eccellenti commenti: in nessuna epoca la Chiesa ha dedicato tanta attenzione al Magnificat come nella nostra; ad esso fanno costante riferimento documenti magisteriali, opere di esegeti e teologi, scritti di pastoralisti e di studiosi della liturgia e della pietà popolare.
     In ascolto dunque della voce degli esegeti e con lo sguardo rivolto alle varie situazioni in cui si trova a vivere la Famiglia Servitana, intendiamo offrire alcune indicazioni perché il nostro servizio, compiuto alla luce del Magnificat, sia gradito a Dio e divenga strumento di grazia e mezzo di comunione.

Un servizio difficile:
parlare di Dio all’uomo e alla donna del nostro tempo

69.    Il Magnificat è un cantico di lode a Dio. Ed è anche un discorso su Dio:192 su ciò che egli è (vv. 46-50) e su ciò che egli ha fatto (vv. 51-55). Discorso su Dio, formulato da Maria con parole antiche, quelle della tradizione religiosa del suo popolo, ma riguardante una realtà nuova, contemplata con occhi nuovi. Il Magnificat infatti è il vero «canto nuovo» (cf. Sal 40, 4; 96, 1; 98, 1; 144, 9; 149, 1) dei nuovi tempi messianici.
     La realtà nuova è l’incarnazione del Figlio nel grembo verginale di Maria. Il Magnificat è strettamente connesso con l’Annunciazione; è infatti risposta all’elogio di Elisabetta (cf. Lc 1, 45) per la fede con cui la Vergine aveva aderito al messaggio dell’Angelo. Questi aveva detto: «Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà mai fine» (Lc 1, 31-33). Il fatto nuovo, sconvolgente, è che Dio, l’Altissimo, ha scelto lei, umilissima creatura per essere la madre di suo Figlio, l’atteso Messia. Il Magnificat è il canto che sgorga dall’esperienza della maternità messianica.
     Gli occhi nuovi sono quelli di Maria. Occhi di umile Serva su cui, a sua volta, si è posato lo sguardo del Signore (cf. Lc 1, 48; Is 66, 2). Occhi puri che vedono Dio (cf. Mt 5, 8), si alzano verso di lui il Santo, l’Onnipotente, il Salvatore, il Misericordioso — e si abbassano poi per appuntarsi con realismo sulla condizione del popolo, oppresso, affamato, disprezzato.
     Il Magnificat, discorso su Dio, è anche una nuova rivelazione di Dio. Dal cantico della Vergine, quindi, la Chiesa «attinge la verità sul Dio dell’alleanza: sul Dio che è onnipotente e fa “grandi cose” all’uomo».193

70.    Necessità e difficoltà di ‘parlare di Dio’. Come a tutti gli Istituti di vita consacrata, anche a noi viene chiesto di parlare di Dio alle donne e agli uomini del nostro tempo. Compito arduo, al cui espletamento si frappongono molti ostacoli.
     Bisogna parlare di Dio all’uomo postmoderno, i cui tratti spirituali sono difficili da definire. Egli si muove in un orizzonte culturale dominato dal pragmatismo, per cui sembra chiuso ai valori della tradizione e diffidente dell’utopia. A lui pare bastare il presente, anche se provvisorio e transitorio, ed è tendenzialmente scettico verso ogni proposta di trascendenza. Nel rapporto con l’altro vede principalmente l’interesse e il vantaggio individuale, ma non è privo del senso di solidarietà verso gli uomini con cui è a contatto. E non gli manca slancio per migliorare gli spazi intramondani in cui si svolge la sua vita. Il suo, tuttavia, è un mondo in cui, sotto le ceneri di ideali che gli appaiono definitivamente tramontati, covano scintille di generosità e una salutare insoddisfazione che può aprire le porte a nuovi orizzonti.
     A quest’uomo bisogna parlare di Dio: del Dio dell’Alleanza, del Dio indicibile di Abramo, Isacco e Giacobbe; del Dio cantato da Maria di Nazaret; del Dio che è «Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (2Cor 1, 2). A quest’uomo bisogna dire che Dio è un tu (quel tu che egli accetta come inevitabile pedina nel gioco degli interessi) che si pone accanto a lui, nell’amore, perché ne tragga sommo vantaggio.
     All’uomo postmoderno il discorso su Dio deve essere fatto con un linguaggio che egli possa comprendere:

— escludendo ogni giudizio di condanna (cf. lCor 5, 12-13; Gv 3, 17) ed evitando ogni ostracismo, amandolo «con un amore condito di saggezza, di grazia e di cortesia (cf. Col 4, 5-6)»; essendogli accanto con umiltà e mitezza (cf. Mt 11, 29), «perché la franchezza-parresia (cf. At 4, 31) non degeneri in arroganza»;194

— compiendo gesti di amicizia, cioè invitandolo a condividere la nostra esperienza di fede (cf. Gv 1, 39), mostrandogli le nostre «opere buone» che lo conducano a scoprire la gloria del Padre dei cieli (cf. Mt 5, 16) facendo leva sulla forza apologetica dell’amore (cf. Gv 13, 35; 17, 21) e sulla testimonianza apostolica della vita.

71.    Ma nella nostra epoca ci troviamo di fronte anche atteggiamenti di segno diverso. I pronostici su una irreversibile secolarizzazione della società si sono dimostrati sbagliati; dappertutto infatti si osservano segni di una esplicita ricerca spirituale e di un crescente ‘ritorno al sacro’. Purtroppo si tratta spesso di manifestazioni di una religiosità deviante, che vanno sotto vari nomi: ‘sette’, ‘nuovi movimenti religiosi’, ‘culti’. Il fenomeno è vasto: «quasi tutte le Chiese locali avvertono l’emergere di ogni sorta di nuovi movimenti religiosi o pseudoreligiosi, gruppi o esperienze».195
     Le sette sembrano offrire un senso di appartenenza a chi l’aveva smarrito sentendosi sradicato dalla propria famiglia o istituzione di origine; risposte semplici e già pronte a chi è assalito dai grandi interrogativi dell’esistenza o vive in situazioni complicate; un’esperienza religiosa soddisfacente, con sensazioni ed emozioni forti, coinvolgenti il corpo e l’anima, con possibilità di esprimersi in modo spontaneo e creativo; opportunità di appartenere a un gruppo elitario, con prospettive di successo e di potenziamento della propria personalità; un facile accesso al trascendente, ai doni dello Spirito — dono delle lingue, delle guarigioni ... —, alle manifestazioni mistiche, alla conoscenza profonda della Scrittura; una missione concreta per un mondo migliore, con possibilità di partecipare alle decisioni e alle realizzazioni; una guida sicura nella persona del capo carismatico, del maestro, del ‘guru’.
     Si può dire che l’adesione a ‘sette’, ‘movimenti’, ‘culti’ costituisce una «ricerca di presenza» là dove si erano insediate «numerose forme di alienazione (da sé, dagli altri, dalle proprie radici, dalla propria cultura, ecc.)».196 Spesso dietro queste adesioni c’è un vuoto creato dalla famiglia, dalla scuola, dalla parrocchia, dalle istituzioni civili. Chi si era smarrito in esso, vuole ritrovarsi.
     Sono situazioni pastorali che conoscono bene molti Servi e Serve di Maria che svolgono il loro ministero in città dove il fenomeno delle sette è in espansione, e a cui fanno fronte con rispetto delle persone e secondo le direttive impartite dai responsabili delle Chiese locali.
     Anche alle donne e agli uomini delle sette bisogna ‘parlare di Dio’: del Dio della Vergine e del Signore Gesù, che non indica ‘vie facili’, né assicura ‘comunicazioni immediate’ con la trascendenza, né promette successi personali intramondani. E parlando di Dio si deve rilevare il modo con cui Maria di Nazaret aderì al suo progetto salvifico: nella sola fede, non nella ‘visione’, né in seguito a parole lusinghiere promettenti successo; nella più assoluta libertà, non in seguito ad un’imposizione. Perché ciò che turba di più una retta coscienza cristiana è la manipolazione sociale e psicologica che subiscono i nuovi adepti: «Le sette impongono i loro modi particolari di pensare, di sentire e di comportarsi, contrariamente all’approccio della Chiesa che implica un consenso convinto e responsabile».197

72.    Il discorso su Dio — teologia — è sempre arduo, difficile. Talora sembra una contradictio in terminis, perché esso si prefigge di dire ciò che è indicibile, parlare di ciò che è ineffabile.
     Nel contesto di un cantico di lode, Maria di Nazaret fece — dicevamo — un ‘discorso su Dio’. Da esso desideriamo trarre alcune indicazioni per noi, Servi e Serve di santa Maria, perché il nostro modo di ‘parlare di Dio’ sia in sintonia con quello di nostra Signora.

La Vergine fece il suo ‘discorso su Dio’:

— a partire dalla fede; dalla fede del suo popolo nel Dio dei Padri, che si era manifestato con parole e con eventi nella storia di Israele; dalla sua fede eroica, in linea con quella di Abramo,198 accoglimento incondizionato del progetto salvifico di Dio che la coinvolgeva nella totalità del suo essere;

— sotto l’impulso dello Spirito; il Pneuma divino che era disceso su di lei perché divenisse la madre verginale del Messia (cf. Lc 1, 35), muove ora il cuore della Vergine perché esulti in Dio, pone sulle sue labbra le parole giuste su Dio. Lo Spirito che «ha parlato per mezzo dei profeti»,199 quello Spirito di cui dirà Paolo che «scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio» (lCor 2, 10), parla ora per mezzo dell’ultima profetessa d’Israele;

— con coscienza della propria piccolezza; Maria la ebbe in somma misura (cf. Lc 1, 38.48); il suo primato fu quello di essere la più piccola;200 si trovava quindi nella prima, indispensabile condizione per ‘parlare di Dio’ correttamente, cioè la consapevolezza dell’infinita distanza che intercorre tra Dio e l’uomo: una distanza che, dal punto di vista operativo, solo la grazia può colmare, avvicinando Dio all’uomo; e, dal punto di vista conoscitivo, solo la rivelazione può coprire, disvelando alla creatura il mistero del Creatore;

— con aderenza alla concretezza della vita; nel Magnificat il ‘discorso su Dio’ diviene subito ‘discorso sull’uomo’;Maria, infatti, dopo la lode divina, volge la sua attenzione all’uomo: a se stessa (cf. Lc 1, 48-49), agli oppressi e ai piccoli della società (cf. Lc 1, 50-53), al suo popolo, Israele (cf. Lc 1, 54-55); perché ogni genuina teologia diviene necessariamente antropologia, premura per l’uomo, maschio e femmina, opera delle mani di Dio e sua suprema somiglianza (cf. Gen 1, 27; 2, 7. 18-22).

     Dal cantico della Vergine derivano, dunque, alcune indicazioni perché il nostro servizio di ‘parlare di Dio’, tanto arduo quanto frequentemente richiesto, scaturisca dall’adesione alla Parola e dall’ascolto della voce dello Spirito, e sia svolto con consapevolezza degli invalicabili limiti e con senso di profonda venerazione.

Il servizio della lode

73.    «Lodate il Signore» è l’imperativo che risuona costantemente nei salmi e negli inni del Testamento antico. Esso è rivolto anzitutto ai «servi del Signore» (Sal 113,1), ai timorati di Dio (cf. Sal 22, 24), alla santa città di Gerusalemme (cf. Sal 147, 12); ma anche ai «popoli tutti» (Sal 117, 1; Sal 148, 11), alle schiere angeliche (cf. Sal 148, 2) e a tutto il cosmo: «lodatelo ed esaltatelo nei secoli» ripetono incessantemente, dalla fornace, Anania, Misaele e Azaria rivolgendosi a tutte le creature — stelle del cielo, piogge e rugiade, ghiacci e nevi, folgori e nubi ... — (cf. Dn 3, 52-90). Tra questi ‘laudatori del Signore’ è Maria di Nazaret. La sua è la voce più pura e più alta. Il Magnificat segna il culmine dell’innologia iniziata con il cantico di Mosè (cf. Es 15, 1-18) e inaugura l’innologia neotestamentaria, il cui vertice è il canto escatologico all’Agnello (cf. Ap 15, 3-4). Tra la Pasqua figurale dunque e la Pasqua escatologica si snoda, nel tempo della Pasqua-sacramento, il Magnificat di Maria-Chiesa, canto anch’esso di timbro pasquale.

74.    «L’anima mia magnifica il Signore» (Lc 1, 46), cioè lo esalta, lo glorifica, lo loda e lo benedice. Maria proclama la grandezza di Colui che ha fatto in lei «grandi cose» (Lc 1, 49). Nel canto disvela ciò che è avvenuto nel silenzio dell’annunciazione, ciò che Elisabetta, «piena di Spirito Santo» (Lc 1, 41) ha compreso: il tempo è colmato, è iniziata l’era messianica, è giunto il Salvatore. E lei, Maria di Nazaret, ne è la Madre.
     Il Magnificat è il canto di lode-ringraziamento per le «grandi cose» che il Signore, «ricordandosi della sua misericordia» (Lc 1, 54), ha fatto in favore della sua serva, Maria (cf. Lc 1, 48), e del suo servo, Israele (cf. Lc 1, 54). Sotto questo profilo il Magnificat è una historia salutis cantata.
     «L’anima mia ... il mio spirito» (Lc 1, 46-47), cioè la totalità dell’essere di Maria, tutta la sua persona di donna riflessiva e fervente,201 esulta in Dio Salvatore (cf. Lc 1, 47). «Il Magnificat — è stato scritto — è lo specchio dell’anima di Maria».202 Ma ad altri è sembrato che esso rifletta anche la corporeità della Vergine, là dove essa canta la sua esultanza usando un’espressione che indica la partecipazione del corpo — forse con la danza, come già l’antica Miryam (cf. Es 15, 20-21) e il re Davide (cf. 2Sam 6, 14) — al moto di gioia dello Spirito.203

75.    Maria esulta, gioisce in Dio suo salvatore. Il Magnificat, «inno di esultanza di tutti gli umili»,204 è avveramento di antichi inviti profetici alla gioia (cf. Sof 3, 14-18; Zac 2, 14-15; 9, 9-10; Gl 2, 21-27) e compiuta risposta all’invito dell’angelo: «Rallegrati, piena di grazia» (Lc 1, 28).
     Nella spiritualità anticotestamentaria la gioia accompagna la lode al Signore e la celebrazione delle sue feste; corona l’osservanza della Legge (cf. Sal 19, 9; 119, 14.16.24.35.77.92.143.174); è intuizione e pregustazione della futura pienezza dei beni messianici. Proprio in riferimento al Messia venturo, Gesù disse: «Abramo [...] esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò» (Gv 8, 56). Con acuta intuizione sant’Ireneo († 200 ca.) avvertì il legame esistente tra il tripudio di Abramo e la gioia della Vergine: «Dice: “L’anima mia glorifica il Signore e il mio spirito ha esultato in Dio mio salvatore”, perché l’esultanza di Abramo discendeva sui suoi discendenti che vegliavano, vedevano il Cristo e credevano in lui, ma a sua volta l’esultanza ritornava indietro e dai figli risaliva ad Abramo, il quale appunto desiderò di vedere il giorno della venuta di Cristo».205
     Per una esatta comprensione della gioia del Magnificat sono da rilevare ancora lo spazio in cui essa si manifesta, la situazione a partire dalla quale è percepita: lo spazio è «in Dio salvatore» (cf. Lc 1, 47), ambito santo e unico da dove la gioia balza serena e raggiunge fervente il suo culmine; la situazione è l’umile condizione (tapéinosis) (cf. Lc 1, 48) di Maria, la sola da cui, in prospettiva biblica, è possibile aprirsi alla pura letizia.
     In consonanza con la liturgia, che applica a Maria il vaticinio di Isaia 61, 10,206 e sintetizzando secoli di riflessione cristiana, Paolo VI ha scritto: «Quale mirabile risonanza acquistano, nella sua esistenza singolare di Vergine d’Israele, le parole profetiche rivolte alla nuova Gerusalemme: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto col manto della giustizia, come uno sposo che si cinge di diadema e come una sposa che si adorna di gioielli» [Is 61, 10]. Vicina al Cristo, essa ricapitola in sé tutte le gioie, essa vive la gioia perfetta promessa alla Chiesa: »Madre piena di santa letizia”».207

76.    Dopo aver considerato il Magnificat quale pagina che insegna a ‘parlare di Dio’,208 intendiamo ora trarre da esso indicazioni su come ‘lodare Dio’.
     È necessario anzitutto ‘lodare Dio’ nello Spirito, aprendo il cuore alla sua arcana voce, lasciandosi avvolgere dalla sua misteriosa presenza, seguendo l’esempio della Vergine di Nazaret, il cui canto fu espressione della sua singolare esperienza dello Spirito. Lo Spirito mosse Zaccaria a cantare il Benedictus (cf. Lc 1, 67), Elisabetta a benedire la Madre e il frutto del suo ventre (cf. Lc 1, 41), Simeone a intonare il Nunc dimittis (cf. Lc 2, 26). Mosse soprattutto Gesù a esultare per il sapiente e sorprendente disegno di Dio: «Gesù esultò nello Spirito e disse: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli”» (Lc 10, 21).
     Senza la mozione dello Spirito, sorgente di ogni salmodia, non c’è Magnificat, non c’è preghiera (cf. Rm 8, 26), non c’è il grido «Abbà, Padre!» (Rm 8, 15; cf. Gal 4, 6), non c’è l’esaltante scoperta dell’identità di Gesù (cf. lCor 12, 3). Lutero († 1546) ha illustrato bene come il Magnificat sia espressione dell’esperienza pneumatologica di Maria:

Per comprendere questo sacro inno di lode nella sua struttura c’è da osservare che la Vergine Maria parla di una sua propria esperienza nella quale venne illuminata ed edotta dallo Spirito santo. Nessuno, infatti, può ben comprendere Iddio o la sua Parola, se non mediante lo Spirito santo; nessuno, però, può ottenere tanto dallo Spirito santo, se non lo sperimenta, lo prova e lo sente. In questa esperienza lo Spirito santo insegna come nella sua propria scuola; all’infuori di essa nulla viene insegnato che non siano chiacchiere o parole appariscenti. Così è stato appunto per la Vergine Maria. Dopo aver sperimentato di persona che Iddio opera in lei grandi cose, sebbene essa fosse piccola, insignificante, povera e disprezzata, lo Spirito santo le comunica questa profonda verità, che cioè Iddio è un Signore siffatto che null’altro fa se non elevare ciò che è basso, abbassare ciò che è alto, spezzare ciò che è intatto e suscitare ciò che è spezzato.209

     La ‘lode a Dio’, poi, deve essere compiuta nella gioia, essa stessa frutto dello Spirito (cf. Gal 5, 22). La liturgia cristiana è stata segnata per sempre dal giubilo, il timbro del Magnificat, e dall’alleluia, il canto della Pasqua; la gioia quindi, se pur non l’unica, ne è la nota dominante: liturgia, quindi, soffusa di serena, composta letizia, pervasa dalla «sobria ebbrezza dello Spirito», aperta all’incontro con il canto, la poesia, la musica, l’arte.
     Il Magnificat insegna ancora ad armonizzare, contro ogni artificiosa opposizione e contro ogni superficiale giustapposizione, la lode di Dio con l’impegno della vita. La Vergine cantò il Magnificat proprio dopo essersi abbandonata esistenzialmente al progetto salvifico di Dio: fece la volontà del Signore (vita) e ne proclamò la grandezza (lode). La tradizione ecclesiale aggiunge: in un certo senso, Maria ‘fece grande’ in sé il Signore, colui che «non può ricevere accrescimento né diminuzione»; e ogni anima deve ‘fare grande’ il Signore nel suo intimo. Origene († 254) ne spiega il modo: «Quando [...] avrò fatto grande l’immagine dell’Immagine [di Cristo], cioè la mia anima, e l’avrò magnificata con le opere, con il pensiero, con la parola, allora l’immagine di Dio diviene più grande, e lo stesso Signore, di cui l’anima è l’immagine, è magnificato nella nostra stessa anima».210 In modo analogo Lutero osserva: «Maria [...] dice: “L’anima mia lo magnifica”, cioè tutta la mia vita, i miei sensi e le mie forze lo proclamano grande».211
     Alla scuola del Magnificat è tutta la Chiesa. Con essa quindi anche noi, Servi e Serve di santa Maria. Perché vogliamo divenire ‘laudatori di Dio’ come lei: cantori docili alla guida dello Spirito, esultanti nella gioia; cantori della misericordia di Dio e delle «grandi opere» che egli ha fatto in ogni epoca della storia e in ogni popolo — in Israele, in Maria, nella Chiesa, in noi, in ogni uomo ... —; cantori coerenti, che compiano nella vita ciò che proclamano nel canto; cantori in cui la memoria storica si unisca allo sguardo verso «nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia» (2 Pt 3, 13).

Al servizio della nuova evangelizzazione

77.    Paolo VI salutava Maria come la «stella dell’evangelizzazione sempre rinnovata».212 E Giovanni Paolo II da tempo sta prospettando alla Chiesa il compito di una «nuova evangelizzazione». Egli non esita a dichiarare che «in prossimità del terzo millennio della Redenzione, Dio sta preparando una grande primavera cristiana, di cui già si intravede l’inizio».213 Siamo in presenza di una «nuova primavera del Vangelo»,214 che investe le questioni emergenti nel trapasso epocale in atto. Tali sono, ad esempio: il servizio alla vita in tutte le sue manifestazioni, la salvaguardia del creato, il cammino verso l’unità dei popoli pur nella diversità delle culture, il conseguimento di una pace stabile fondata sulla verità e la giustizia, lo sviluppo del discorso interreligioso, la difesa della dignità della donna... Le risposte ecclesiali all’appello del Santo Padre per una nuova evangelizzazione sono state numerose; tra esse ci piace ricordarne due, per la loro concretezza e determinazione entusiasta: la IV Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano, celebrata a Santo Domingo nel 1992, il cui tema centrale fu Nuova evangelizzazione, promozione umana, cultura cristiana 215 e il Sinodo speciale dell’Episcopato dell’Africa celebrato a Roma nel 1994, che costituì una impegnativa riflessione su La Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l’anno Duemila.216
     Anche il nostro Ordine ha inteso dare una prima, umile ma convinta, risposta all’appello di Giovanni Paolo II con la lettera del Priore generale, fra Hubert M. Moons, Inviati per servire (anno 1992),217 e con il Capitolo generale che stiamo celebrando, il cui tema è I Servi di santa Maria per la nuova evangelizzazione alle soglie del Duemila.

78.    Tuttavia è affiorata più volte tra noi la stessa domanda che viene formulata in sede teologica: in quale misura è legittimo parlare di una evangelizzazione «nuova»? Una premessa sembra opportuna per avviare la nostra riflessione.
     L’annuncio evangelico non è soggetto a mutamenti sostanziali. Esso infatti ha per oggetto Cristo, il quale «è lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb 13, 8), per cui, avverte il Concilio Vaticano II, «non è da aspettarsi alcun’altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore Nostro Gesù Cristo».218 Ma nello stesso tempo, l’evangelizzazione deve sempre rinnovarsi, perché nuove sono le vicende della storia dei popoli, nuove le circostanze della vita dei singoli. La parola immutabile del Vangelo, se con essa vengono posti a confronto i segni dei tempi, dischiude risonanze inedite, che lo Spirito va suggerendo alle Chiese di ogni epoca e di ogni luogo (cf. Ap 2, 7.11.17.29; 3, 6.13.22). La vita quotidiana incontro giornaliero tra «la Bibbia e il giornale» — dà luogo a un’incessante rilettura dell’unica Parola. Il Signore Risorto, mediante il suo Spirito, ne rivela le implicanze nascoste: quel che Gesù disse ai discepoli, lo Spirito ridice alle Chiese (cf. Gv 14, 26; 16, 12-15). Arricchita del dono del discernimento, la Chiesa guarda con gioia e stupore le gemme di quella primavera che la Pasqua ha dischiuso nel mondo. A tale sguardo ci invita e ci educa il Risorto che dice: «Guarda! Io sto facendo nuove tutte le cose» (Ap 21, 5).
     In ordine alla ‘nuova evangelizzazione’, ci sembra che il cantico di Maria, canto nuovo dell’Alleanza nuova, ci offra due indicazioni per rinverdire lo stile del nostro annuncio del Vangelo nell’ora che stiamo vivendo. Ora trepida, ma affascinante. Constatiamo, cioè, che la santa Vergine, con prontezza e in continuità con la fede d’Israele, partecipa al suo popolo l’esaltante novità dell’Incarnazione, adombrata nell’antica promessa dell’Emmanuele (cf. Is 7, 14; Mt 1, 23): condivisione sollecita, dunque, della Buona Notizia e accortezza sapiente nel mettere insieme cose nuove e cose antiche (cf. Mt 13, 52).

Condivisione sollecita

79.    Maria, in ascolto del messaggio dell’angelo Gabriele, che le parla in nome di Dio, è la prima figlia d’Israele ad essere evangelizzata sul grande evento dell’Alleanza nuova, che ha il suo ineffabile inizio nel mistero dell’incarnazione del Verbo (cf. Lc 1, 26-38). Mettendosi poi in viaggio «in fretta» verso la montagna, per raggiungere la casa di Zaccaria, Maria divenne la prima evangelizzatrice della nuova Alleanza. Proclama infatti le «grandi cose» compiute in lei dal Signore (cf. Lc 1, 39-56).219
     Secondo la tradizione biblica, le «grandi cose» di Dio (magnalia Dei) sono i favori meravigliosi che il Signore elargisce incessantemente al suo popolo e i gesti di grazia che continuamente compie nella storia dell’Alleanza. Queste meraviglie dell’amore divino hanno generalmente come destinatario tutto il popolo di Israele: «Grandi cose ha fatto il Signore per noi», canta il salmista (Sal 126, 2). Tuttavia, non di rado, esse sono compiute in favore di una persona singola, come nel caso di Abramo (cf. Gen 12, 2), di Giuseppe (cf. Gen 50, 20), di Mosè (cf. Dt 34, 10-12, nei Settanta; Sir 45, 2), di Davide (cf. 2Sam 7, 21-22.25-26; 22, 51), di Salomone (cf. lRe 1, 37.47), di Geremia (cf. Ger 33, 3), di Ester (cf. Est 10, 3f), di Giuditta (cf. Gdt 15, 8.10), di Elisabetta madre del Battista (cf. Lc 1, 58). Ma anche in questi casi la valenza delle «grandi cose» è comunitaria, ecclesiale. Difatti, attraverso quelle persone individue, il Signore intende colmare di beni tutto il suo popolo. Pertanto, essendo ordinate al bene dell’intera comunità dell’Alleanza, le «grandi cose» di Dio debbono essere annunciate a tutti. A tutti si debbono comunicare i doni di cui il Signore ha voluto adornare la sua famiglia, che è la Chiesa del primo e del secondo Patto.
     Questo fa Maria. Le «grandi cose» che il Potente ha operato in lei, figlia di Sion (cf. Lc 1, 28) e serva povera del Signore (cf. Lc 1, 48), ridondano a vantaggio di Israele, servo del Signore (cf. Lc 1, 54), e a beneficio di tutti i poveri che in lui confidano (cf. Lc 1, 50.52).220 Perciò nel Magnificat Maria «passa con naturalezza da sé al suo popolo».221 E siccome è cosciente che le «grandi cose» del mistero dell’Incarnazione sono il dono massimo che Dio ha elargito a Israele e l’espressione suprema della visita che egli ha fatto al suo popolo, ella arde dal desiderio di condividere tanto dono. Corre infatti ad annunciare l’evento salvifico alla «casa di Zaccaria», sacerdote del Signore (cf. Lc 1, 5.40). Quella casa sacerdotale rappresenta un’altra casa, cioè tutto il popolo di Israele, che è «un regno di sacerdoti» per il Signore, in virtù dell’Alleanza ratificata sul Monte Sinai (cf. Es 19, 6). Per il tramite di Maria, la casa di Israele si riempie della Presenza di Dio fatto carne, che ha posto la sua dimora in mezzo a noi (cf. Gv 1, 14).

80.    «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10, 8). Questa parola del Signore unita a quella dell’Apostolo: «guai a me se non predicassi il Vangelo!» (lCor 9, 16) ci consentono, se accolte e vissute con fedeltà, di sperimentare, in ordine all’evangelizzazione, quell’«ardore nuovo [che] significa fondamentalmente aver fame di contagiare gli altri con la gioia della fede».222
     Sia motivo di comune incoraggiamento il fatto che noi Servi, frati e suore, dagli anni ‘70 in poi abbiamo assunto nuovi compiti di evangelizzazione in Asia, Africa, America Latina e nei Caraibi. All’indomani poi della caduta del muro di Berlino (1989), l’Ordine è tornato tempestivamente in alcuni paesi dell’Europa orientale (Albania, Ungheria e Boemia) dove, già prima dell’avvento dei regimi comunisti, erano fioriti nostri conventi. Uno slancio missionario ed evangelizzatore che, in un Ordine poco numeroso quale il nostro, sembra contrastare con la prudenza; ma, come con fiduciosa generosità osserva il Priore generale fra Hubert M. Moons: «Nonostante la crisi numerica e l’invecchiamento, confidiamo serenamente nella Parola del Signore: dando si riceve; perdendoci, deponiamo i germi di una insperata primavera (cf. Lc 6, 38; 9, 24; Mc 8, 35; Mt 10, 39)».223
     La nostra vocazione specifica nella Chiesa esige un’ulteriore riflessione. Come Servi e Serve di santa Maria, fra i doni di cui siamo stati arricchiti vi è la stessa Madre del Signore. Dal dono scaturisce l’impegno di metterlo a disposizione di tutti. Le Chiese di Cristo, anche al di là del cattolicesimo, dovrebbero riconoscere nel nostro Ordine una piccola chiesa sorella che ha il carisma di evangelizzare Maria. Le nostre Costituzioni per altro ammoniscono: «[I Servi] cerchino di trasmettere agli uomini del loro tempo il significato della realtà vivente della Madre di Cristo ... A questo scopo approfondiscano, anche attraverso lo studio, la conoscenza della Vergine, per comunicarla al popolo di Dio con la vita, con la parola e con gli scritti».224
     Nell’ambito di questa indeclinabile responsabilità, esortiamo tutti i Servi e le Serve di santa Maria a mantenere vivi i centri sorti nelle varie Province e Congregazioni per la diffusione della dottrina sulla beata Vergine e la promozione di una genuina pietà mariana. In questa luce deve essere condotta la riflessione sulle iniziative da prendere per consolidare la Pontificia Facoltà teologica «Marianum», a noi affidata con mandato ecclesiale.

Novità nella continuità

81.    L’annuncio portato da Maria alla casa di Zaccaria ha per oggetto la più sublime delle «cose nuove» che Dio ha operato nel corso della storia santa: l’incarnazione del Figlio dell’Altissimo, «nato da donna» (Gal 4,4).
     Si noterà, tuttavia, che questa novità somma non rappresenta una frattura col piano di Dio progressivamente attuato nelle generazioni precedenti. Maria infatti celebra l’evento come punto di arrivo delle promesse fatte «ai nostri Padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre» (Lc 1, 55). Per interpretare l’evento, Maria attinge alle tradizioni d’Israele, al punto che il Magnificat appare quale sintesi orante dei temi conduttori dell’Antico Testamento, ripensati in funzione del Nuovo. La Vergine eleva il suo cantico sulle «montagne», avverte Luca (1, 39). Non pochi commentatori, antichi e moderni, riconoscono in questo particolare ambiente un’eco di Isaia 52, 7: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi ... ». La tradizione giudaica vedeva nei «monti» una figura dei Padri o dei Profeti d’Israele.225
     Maria, dunque, illumina la novità dell’Incarnazione riannodandola agli eventi antichi che l’hanno preparata. Sotto questo profilo il Magnificat appare anche rivelatore del modo con cui la santa Vergine «poneva a confronto» tutte le cose conservate nel cuore (Lc 2,19).

82.    Nella Sacra Scrittura la tradizione è intesa come costante sguardo agli eventi del passato per interpretare e vivere gli avvenimenti del presente. A questo rapporto tra memoria del passato e immersione nel presente si deve ispirare il nostro rinnovato servizio alla Parola del Signore.
     Espressione somma della dialettica tra passato e presente sono la persona e l’insegnamento di Gesù, colui «che è, che era e che viene» (Ap 1, 8) In lui convergono il passato, il presente e il futuro. Accogliendo lui che è «l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine» (Ap 22, 13), entriamo in comunione con tutte le creature diventiamo contemporanei di ogni evento e di ogni persona. Di tutto e di tutti egli è creatore e redentore, fratello e amico.
     L’amore alla Parola del Signore suscita vivo interesse per la tradizione della Chiesa, che quella Parola interpreta attraverso la sollecitudine del Magistero, l’impegno degli esegeti e, soprattutto, la testimonianza dei santi. Anche in noi, sorelle e fratelli della Famiglia Servitana, l’amore alla Scrittura suscita amore per la tradizione del nostro Ordine. A sua volta, la conoscenza della nostra storia, caratterizzata da una spiccata impronta mariana e da un ricco patrimonio di santità, diviene valido fattore per il rinnovamento della nostra opera evangelizzatrice. Il seme della Parola, deposto nel solco della tradizione, crescerà allora in albero rigoglioso, e gli uccelli del cielo verranno a ripararsi alla sua ombra (cf. Mc 4, 32; Mt 13, 32; Lc 13, 19).

Icona dell’evangelizzazione

83.    Abbiamo iniziato la riflessione sul «servizio alla nuova evangelizzazione» ricordando una nota espressione di Paolo VI: Maria «stella dell’evangelizzazione sempre rinnovata».226 La metafora vuole significare che la Vergine è guida luminosa nel cammino spesso aspro e oscuro dell’evangelizzazione. Ma la Vergine del Magnificat è anche «icona dell’evangelizzazione», punto di riferimento esemplare al quale ispirare la nostra azione evangelizzatrice.
     Le indicazioni di Giovanni Paolo II sulla natura della nuova evangelizzazione, «nuova nell’ardore, nei metodi, nell’espressione» 227 ci induce ad assumere la Vergine del Magnificat quale icona del nostro impegno di evangelizzazione: per il suo ardore, frutto di fede e di umiltà, manifestazione di gratitudine, di premuroso entusiasmo; per il suo metodo, che è — l’abbiamo visto — sollecitudine nell’accogliere il dono di Dio e prontezza nel condividerlo; confronto con la tradizione, attenzione al presente, apertura fiduciosa alla novità del futuro; amore per il proprio popolo e comunione con tutte le genti; spirito di servizio e impegno in favore degli ultimi — gli umili e gli affamati (cf. Lc 1, 52-53)—; per la sua espressione, che fu canto di lode e di gioia, gesto di mite audacia, voce di profezia.
     Nella casa di Nazaret, soglia del primo Millennio, è Maria, portatrice nel grembo dell’Autore del Vangelo (cf. Lc 1, 28; cf 1, 56); nella casa del sacerdote Zaccaria è anch’essa (cf. Lc 1, 39.45), ministra di grazia e messaggera di lieto annuncio; è ancora nella casa della Pentecoste (cf. At 1, 14), da dove, pieni di Spirito Santo, si dipartirono gli Apostoli per annunciare a tutto il mondo la Parola che salva. A queste tre case guardano i missionari e le missionarie per trarre ispirazione e forza nell’annuncio del Vangelo alle genti. Vi guardano anche i Servi e le Serve di santa Maria: perché il fiat della Vergine (cf. Lc 1, 38) ispiri il fiat che essi, quotidianamente e gioiosamente, devono pronunciare per affrontare le situazioni e i compiti che ogni giorno si presentano a loro nell’opera di evangelizzazione; perché la sua «fretta» (Lc 1, 39) nel portare Cristo a Giovanni sproni la loro sollecitudine nel recare alle genti la Buona Novella; perché la sua preghiera assidua e concorde (cf. At 1, 14) li esorti a far precedere all’annuncio la preghiera, a compierlo in piena comunione ecclesiale.

Al servizio della promozione della donna

84.    Sul tema della ‘promozione della donna’ il Capitolo generale non intende assumere toni magisteriali: non ne ha titolo, non è suo compito. Esso si è messo semplicemente in ascolto degli insegnamenti della Chiesa e della voce delle donne stesse, che in molti modi denunciano la loro situazione di subalternità e di oppressione, espongono le loro aspirazioni, manifestano un vivo desiderio di dialogo e di presenza paritaria nella società e nella Chiesa. La nostra parola ha un solo scopo: esortare i Servi e le Serve di Maria ad avere di mira nella vita e nell’azione pastorale anche la ‘promozione della donna’, perché non accada che i nostri frati e le nostre sorelle siano insensibili a tale problema o disattenti alle voci ecclesiali più autorevoli o condizionati da secolari pregiudizi. Sarebbe invero disdicevole per la Famiglia Servitana rimanere indifferente a quella che Giovanni Paolo II giudica «una storia di enormi condizionamenti che, in tutti i tempi e in ogni latitudine, hanno reso difficile il cammino della donna, misconosciuta nella sua dignità, travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino ridotta in servitù».228 La secolare oppressione subita dalle donne è una questione che «assume un rilievo universale» e la cui soluzione costituisce «uno degli obiettivi centrali di qualsiasi missione che nel mondo di oggi cerchi di integrare fede e giustizia».229
     Per aprire la nostra riflessione sulla ‘promozione della donna’ rivolgiamo nuovamente lo sguardo alla Vergine del Magnificat, perché in lei Dio stesso ha ‘promosso’ la donna, coinvolgendola profondamente in un singolare evento di grazia e di salvezza.

La Vergine nella Visitazione

85.    Nell’episodio della Visitazione gli uomini — scribi, sacerdoti, militari, funzionari civili... sembrano essere stati messi da parte. Nel momento in cui il tempo giunge a pienezza (cf. Gal 4, 4; Ef 1, 10), le protagoniste sono due donne: Elisabetta, della tribù di Aronne, moglie del sacerdote Zaccaria (cf. Lc 1, 5); Maria, di tribù sconosciuta, promessa sposa di Giuseppe della casa di Davide (cf. Lc 1, 27; Mt 1, 18.20). Ambedue sono incinte: Elisabetta per un ‘intervento di grazia’ del Signore (cf. Lc 1, 13. 24-25); Maria per opera dello Spirito Santo (cf. Lc 1, 34-35); Elisabetta, sterile e anziana, porta in grembo il Precursore; Maria reca nel seno verginale il Messia Salvatore.
     Elisabetta è la voce della benedizione. Piena di Spirito Santo (cf. Lc 1, 41), benedice Maria e il frutto del suo ventre (cf. Lc 1, 41). Rappresenta l’Israele fedele a Dio, che scopre come l’Antico Testamento, «tempo di promesse», sia giunto al termine per l’intervento decisivo di Dio che ha inviato l’Atteso delle genti. Elisabetta sembra prendere il posto di Ozia e del sommo sacerdote Ioakim; questi avevano benedetto Giuditta per la liberazione di Betulia (cf. Gdt 13, 18; 15, 8-10); la moglie del sacerdote Zaccaria benedice la Vergine per essere divenuta la madre del definitivo Liberatore di Israele: «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!» (Lc 1, 42). La benedizione si evolve in proclamazione di beatitudine: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1, 45), in linea con quello che sarà l’insegnamento di Gesù sulla beatitudine della fede: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20, 29; cf. 4, 48). Da labbra femminili, dunque, la prima benedizione e la prima beatitudine del Testamento nuovo.
     Maria è la voce della profezia. Parla dal profondo della sua esperienza di Dio — la parola udita, lo sguardo che su di lei si è posato, la vita misteriosamente germogliata nel suo grembo —. Come ogni profeta, Maria parla delle opere di Dio, ne ricorda gli interventi salvifici, si appella alle promesse fatte ai Padri, scruta il presente e spinge lo sguardo nel futuro. Da labbra femminili, dunque, la prima profezia della nuova Alleanza.
     L’episodio della Visitazione, per la sua straordinaria ricchezza, è suscettibile di molte letture. Qui ne abbiamo proposta una, che rileva la fiducia di Dio in due donne: ad esse è confidato il segreto dell’incarnazione del Verbo ed è affidata la custodia della vita; ad esse viene richiesto il primo servizio all’opera della salvezza messianica.
     Lo sguardo del Signore su Elisabetta e su Maria diviene per noi, Servi e Serve di santa Maria, esortazione ad assumere nei confronti della donna un atteggiamento di fiducia e di rispetto, e a favorirne la promozione. Quello sguardo infatti fu anche espressione dell’attenzione e della cura del Signore per gli oppressi: ché tale, al tempo di Maria di Nazaret, era la donna, tenuta in scarsa considerazione ed oggetto di molte forme di discriminazione e di ingiustizia.

Gesù e la donna

86.    Molti ed eccellenti studi su ‘Gesù e la donna’, ‘la donna nei Vangeli’ ed argomenti simili hanno messo in evidenza che Gesù, per le sue parole i suoi atteggiamenti le sue scelte, appare come ‘trasgressore’ nei confronti della mentalità giudaica del suo tempo, che emargina la donna, la tiene a distanza nella vita pubblica, le vieta l’accesso all’istruzione. Con i suoi gesti egli spezza antichi gioghi e trasforma divieti e chiusure in occasioni di dialogo, di amicizia, di affermazione della pari dignità dell’uomo e della donna nei confronti della condizione discepolare e dell’annuncio del nuovo Regno messianico. Il messaggio della Chiesa sulla liberazione della donna — ricorda Giovanni Paolo II — sgorga «dall’atteggiamento stesso di Cristo»,230 che si fece «davanti ai suoi contemporanei promotore della vera dignità della donna e della vocazione corrispondente a questa dignità».231 Sarebbe quindi insensato che noi, discepoli e discepole del Signore, trascurassimo di seguire l’insegnamento e l’esempio del Maestro in una questione di tanta rilevanza per l’umanità.

87.    In ordine al rapporto tra ‘promozione della donna’ e ‘nuova evangelizzazione’ ci sembra utile ricordare, oltre a Maria e ad Elisabetta, alcune donne del Vangelo che hanno svolto un ruolo importante nell’annuncio del Regno:

— Anna, la profetessa, personificazione della pietà dei «poveri del Signore»; ella, che «non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere» (Lc 2, 37), sopraggiunta nel momento in cui la Madre offriva il Figlio al Signore (cf. Lc 2, 22), si mise a parlare «del Bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (Lc 2, 38): figura dunque del nostro impegno apostolico, che scaturisce dalla preghiera assidua e ha come oggetto precipuo l’annuncio di Cristo Salvatore;

— la Samaritana, che riceve personalmente da Gesù la rivelazione sul Messia e la buona notizia «che è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4, 23); essa, scoperta la sorgente dell’acqua viva, lascia la brocca (cf. 4, 28) e corre, prima apostola, ad annunciare in terra di Samaria l’avvento del Regno (cf. 4, 39): sparge il seme della parola là dove gli Apostoli raccoglieranno messi abbondanti (cf. At 8, 1-17);

— Maria di Betania che, incurante di ogni convenzione sociale, siede ai piedi del Maestro (cf. Lc 10, 39), rivendicando per sé una condizione discepolare, riservata ai soli uomini; essa, con abbondante olio dal profumo intenso (cf. Gv 12, 3), unge i piedi di Gesù, che interpreta quel gesto quale profezia della sua morte redentrice (cf Gv 12, 7): figura quindi di discepola e di sposa, ammonimento perenne alla Chiesa ad essere in costante ascolto del Maestro, ad amare senza misura l’Amato;

— Marta di Betania, la cui confessione di fede in Cristo (cf. Gv 11, 27) non è inferiore a quella di Pietro (cf. Gv 6, 68-69); Marta, che chiama la sorella Maria presso il Maestro (cf. Gv 11, 28), come Andrea aveva condotto il fratello Pietro da Gesù (cf. Gv 1, 40-42); Marta, donna dalla casa ospitale, da cui esce il Re per compiere l’ingresso messianico in Gerusalemme (cf. Gv 12, 12-15), il Profeta per annunciare ogni giorno nel tempio la parola di vita (cf. Mc 11, 11; Lc 19, 47), il Sacerdote per offrire se stesso sull’altare della Croce, «vittima di espiazione per in nostri peccati» (1Gv 2, 2);

— Maria di Magdala, la prima della cerchia di donne che, in atteggiamento di sequela e di servizio, sono con Gesù nella sua itineranza evangelizzatrice (cf. Lc 8, 1-3); donna del «giorno dopo il Sabato» e del «buon mattino» (Gv 20, 1) — alba del primo giorno della nuova creazione —, che corse piangente da Simon Pietro e dal Discepolo diletto per dare ad essi, desolata, la notizia: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro» (Gv 20, 2); e, dopo aver incontrato il Risorto, corre di nuovo, da lui inviata (cf. Gv 20, 17), «apostola degli apostoli»,232 per recare ai ‘fratelli’ la notizia che decide della veridicità del Vangelo: «Ho visto il Signore» (Gv 20, 18; cf. Mc 16, 9-11.14).

     Sono, questi, gesti di donne evangeliche, carichi di forti significati simbolici, di sensi reconditi, che la Chiesa, guidata dallo Spirito (cf. Gv 16, 13), scopre progressivamente nell’incessante meditazione della Scrittura. Sono gesti che, con stupenda varietà di forme, disvelano la diaconia della donna nei confronti della Parola: ascolto e custodia, meditazione e confronto, memoria e profezia, annuncio salvifico e sostegno nell’ora della semina lungo le strade del mondo. Da tutto ciò Giovanni Paolo II ha tratto il convincimento che da parte di Cristo «le verità divine» sono state affidate «alle donne al pari degli uomini».233 E noi formuliamo l’auspicio che l’ora della ‘nuova evangelizzazione’ sia anche l’ora in cui venga restituita alla donna, in molti servizi ecclesiali, la parola da cui, per secolari condizionamenti culturali, è stata privata.

88.    Da più di quarant’anni la ‘questione femminile’ figura frequentemente nel dibattito ecclesiale. A chiusura dei suoi lavori (8 dicembre 1965), il Concilio inviò un Messaggio alle donne nel quale dichiarava che «la Chiesa è fiera [...] d’aver esaltato e liberato la donna, d’aver fatto risplendere nel corso dei secoli, nella diversità dei caratteri, la sua uguaglianza fondamentale con l’uomo» e affidava ad esse, credenti e non credenti, il compito di riconciliare «gli uomini con la vita», di trattenere «la mano dell’uomo che, in un momento di follia, tentasse di distruggere la civiltà umana», di «salvare la pace del mondo».234
     Era giusta senza dubbio la rivendicazione conciliare del ruolo avuto dalla Chiesa nel processo di liberazione e di promozione della donna: incontestabilmente, un ruolo positivo. Tuttavia il messaggio conciliare, nel suo insieme, presentando l’‘immagine della donna’ risentiva di certi stereotipi derivanti più dalla tradizione culturale che dalla specifica natura femminile. Inoltre non faceva menzione di zone di ombra che, in quel processo, erano state determinate o non impedite da interventi ecclesiastici: negligenze e lentezze che Giovanni Paolo II ha riconosciuto e di cui ha chiesto venia alle donne stesse.
     Dalla fine del Concilio si sono susseguiti molti documenti ecclesiali: della Sede Apostolica, delle Conferenze episcopali — continentali, nazionali, regionali —, di singoli vescovi, di movimenti ecclesiali di varia natura — associazioni laicali, comunità di base, istituti di vita consacrata... —. Si può affermare che non c’è programma pastorale di ampio respiro che non dedichi un capitolo al tema della promozione della donna. Tra quei documenti sono da segnalare alcuni interventi di Paolo VI, in occasione dell’Anno Internazionale della Donna (1974), e alcune pagine dell’esortazione apostolica Marialis cultus (2 febbraio 1974); la lettera apostolica di Giovanni Paolo II Mulieris dignitatem (15 agosto 1988) «sulla dignità e vocazione della donna», concomitante con la celebrazione dell’Anno mariano (25 marzo 1987 — 7 giugno 1988), alcuni significativi testi dell’esortazione apostolica postsinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), il messaggio Donna, educatrice di pace (1 gennaio 1995), in occasione della XXVIII Giornata mondiale della pace, la Lettera alle Donne (29 giugno 1995), scritta in prossimità della IV Conferenza Mondiale sulla Donna (Pechino, settembre 1995).
     Nel loro insieme questi documenti hanno contribuito a suscitare nelle varie componenti della Chiesa una presa di coscienza sull’importanza e l’urgenza della ‘questione femminile’; a scalzare convinzioni profondamente radicate e consuetudini che sembravano immutabili; a far conoscere più compiutamente i condizionamenti secolari che hanno gravato sulla donna coartandone la libertà, impedendone lo sviluppo e offendendone la dignità; a individuare i diritti conculcati nel campo della famiglia e dell’istruzione, del lavoro e della partecipazione alla vita sociale e politica, e a prendere atto delle legittime istanze delle donne; a denunciare le forme di violenza, sostenute da varie ideologie, di cui esse sono tuttora vittime in molti paesi; a leggere in una più giusta luce certi testi della Scrittura che si prestavano a interpretazioni di contenuto misogino e a divulgare, sfatando luoghi comuni, alcune acquisizioni dei numerosi studi compiuti su ‘le donne nella Bibbia’ e su ‘Gesù e le donne’, a comprendere la relatività di alcune pagine patristiche e di alcune usanze liturgiche; a rendersi conto della situazione di subordinazione della vita consacrata femminile nei confronti di quella maschile.
     Negli ultimi quarant’anni il cammino compiuto dalla Chiesa nella promozione della donna è rilevante ma, dato il ritardo secolare, il tratto di strada da percorrere è ancora più lungo.

Alcune indicazioni

89.    Perché il nostro proposito di essere, come Servi e Serve di Maria, al servizio della ‘promozione della donna’ non resti inefficace, ci sembra utile fornire alcune indicazioni tratte dall’esperienza e ancora una volta dalla riflessione sulla figura della Vergine del Magnificat.

90.    Attenzione alla ‘questione femminile’. Il primo servizio che possiamo offrire alla causa della ‘promozione della donna’ è quello di una grande apertura e attenzione al mondo femminile, ai suoi problemi e alle sue aspirazioni nella comunità ecclesiale. Quanto abbiamo fatto finora a questo riguardo? Possiamo affermare, ad esempio, di aver accolto l’«appello accorato» di Giovanni Paolo II «perché da parte di tutti [...] si faccia quanto è necessario per restituire alle donne il pieno rispetto della loro dignità e del loro ruolo»?235 Lo stesso Santo Padre, pensoso, riflette: «Guardando a lui [Cristo], sullo scorcio di questo secondo millennio, viene spontaneo chiederci: quanto del suo messaggio [di liberazione delle donne] è stato recepito e attuato?».236 Siamo certi, per restare nell’ambito della Famiglia Servitana, che le sorelle Serve di Maria sono adeguatamente valorizzate in molti settori dell’attività pastorale in cui potrebbero dare un apporto significativo, pari a quello degli uomini, per l’annuncio del Vangelo e l’edificazione del Regno?237
     L’attenzione alla ‘questione femminile’ suppone l’abbandono sia di un colpevole immobilismo, che rischia di diventare connivenza con l’ingiustizia, sia di un avventato radicalismo che inasprisce le situazioni. Esige invece una disponibilità sincera a cambiare mentalità, ad abbandonare pregiudizi inveterati, a rinunciare a espressioni sprezzanti nei confronti delle donne, a valutazioni e giudizi grevi che i maschi si tramandano con la sottile persuasione che, al di là della forma arrogante, essi siano ‘in fondo’ esatti, frutto di ‘sapienza popolare’. Richiede infine un atteggiamento di genuina delicatezza ispirato a profondo senso di rispetto; la rinuncia ad ogni forma di protezione paternalistica; la convinzione del primato della persona, a prescindere dal sesso, e della reciprocità e complementarietà dei sessi fondata sul valore primigenio della loro pari dignità.

91.    Liberarsi dalla paura. La paura — si sa — paralizza, impedisce l’azione, genera immobilismo. Antiche paure sembrano affacciarsi ogni volta che si affronta la questione della ‘promozione della donna’: paura di accettare che le cose stiano in modo diverso da come le abbiamo pensate e vissute finora; paura del cambiamento, le cui conseguenze non sono sempre prevedibili né riconducibili ai nostri schemi culturali o teologici.
     In noi la paura deve cedere il posto al discernimento, alla serena fiducia nel progetto di Dio e nella sua presenza nella vita della Chiesa. Non poche esperienze ecclesiali, del resto, hanno mostrato che cambiamenti che sembravano forieri di ‘catastrofi’ si sono risolti in benefiche realtà.

92.    Nella luce della Vergine. Nella questione della ‘promozione della donna’ la vicenda di Maria di Nazaret offre molti spunti di riflessione e varie indicazioni per la nostra azione:

— la Vergine del fiat è una donna che decide. La tradizione cristiana ha rilevato ripetutamente la saggezza di cui dà prova Maria di Nazaret nel colloquio con Gabriele e l’importanza del suo consenso in ordine alla salvezza del genere umano. Nell’episodio dell’Annunciazione, la Vergine si mostra capace di autonomia e di assumere responsabilità che avrebbero potuto creare attorno a lei, dato il contesto sociale religioso culturale, meraviglia, incomprensione e scandalizzato rifiuto. L’atteggiamento di Maria, autonomo, deciso, aperto alla grazia di Dio, ci pone la domanda: la donna, per decidere con responsabilità nel campo naturale e soprannaturale, ha sempre bisogno della ‘mediazione’ dell’uomo? non esiste in molti uomini, in modo latente o esplicito, la tendenza a ‘tenere sotto controllo’ qualsiasi decisione delle donne in campo ecclesiale?

— la Vergine del Magnificat che canta Dio salvatore degli oppressi (cf. Lc 1, 51-53) ammonisce che, pur senza spirito di contesa, dobbiamo stare dalla parte degli oppressi: come Dio stesso, come lei. Ciò significa essere dalla parte delle donne, perché esse, per millenni, sono state e sono tuttora oggetto di molte forme di oppressione e di grave emarginazione. Ma non basta schierarsi dalla parte delle donne; è necessario andare oltre e rimuovere la visione secondo cui la debolezza della donna è un fatto di natura (il sesso debole), radice quindi di una inevitabile dipendenza-inferiorità nei confronti dell’uomo, e non una conseguenza di millenarie concezioni culturali e radicati condizionamenti storici;

— gli atteggiamenti e le parole di Maria a Nazaret (cf. Lc 1, 26-38), nella casa di Zaccaria (cf. Lc 1, 39-56), nella sala delle nozze a Cana (cf. Gv 2, 1-5), sul monte Calvario (cf. Gv 19, 25-27), nel «piano superiore» della casa dell’attesa pentecostale (cf. At 1, 13.14) indicano Maria come la grande collaboratrice di Dio. La misteriosa collaborazione fra Dio e la Vergine è certamente irripetibile: fa parte di un singolare e insondabile disegno dell’Altissimo. Ma la straordinarietà del caso di Maria non deve essere motivo o inconfessata scusa per isolarla e considerarla a parte dalle altre donne: nell’economia neotestamentaria Maria di Nazaret è la prima donna che collabora con Dio per la realizzazione del progetto salvifico, non l’unica; per la sua fede e il dono della maternità divina, ella è «beata» (Lc 1, 45) e «benedetta tra le donne» (Lc 1, 42), ma non la sola: la sua beatitudine si prolunga, se pure in misura diversa, in tutte le donne — e per altro in tutti gli uomini che con fede fanno la volontà del Padre, accogliendo Cristo, sua Parola vivente (cf. Mc 3, 35; Mt 12, 50; Lc 8, 21).

93.    A questo punto ci sembra utile completare la riflessione sul valore paradigmatico della figura della Vergine per la ‘promozione della donna’ con alcune considerazioni, non nuove certamente, ma non sempre sufficientemente presenti nel momento operativo. È necessario:

— ricordare che ogni collaborazione della creatura con il Creatore è espressione di condiscendenza divina ed è possibile solo per il dono della grazia: è azione dello Spirito che previene e accompagna l’azione della creatura. La stessa collaborazione della Vergine all’attuazione del progetto salvifico non è di natura diversa da quella delle altre donne, né la collaborazione di queste è di genere diverso o inferiore a quella degli uomini. Il «sì» operante di Maria è segno e paradigma dell’adesione di fede e amore con cui ogni uomo e ogni donna deve rispondere alla chiamata del Signore;

— evitare che si produca, come è avvenuto in alcune epoche, un certo, nocivo isolamento della figura di Maria da quella delle altre donne. Esso è stato determinato da una non illuminata esaltazione della Vergine in campo sia dottrinale — in alcuni trattati di mariologia, ad esempio — sia cultuale ed ha causato, secondo molte testimonianze, un senso di frustrazione tra le stesse donne: veniva loro proposto di imitare colei che peraltro era presentata come l’irraggiungibile, l’inaccessibile, la personificazione di ogni virtù, anzi della stessa perfezione. Ciò non ha giovato a far progredire armonicamente la causa della ‘promozione della donna’ e la pietà mariana. Contro quell’orientamento si deve ribadire, con la Chiesa, che i singolari doni di grazia conferiti a Maria e l’unicità della sua missione non annullano la sua condizione creaturale. Pur privilegiata, essa è figlia di Adamo, di ogni donna è sorella, con ogni donna condivide i limiti della condizione umana, il rischio e la gloria della libertà, la necessità di decidere, la fatica della fede;

— rifiutare la ricorrente, se pur larvata, tendenza a vedere in Dio, il Padre, e in Gesù, il figlio maschio, l’espressione più eminente del sesso maschile, e in Maria, donna, l’espressione più alta del sesso femminile, e quindi a dedurre implicitamente la superiorità del primo sul secondo. Ciò è inammissibile: le distinzioni umane del sesso non sono affatto riferibili a Dio, nel quale è ogni perfezione riscontrabile nell’uomo e nella donna, fatti a sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1, 26-27);238

— parimenti è da escludere la proposta surrettizia, se pur suffragata da qualche voce patristica, di ritenere Cristo modello degli uomini e Maria modello delle donne. Ciò è gravemente fuorviante. La Vergine di Nazaret non è patrocinante di alcun tipo storico-culturale di donna. La sua esemplarità si esercita nell’ordine della grazia ed è connessa alla sua condizione discepolare; la Vergine Maria infatti è proposta all’imitazione dei fedeli «perché nella sua condizione concreta di vita [...] aderì totalmente e responsabilmente alla volontà di Dio (cf. Lc 1, 38); perché ne accolse la parola e la mise in pratica; perché la sua azione fu animata dalla carità e dallo spirito di servizio; perché, insomma, fu la prima e la più perfetta discepola di Cristo: il che ha un valore esemplare, universale e permanente».239

94.    Ciò non impedisce tuttavia che la beata Vergine costituisca, in linea profetica, la più alta espressione della femminilità,240 la «donna per eccellenza», personificazione della «dignità radicale delle donne».241 Maria fu donna. Come donna, «con tutto il suo “io” umano, femminile»,242 pronunziò il fiat sponsale (cf. Lc 1, 38); come donna concepì e diede alla luce un figlio, Gesù; come donna lo allattò e lo allevò; in lei, nella sua specifica condizione di donna (cf. Gv 2, 4; 19, 26; Gal 4, 4; cf. Ap 12, 1), si compie la profezia sull’Eva messianica (Gen 3, 15); nella sua qualità di «madre di Gesù», ella fu presente alle nozze di Cana (cf. Gv 2, 1), presso la croce (cf. Gv 19, 25) e nella casa dell’attesa pentecostale (cf. At 1, 14).
     Noi siamo persuasi che la presentazione della Vergine quale realizzazione massima del «genio femminile» deve essere compiuta nella più rigorosa aderenza alla figura biblica di Maria e alla luce della tradizione — patristica, liturgica, magisteriale — della Chiesa; non sulla base di una figura di «donna ideale» dai contorni più o meno mitici, sulla quale si proiettano i connotati storico-culturali elaborati nelle diverse epoche. Una tale raffigurazione di santa Maria non solo non favorisce la causa della ‘promozione della donna’, ma in alcuni ambienti determina un rifiuto della figura della Vergine.

95.    Dovere di coerenza. Nel nostro tempo sono frequenti le affermazioni di principio sulla pari dignità tra uomo e donna, sulla necessità di porre fine a millenarie ingiustizie, di favorire la causa della ‘promozione della donna’, di affidare ad esse giuste responsabilità nella società civile e nella comunità ecclesiale. Esse provengono non di rado da voci altamente autorevoli. Ma contemporaneamente si osserva una grande lentezza nell’applicazione pratica di tali principi; persistono infatti spesso le situazioni che nel passato determinarono l’emarginazione sociale ed ecclesiale della donna.
     Dobbiamo essere grati al Signore perché molti Istituti di vita consacrata, segnatamente la Compagnia di Gesù,243 hanno incluso nella loro programmazione apostolica l’impegno di lavorare per un ‘mutamento strutturale’ della condizione della donna.
     Anche noi, fratelli e sorelle della Famiglia Servitana, per fedeltà all’insegnamento evangelico, per amore della Vergine che salutiamo come «nostra Donna», per lealtà verso il Magistero della Chiesa, dobbiamo:

— collaborare a dissipare atavici pregiudizi; a combattere il maschilismo aggressivo e arrogante, profondamente antievangelico; a rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla realizzazione di una effettiva parità tra uomini e donne;

— appoggiare le istanze dei movimenti che, come riconosce il Santo Padre, lottano «contro tutto ciò che nel passato e nel presente, ha ostacolato la valorizzazione e il pieno sviluppo della personalità femminile, nonché la sua partecipazione alle molteplici manifestazioni della vita sociale e politica. Si tratta di istanze, in gran parte legittime, che hanno contribuito ad una più equilibrata visione della questione femminile nel mondo contemporaneo. Verso tali istanze la Chiesa, soprattutto in epoca recente, ha mostrato singolare attenzione, incoraggiata anche dal fatto che la figura di Maria, se letta alla luce della sua vicenda evangelica, costituisce una valida risposta al desiderio di emancipazione della donna»;244

— favorire l’impegno di quanti mirano al riconoscimento giuridico del ruolo che le donne svolgono di fatto in vari settori — apostolico, accademico, cultuale, amministrativo... — della vita della Chiesa;

— promuovere nelle nostre associazioni, istituzioni pastorali ed educative una effettiva, paritaria cooperazione, fondata sul riconoscimento della sostanziale uguaglianza e pari dignità tra uomini e donne.

Al servizio della liberazione dell’uomo
e della dignità degli ultimi

96.    Il Magnificat è il canto della liberazione messianica, definitiva. La Vergine lo ha innalzato dopo che Dio «ha spiegato il suo braccio potente» (cf. Lc 1, 51) perché nel suo seno concepisse il Messia Salvatore. In Maria ha di nuovo agito la potenza liberatrice del Dio dell’Esodo (cf. Es 3, 19-22; Dt 26, 8; Sal 136, 12).
     Nella liberazione messianica, Maria è, in verità, la prima liberata. Il suo «salvatore» (Lc 1, 47) «ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1, 48), come aveva guardato la miseria del suo Popolo in Egitto ed era sceso a liberarlo (cf. Es 3, 7-8; Dt 26, 5-7); come aveva guardato all’umiliazione di donne sterili e le aveva reso feconde: Sara (cf. Gen 16, 4-5; 17, 19; 18, 10; 21, 1-2); Lia (cf. Gen 29, 31-32), Anna (cf. lSam 1, 11.19-20). Dio «guarda» sempre i piccoli, per prendersene cura (cf. Sal 102, 20s; 33, 18-19; 34, 16; 138, 6). La sua opzione preferenziale per i poveri percorre e caratterizza tutta la storia della salvezza.
     La Vergine si sente oggetto particolarissimo di questa opzione. Lei, l’«umile serva», la povera del Signore, l’ultima è diventata la prima, l’insignificante agli occhi del mondo è diventata la benedetta della storia: «d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1, 48).
     Maria esulta, ma non si esalta; non si proclama liberatrice, ma liberata. Dio è il liberatore. Ella è la «serva», serva del Liberatore per eccellenza, serva nel senso di collaboratrice di Dio, strumento della liberazione da lui operata; come «servi» furono Abramo (cf. Gen 26, 24), Mosè (cf. Es 14, 31; Nm 12, 7), Davide (cf. Sal 18, 1; 2Sam 7, 8), i profeti (cf. 2Re 9, 7); come «servo», se pure in modo particolarissimo, sarà il Messia, il «Servo sofferente» (cf. Is 42, 1-4; 49, 1-6; 50, 4-9; 52, 13-53, 12).

97.    Riflettendo sul cammino di kénosis e di esaltazione percorso da Maria, ci rendiamo conto che l’umiltà è la via da seguire (cf. Lc 1, 48; Mt 11, 29), l’orgoglio è il potente oppressore da cui liberarsi. La Vergine stessa proclama che Dio «ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore» (Lc 1, 51). Chi sono per Maria i superbi? Probabilmente per lei, come per ogni pio ebreo, sono quei potenti che nel corso della storia perseguitarono il suo popolo: il Faraone, Nabucodonosor, Antioco IV Epifane, Nicanore, Aman. Maria li denuncia non perché potenti, ma perché prepotenti, arroganti, appunto «superbi nei pensieri del loro cuore».
     Come insegna Gesù, la radice di ogni dominazione si trova nel cuore dell’uomo: «dal cuore degli uomini escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza» (Mc 7, 21-22). Veramente l’orgoglio è il nostro «dittatore interiore». Pertanto, una liberazione che si fermi al livello delle strutture esterne di oppressione, senza intaccare le loro radici spirituali non è una liberazione radicale.
     Ed ecco per i Servi e le Serve un interrogativo fondamentale: come liberare gli oppressi senza essere liberi e liberati nel proprio cuore? Sarebbe una contraddizione lancinante se quelli che si dicono «servi» e «serve» volessero essere signori e dominatori «nei pensieri dei loro cuori». Quale liberazione potrebbe produrre un cuore simile? E si pone un altro interrogativo: come allora ricercare in tutta umiltà la liberazione che solo la grazia dello Spirito può dispensare? La grazia è infatti la liberazione della nostra libertà.

98.    La Vergine del Magnificat sa che la liberazione messianica è integrale: esige rapporti di amore con Dio e rapporti di pace tra gli uomini; esige che le catene dell’oppressione (cf. Is 58, 6; 61, 1) siano sostituite con i vincoli della comunione e della solidarietà. Ma l’orgoglio umano continua ad avere un’incarnazione sociale nei «potenti» seduti sui loro «troni» e nei «ricchi» con le mani piene (cf. Lc 1, 52.53), sempre pronti a calpestare gli umili. Maria stessa subirà, con il Figlio e a causa di lui, la persecuzione dei grandi: Erode, Archelao, Erode Antipa, Pilato, Anna e Caifa. Con amaro realismo noi professiamo nel Credo che Gesù, suo figlio, «patì sotto Ponzio Pilato».
     Ma la Profetessa del Magnificat sa che l’ultima parola è di Dio, che l’«Onnipotente... rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili» (Lc 1, 49.52); si pone accanto agli umiliati e agli offesi di questo mondo per restituire ad essi dignità e speranza. Maria di Nazaret denuncia coraggiosamente le oppressioni sociali, ma più ancora annuncia gioiosamente la liberazione divina.

99.    Come Maria, Serva del Liberatore, vogliamo anche noi essere Servi e Serve della liberazione messianica. Ora, questa liberazione, oltre alla fondamentale dimensione soteriologica, e a causa di essa, possiede una dimensione etico-sociale.245
     In questa fine di secolo l’oppressione presenta un profilo più vario e sfumato ma non meno grave e scandaloso di quella dei regimi militari e totalitari dei decenni precedenti. Essa ha assunto la forma dell’esclusione sociale ed ha molti volti: il volto preoccupato dei disoccupati; il volto senza sorriso dei bambini «di strada»; il volto pensoso degli emigranti; il volto spento dei tossicodipendenti; il volto degli anziani segnato dalla fatica; il volto senza luce dei malati di Aids. Misteriosi volti di Cristo.
     Non parliamo ora degli esclusi più noti: le donne, di cui abbiamo detto sopra,246 le minoranze razziali minacciate di estinzione, le etnie combattute e oggetto di umilianti «pulizie». Dappertutto, come rileva Giovanni Paolo II, «le nostre città rischiano di diventare società di esclusi, di emarginati, di rimossi e di soppressi».247
     Tra le cause di questa realtà drammatica, creata da una «società escludente», è il capitalismo neoliberista che, fallita l’esperienza totalitaria del collettivismo marxista, diffonde un altro totalitarismo: l’ideologia del mercato come valore assoluto, cioè svincolato dalle esigenze del bene comune, sorretta da una concezione della libertà priva di qualsiasi riferimento etico e religioso.248 A monte di tale ingiusta situazione, si trova un sistema socio-culturale inaccettabile nella misura in cui favorisce l’individualismo in tutte le sue forme: il soggettivismo, il relativismo, l’edonismo.249

l00.    Quali sono le interpellanze che i volti degli esclusi rivolgono a noi, Famiglia Servitana? Come rispondere ad esse? La Vergine del Magnificat ci suggerisce alcuni atteggiamenti di fondo, atti a qualificare il nostro servizio mariano-servitano in favore della liberazione degli esclusi di oggi.250

Senso della piccolezza. Davanti ai grandi problemi della società, conserviamoci umili. Come Maria, la piccola. Non pretendiamo di essere i «salvatori» o i «riformatori del mondo». Tuttavia, rifuggendo da ogni quietismo sociale, mettiamoci al lavoro, come i «servi inutili» ma operosi del Vangelo (cf. Lc 17, 7-l0). Un granello di solidarietà ha maggior peso di una montagna di parole e di sogni. Ogni tentativo che abbia buon esito è una stella che brilla per sempre. Ogni gesto ispirato dall’amore, anche se piccolo, è liberatore. Solo l’amore conta, resta e primeggia (cf. lCor 13, l3).251

Occhi aperti sul mondo. Nel Magnificat Maria di Nazaret guarda il mondo con profondo senso di realismo: vi riconosce i contrasti tra i «potenti» e gli «umili»; tra i «ricchi» e gli «affamati». Si pone così nella tradizione delle grandi Madri e delle Donne liberatrici di Israele: Sara, madre di Isacco, il figlio della promessa (cf. Gal 4, 23); Maria, la sorella di Mose, che guida il canto di vittoria dopo il passaggio del Mar Rosso e la liberazione di Israele; Debora, la profetessa, vincitrice di Sisara; Ester, che salva il suo popolo dal decreto di sterminio. Come Maria, per offrire un servizio efficace, i Servi e le Serve devono «scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo»,252 individuare le cause strutturali delle varie situazioni di oppressione, essere attenti alle interpellanze dello Spirito in vista di un impegno generoso.253

Occhi di misericordia. Nel mondo Maria vede schiere di sofferenti: su di essi posa i suoi «occhi misericordiosi».254 Per due volte nel suo cantico risuona la parola ‘misericordia’ (cf. Lc 1, 50.54). Essa indica il grande movente dell’agire di Dio nella storia del mondo e, soprattutto, nel suo rapporto con il popolo dell’Alleanza. Ma per noi, Servi e Serve di Maria, che cosa significa, oggi, misericordia? Vogliamo che ‘misericordia’ abbia per noi il significato che ebbe per la Vergine, donna ebrea, nutrita della spiritualità del suo popolo, il cui Dio è «buono e misericordioso, lento all’ira e grande nell’amore» (Sal 103, 8). Misericordia è rivolgere con affetto lo sguardo verso l’altro — il povero, il misero, il peccatore, l’afflitto... — e fargli del bene con cordiale solidarietà. Misericordia per noi, come per tutti i discepoli di Gesù (cf. Lc 6, 36), è compassione attiva, presenza affettuosa, comunione e solidale prossimità nei confronti di tutti gli uomini e di tutte le donne, soprattutto degli emarginati ed esclusi. Della misericordia della Vergine vogliamo essere segno e prolungamento.255 E come Maria fu presso la Croce, così noi «Servi della Madre, vogliamo essere con lei ai piedi delle infinite croci»,256 dove Cristo è ancora crocifisso nei crocifissi della storia.

Senso dell’incarnazione. Esso implica concretezza, capacità di affrontare la realtà. Maria è la donna del mistero del Verbo incarnato, cioè della massima concretezza nell’incontro tra Dio e l’uomo: in lei e per lei il Verbo si è fatto uomo, accolto prima nel cuore (cf. Lc 1,38; 8, 21; 11, 28), poi nel grembo. Nell’ambito dell’incarnazione del Verbo, vita germogliata nel suo grembo verginale, Maria compie il suo servizio nei confronti di Elisabetta (cf. Lc 1, 39.56) e intona il suo canto.
     Come la loro Signora, i Servi e le Serve non possono lasciare cadere le braccia davanti agli immensi problemi del nostro tempo, ma devono essere pronti a stendere, cordiale e fattiva, la mano al fratello e alla sorella più prossimi. E sempre nella più grande gratuità (cf. Mt 10, 8); i Servi e le Serve devono essere disposti a servire quelli che la società dell’efficienza e del potere considera «inutili» e deboli: gli handicappati mentali, i nascituri, gli anziani, i malati terminali.

Aprire orizzonti di speranza. La tradizione cristiana chiama la Vergine «Santa Maria della speranza». Il titolo trae origine dal suo atteggiamento in due eventi essenziali della storia della salvezza, che la vedono protagonista: il primo, l’attesa del parto, quando lei, gravida del Verbo, sta per dare alla luce Cristo, speranza dell’umanità; il secondo, l’attesa di un nuovo parto, quando lei, piena di fede e di speranza, attende che il Figlio deposto nella tomba risorga a nuova e immortale vita.257
     Dal cuore della Vergine della speranza è sgorgato il Magnificat, canto di speranza: speranza nella «rivoluzione di Dio», che «rovescia» le strutture oppressive ed escludenti. Ai giorni nostri, in cui va progressivamente diminuendo la tensione utopica, i Servi e le Serve dovranno avere il coraggio della speranza, mantenere viva la tensione verso il futuro, alimentare in sé e negli altri il sogno di un mondo nuovo, evitare ogni atteggiamento fatalistico e credere di poter intervenire nella storia. E ciò con la fede stessa di Maria, la quale sa che «a Dio nulla è impossibile» (Lc 1, 37; cf. Gen 18, 14; Ger 32, 27). Come la sua, anche la nostra speranza è fondata in Dio: «nella potenza del suo braccio... che rialza gli umili» (Lc 1, 51.52); nelle promesse fatte «ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre» (Lc 1, 55), di liberarci da ogni oppressione (cf. Lc 1, 73-74).
     Come il profeta cantore della gloria di Sion, ogni membro della Famiglia Servitana deve dire:

Per amore di Sion non tacerò,
per amore di Gerusalemme non mi darò pace,
finché non sorga come stella la sua giustizia,
e la sua salvezza risplenda come lampada (Is 62, 1).

     Deve valorizzare ogni seme di speranza che incontri nel suo cammino, ad imitazione del Maestro, a cui l’evangelista applica la parola del profeta: «La canna incrinata non spezzerà, non spegnerà il lucignolo fumigante, finché abbia fatto trionfare la giustizia» (Mt 12, 20; cf. Is 42, 3).

Al servizio della vita e delle opere di Dio

101.   Il Magnificat è un inno alla vita. Maria lo canta quando è gravida e perché è gravida del «Verbo della vita» (1Gv 1, 1). Nel suo seno «la Vita si è fatta visibile» (1Gv 1, 2), perché fosse vita e luce degli uomini (cf. Gv 1, 4).
     Perché la Vergine ha nel cuore e nel grembo la Vita, sulle sue labbra fiorisce il cantico al Dio della vita, sboccia la lode al suo amore fedele e misericordioso, che abbraccia tutta la storia dell’uomo: «di generazione in generazione si stende la sua misericordia» (Lc 1, 50), particolarmente in favore della «discendenza» di Abramo, come egli «aveva promesso» (Lc 1, 55).
     Il popolo cristiano vede in Maria la Madre per antonomasia e, pieno di venerazione e di stupore, la contempla nel mistero della sua maternità divina e messianica: quando è incinta del Messia Salvatore, o mentre adora il Bambino che ella ha generato,258 o lo avvolge in fasce e lo depone in una mangiatoia (cf. Lc 2, 7), o lo allatta al verginale seno; atti umanissimi, carichi di profondo simbolismo.
     Maria è Madre della Vita, perché dal suo grembo è nato l’«Autore della vita» (At 3, 15).259 Tale è salutata dai Padri e dalla Liturgia:

Da te, Vergine Madre di Dio,
è nato il Sole di giustizia,
Cristo nostro Dio:
Egli ha tolto la condanna e ha portato la grazia,
ha vinto la morte e ci donato la vita.
260

Poiché colui che in te s’incarnò
era Dio fin dal principio
e Vita più antica dei secoli,
era giusto che anche tu, Madre della Vita,
andassi ad abitare insieme con la Vita
e la tua dormizione fosse come un sonno
e l’assunzione come un risveglio,
essendo tu la Madre della Vita.
261

Colui che dimorò in un grembo sempre vergine,
ha assunto alla vita la Madre della Vita.
262

     Molti Istituti di vita consacrata hanno fatto scelte precise e forti in favore della vita. Anche noi, Servi e Serve di Maria, sentiamo urgente la chiamata ad essere al servizio della vita, a far parte di quel «popolo della vita e per la vita», al quale ripetutamente si appella Giovanni Paolo II per promuovere, a dimensioni universali, la causa della vita.263

102.    Dobbiamo divenire, quindi, promotori della vita. Anzitutto di quella vita per la quale Gesù afferma di essere venuto tra gli uomini: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10, 10); vita che è comunione con Dio, partecipazione per grazia alla sua natura (cf. 2Pt 1, 4), frutto della rigenerazione battesimale; vita piena, senza confini, eterna; vita da custodire e difendere con estrema cura, perché non la spenga il Maligno, «omicida fin dal principio» (Gv 8, 44); vita, per cui la «Madre della Vita» è anche la «Madre dei viventi» (Gen 3, 20), perché come la culla di Betlemme guarda alla croce del Calvario, così la maternità divina guarda alla maternità universale.

Minacce alla vita

103.    Gravi minacce incombono oggi sulla vita, dono di Dio «amante della vita» (Sap 11, 26). Alla forza vittoriosa di Cristo risorto — il cavaliere del bianco cavallo dell’Apocalisse (cf. Ap 6, 2) — si oppongono, impetuose e travolgenti, le forze della violenza, dell’ingiustizia, della morte con il suo corteo di mali,264 — i cavalli dagli aggressivi, tetri colori: rosso fuoco, nero, verdastro — (Ap 6, 4.5.8). Essi sono oggi la fame, che devasta i tre quarti dell’umanità, specialmente nell’emisfero australe; la guerra, che in molte parti del mondo continua a seminare dolore, morte e miseria, alimentata da grette rivendicazioni territoriali, da odi etnici, da fanatismo religioso; l’ingiustizia criminosa, con i suoi frutti di morte: omicidio, suicidio, eutanasia, aborto — il frutto più amaro —, usura e tutte le forme di sfruttamento, prodotti di una cultura che ha perso l’amore per la vita, contro la quale si è alzata vigorosa la voce profetica del Santo Padre nell’enciclica Evangelium vitae (25 marzo 1995); la devastazione ecologica, risultato di un antropocentrismo assoluto, ispiratore di un sistema economico e sociale, il quale, mosso dal pungolo dello sfruttamento senza limiti, esaurisce l’uomo e la natura.

104.    Il flagello della fame. Ogni anno la fame uccide milioni di persone. Omettiamo le cifre precise: sono note, sono spaventose, eppure non trasmettono tutta la drammaticità dell’esperienza dell’‘aver fame’. Solo la vicinanza ai poveri fa capire qualcosa della tragedia della fame e spinge all’indignazione genuina e alla solidarietà con i poveri in vista della loro liberazione.
     La calamità della fame oggi è paradossalmente aggravata dal progresso tecnologico, il quale se per un verso potenzia la capacità umana di produrre alimenti, per l’altro crea disoccupazione e, a causa delle ferree leggi di mercato, sospinge molti lavoratori ai margini della società.

105.    Nel Magnificat Maria di Nazaret riflette un’altra esperienza. Ella una ‘povera del Signore’, proclama che il Potente «ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1, 52-53). E con ciò sembra suggerire che la soluzione del problema della fame nel mondo non è riservata agli economisti né raggiungibile con le sole leggi di mercato; essa richiede l’apporto di principi etici e pertanto impegna ogni discepolo di Gesù.
     La Sposa di Giuseppe (cf. Lc 1, 27), il carpentiere (cf. Mt 13, 55), è una «donna forte che conobbe la povertà».265 Dall’esperienza del suo popolo e dalle promesse divine, ella sa che Dio sfamerà i poveri (cf. Es 16; Is 65, 13.21-23). Sa pure che nel regno messianico, inaugurato nel suo grembo, vi è ‘pane’ a sazietà per lo spirito, il cuore, il corpo.
     Maria anticipa nel Magnificat ciò che farà il suo Figlio, quando annuncerà la Buona Novella per le strade della Palestina. Gesù infatti:

— proclama che, nel suo Regno, Dio sazierà gli affamati: «Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati» (Lc 6, 21);

— moltiplica il pane per la folla che lo segue e che, non avendo nulla da mangiare, rischia di venir meno per via (cf. Mc 6, 30-44; 8, 1-10);

— comanda di sfamare i poveri, suoi fratelli e sorelle «più piccoli», nei quali si identifica (cf. Mt 25, 35.40).

     Veramente il Figlio di Maria è venuto tra gli uomini a portare «la vita e la vita in abbondanza» (cf. Gv 10, 10).

106.    Ritorna la domanda ineludibile: possiamo noi, Servi e Serve di Maria, rimanere insensibili davanti alla tragedia della fame, che uccide milioni di persone ogni anno? Non siamo noi servi e serve della vita? Per avviare una riflessione operante, vi offriamo alcune indicazioni:

— rinnovare la pratica della carità, in forme adeguate alle condizioni del luogo in cui ci troviamo ad operare, non esclusa l’‘elemosina segreta’ (cf. Mt 6, 4), a chi, bisognoso, bussa alla nostra porta o incontriamo lungo le nostre strade;

— favorire le iniziative di promozione umana, specialmente quelle dirette alla qualificazione del lavoro;

— promuovere nelle persone e nelle comunità una presa di coscienza dello squilibrio nell’organizzazione della società, che le spinga a lottare per un cambiamento delle attuali strutture, affinché il bene comune prevalga sul bene privato, anche nel campo delle conquiste della tecnologia. Allora la tecnologia non sarà più creatrice di esclusione, ma diventerà generatrice di crescita sociale.

107.    La devastazione ecologica. Nel nostro tempo la ‘questione ecologica’ preoccupa scienziati, politici, uomini e donne di buona volontà appartenenti ad ogni popolo e di ogni credo religioso. Preoccupa anche la Chiesa.266 Non senza allarme si assiste alla crescente devastazione della natura, sottoposta a un aggressivo e disordinato sfruttamento, deturpata nella sua originaria bellezza.
     La riflessione teologica mostra un crescente interesse per la ‘questione ecologica’. Essa mette in luce la bontà radicale del creato, che la Scrittura esprime con la suggestiva parola: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1, 31); esamina la natura del dominio che l’uomo e la donna avrebbero dovuto esercitare sulla terra (cf. Gen 1, 28; 2, 15) e ne precisa i limiti; si interroga sulla arcana decadenza del cosmo in seguito al peccato dell’uomo, per cui «tutto il creato divenne soggetto alla caducità, e da allora attende, in modo misterioso, di essere liberato per entrare nella libertà gloriosa insieme con tutti i figli di Dio (cf. Rm 8, 20-21)»;267 esalta la nobile vocazione dell’uomo, chiamato a partecipare all’azione creatrice di Dio nel mondo; denuncia le gravi responsabilità morali derivanti da azioni che turbano l’equilibrio dell’ecosistema, inquinano l’ambiente, distruggono, per un incauto sfruttamento delle risorse e una colpevole deforestazione, intere specie vegetali e animali. Tutto ciò non sarà senza conseguenze imprevedibili per la salute e per la vita delle future generazioni. La crisi ecologica è anzitutto un problema morale. Giovanni Paolo II ha avvertito: «Quando si discosta dal disegno di Dio creatore, l’uomo provoca un disordine che inevitabilmente si ripercuote sul resto del creato. Se l’uomo non è in pace con Dio, la terra stessa non è in pace».268

Aspetti cosmici della figura della Vergine

108.    A questo punto ci sembra utile offrire alcuni spunti di riflessione sul rapporto tra la figura della Vergine e la ‘questione ecologica’.

La «Mater Creatoris». Nelle Litanie lauretane invochiamo la Vergine Maria come «Madre del Creatore», di colui cioè per mezzo del quale «tutto è stato fatto» (Gv 1, 3; cf. Col 1, 16) e nel quale sussistono tutte le cose (cf. Col 1, 17). Nei salmi e cantici dell’Antico Testamento si ode spesso la voce della creazione intera che celebra il suo Creatore: lo lodano il sole, la luna e le fulgide stelle; il fuoco e l’acqua, la grandine e la neve (cf. Sal 104. 148. 150; Dn 3, 51-90); il Nuovo Testamento registra la testimonianza del Veggente di Patmos sulla lode della creazione a Dio e all’Agnello: «Tutte le creature del cielo e della terra, sotto terra e nel mare e tutte le cose ivi contenute, udii che dicevano: “A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli”» (Ap 5, 13-14). Ma l’omaggio che le creature rendono al loro Creatore — il Verbo incarnato — si riverbera sulla Madre. È nota la tradizione apocrifa sulla partecipazione della creazione al parto di Maria: piena di stupore, resta immobile. Lo testimonia Giuseppe di Nazaret: «Guardai nell’aria e vidi l’aria colpita da stupore; guardai verso la volta del cielo e la vidi ferma, immobili gli uccelli del cielo [...]. Ecco delle pecore spinte innanzi che invece stavano ferme».269
     Al tema di Maria «Madre del Creatore» si riallaccia l’altro, di forte ascendenza liturgica, che associa Maria alla Sofia biblica e le riconosce un ruolo cosmico.270

Il «Vertex creationis». La tradizione cristiana vede nella beata Vergine «la elettissima fra tutte le creature»,271 il ‘vertice della creazione’ dopo l’umanità santissima di Cristo. L’espressione ‘vertice della creazione’ indica la straordinaria perfezione creaturale di Maria, l’armonia esistente in lei tra natura e grazia. Riconoscendo l’eminenza della Vergine, la tradizione ha coniato molte formule per esprimere il rapporto tra lei e le creature:

Princeps opus tu cetera
inter creata praenites.

Quale prima e principale opera
tu rifulgi tra tutte le creature
.
272

     È un riconoscimento gioioso, espresso in termini di vicinanza, di comunione e di partecipazione. La Vergine è la «gioia del mondo»,273 per mezzo di lei «ogni creatura è benedetta» 274 e il cosmo si rinnova: «Cielo, stelle, terra, fiumi, giorno, notte e tutte le creature [...] si rallegrano, o Signore, di essere state per mezzo tuo in certo modo risuscitate allo splendore che avevano perduto, e di avere ricevuto una grazia nuova inesprimibile».275
     Nella creazione, radicalmente buona e bella (cf. Gen 1, 31), la Vergine rappresenta la somma bellezza — Tota pulchra 276 — e la piena armonia. In lei il cosmo ritrova l’originaria innocenza, per cui dinanzi a lei ogni creatura prorompe nella lode: «Te, Madre della luce, loda ogni creatura».277 Dalla creazione la liturgia assume le metafore più belle — luna, stella, sorgente, rosa, spiga, colomba... — per illustrare le virtù che ornano la Vergine, e la sua missione di grazia. Peraltro Apocalisse 12, 1 raffigura la Chiesa-Maria come la ‘Donna cosmica’, abbellita dagli elementi più splendidi del creato: il sole come veste, la luna come sgabello, le stelle — i dodici segni dello zodiaco — come corona.

La «Virgo inviolata». I movimenti ecologici deplorano soprattutto la violenza, spesso gratuita e inconsulta, inferta dagli uomini alla natura. Agli ecologisti il Santo Padre ha offerto una riflessione che è utile anche a noi, Servi e Serve di Maria, che vogliamo essere «al servizio delle opere di Dio»:

... mi domando: l’impronta verginale che segna la creazione dell’uomo (cf. Gen 2, 4b - 7. 22-23) e la sua ricreazione in Cristo, non ha nessuna ispirazione da offrire ai movimenti ecologici del nostro tempo che deplorano tante forme di violenza inferta alla creazione, il degrado della natura l’inquinamento dell’ambiente?
     Soprattutto il teologo deve mostrare ai nostri contemporanei che l’ideale dell’uomo nuovo, perfetto, si è compiuto in Cristo Gesù: Egli è l’Uomo (cf. Gv 19, 5). In Lui il progetto antropologico di Dio ha raggiunto la perfezione assoluta. Ora nella radice di Cristo — la sua concezione nel grembo di Maria — e la sua nascita alla vita definitiva — dal sepolcro inviolato — vi è un «elemento verginale» di grande portata in riferimento al suo essere, alla sua esemplarità per tutti i discepoli.
278

     Maria di Nazaret non subì corruzione. Degrado e inquinamento le furono estranei. Fu la «Vergine inviolata» nel corpo, nel cuore, nello spirito, quasi specchio posto davanti alla creazione che aspira al rispetto per la sua integrità.

Nell’alveo della nostra tradizione

109.    L’Ordine nostro sorge nell’ambito del movimento di vita evangelico-apostolica che ebbe origine tra la fine del secolo XII e gli inizi del secolo XIII; a quel movimento appartiene la figura forte e originale di san Francesco d’Assisi († 1226), proclamato da Giovanni Paolo II patrono dei cultori dell’ecologia.279 Nella sua vita egli offrì un esempio mirabile di «autentico e pieno rispetto per l’integrità del creato».280 San Francesco ebbe vivo il senso della ‘fraternità’ tra l’uomo e tutte le cose create da Dio; comprese che l’amore al Creatore esige rispetto per la creatura e che la pace con Dio è presupposto per edificare la pace con tutto il creato. L’‘intuizione ecologica’ di san Francesco esercitò un salutare influsso sui movimenti spirituali affini dal punto di vista della tipologia religiosa e vicini per motivi di ordine cronologico e geografico.
     A questo riguardo ci è gradito ricordare la vicenda di Monte Senario, dove i Sette decisero di stabilirsi per dare inizio alla nostra Famiglia: una vicenda di cui l’ammirazione per la natura, il rispetto di essa e la sua lettura in chiave religiosa sono componenti integranti.281
     Il modo con cui l’Autore della Legenda de origine Ordinis descrive la cima del Monte con il suo «bellissimo spiazzo», il «bosco ordinato», la «sorgente di ottima acqua» 282 rivela — diremmo oggi una ‘sensibilità ecologica’.
     Nel 1713, a distanza di secoli, il bosco di abeti è ancora fitto, tanto che fra Francesco M. Poggi († 1720), osserva soddisfatto che il «detto bosco» è «tutto pieno di folti abeti», piantati «non [...] alla rinfusa e senz’ordine, come sono gli alberi negli altri boschi», ma disposti come «corpo di ben ordinata milizia».283 Ma ciò non è frutto del caso, bensì delle precise e severe disposizioni contenute nelle Costituzioni de’ Romiti del Sacro Eremo, ispirate a un ammirato rispetto per la natura:

Il P. Rettore e il Camerlengo procurino di mantenere le selve e i boschi dell’Eremo col far piantare ogni anno buona quantità di abeti; e perché non è lecito senza licenza del Capitolo tagliar legna dentro al circuito dell’Eremo per non guastar la vaghezza del luogo, chi taglierà alberi verdi senza licenza del P. Rettore o del Capitolo digiuni per ciascun albero una volta in pane e acqua.284

     Si sarà rilevata l’annotazione «per non guastar la vaghezza del luogo», che indica la finalità prima del divieto di tagliare i teneri abeti. Da Monte Senario l’amore per la natura si trasmetterà agli altri eremi da esso nati.285

110.    È tempo, fratelli e sorelle, di offrire alcune indicazioni operative sia di ordine generale sia suggerite dalla peculiare indole mariana della nostra Famiglia.
     Come discepoli di Cristo, non possiamo sentirci estranei alla ‘questione ecologica’, ma dobbiamo acquisire una ‘coscienza ecologica’, fatta di rispetto e di attenzione per la natura, di solidarietà con le associazioni che si battono per impedire il degrado ambientale;286 dobbiamo cioè alimentare in noi il senso di quella che Giovanni Paolo II chiama ‘responsabilità ecologica’: «responsabilità verso se stessi; responsabilità verso gli altri; responsabilità verso l’ambiente».287 L’educazione a tale responsabilità — aggiunge il Santo Padre — «comporta un’autentica conversione nel modo di pensare e nel comportamento».288
     Come Servi e Serve ispireremo alla figura di santa Maria — «Madre del Creatore», «Vertice della creazione», «Vergine inviolata» — i nostri rapporti con le creature.
     Qui ci sembra necessario richiamare l’Epilogo delle Costituzioni che chiede a tutti noi di «avere verso tutte le creature solo rapporti di pace».289 Di quella pace che è dono di Cristo e dello Spirito. Il che esclude nei confronti di qualsivoglia creatura — uomo e donna, animale e pianta, terra e acqua... — ogni forma di violenza e di inquinamento, ogni atteggiamento arrogante o volgare o banale. Dobbiamo tendere a che la ‘gentilezza’ di nostra Signora e la sua fortezza ispirino i nostri ‘modi’ nel rapporto con la creazione. Non senza motivo chiediamo al Signore di «renderci profondamente rispettosi della dignità di ogni creatura e forti per resistere a coloro che la offendono».290
     Con letizia poi ricordiamo che nel nostro Proprio figura l’Ufficio di «Santa Maria, la Donna nuova», nel quale il rapporto della Vergine con le creature è celebrato nella varietà dei suoi aspetti.
     Santa Maria è vista ora come la primizia della nuova creazione:

... nella Vergine Madre,
plasmata dallo Spirito Santo,
ci hai dato le primizie della nuova creazione.
291

Ora, come la personificazione orante del creato:

Tu sei la terra obbediente, Maria,
la creazione che ama e adora.
292

Ora, come l’oggetto della lode di tutta la creazione:

Ave, Madre della Luce,
ti glorificano tutte le creature.
293

     Dalla liturgia, consapevolmente celebrata, deriverà un benefico influsso sullo stile dei nostri rapporti con la creazione.

     Vi invitiamo, infine, ad approfondire nella meditazione sapienziale e nella riflessione teologica, il luogo che Maria occupa nel creato, di «centro verginale e fecondo»:

... invochiamo Maria Regina degli angeli, delle stelle, delle acque, delle piante, dei fiori, degli animali, degli uomini, per indicare che lei, nel suo mistero archetipale, nella sua realtà nell’invisibile è la Porta che mette in comunicazione l’Assoluto unico con la molteplicità svariata delle creature, nelle quali è presente come centro verginale e fecondo.294

     L’umile Vergine del Magnificat è incinta di Gesù, il Messia, come la «Donna vestita di sole» (Ap 12, 1), la nuova Sion, è gravida della comunità messianica. Due madri, una madre. Ambedue al servizio di Gesù Vita. Vita che è presto minacciata: dalla furia omicida di Erode (cf. Mt 2, 16-18); dall’«enorme drago rosso» (Ap 2, 3), che «si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato» (Ap 12, 4).
     Ma il canto della Vergine è esperienza e profezia della caduta dei potenti, non escluso il tiranno di Galilea, il cui ordine iniquo e crudele provocò in Rama «pianto e lamento grande» (Mt 2, 18; cf. Ger 31, 15). Come, voce di vittoria fu quella che si udì nel cielo dopo la disfatta del «grande drago [...], colui che chiamiamo il diavolo» (Ap 12, 9):

Ora si è compiuta
la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio
e la potenza del suo Cristo,
perché è stato precipitato
l’accusatore dei nostri fratelli,
colui che li accusava davanti al nostro Dio
giorno e notte (Ap 12, 10).

     Abbiamo dichiarato, fratelli e sorelle, di voler essere «Servi del Magnificat». L’espressione ha per noi la valenza di altre che si addicono ad ogni discepolo di Gesù, quali «Annunciatori del ‘Vangelo della vita’», «Promotori della cultura della vita». Abbiamo assunto il cantico della Vergine come ‘manifesto’ del nostro servizio. Ciò implica che dobbiamo essere al servizio della vita, nella consapevolezza che su di essa, in tutte le sue espressioni — vita soprannaturale, vita fisica, vita cosmica — incombono gravi minacce; nel convincimento di fede che la difesa e la cura della vita esigono impegno, lotta; nella sicurezza che l’arma vincente è l’umile fiducia nell’Onnipotente che fa «grandi cose» in favore dei suoi figli e delle sue figlie.

Al servizio della causa ecumenica

111.    Maria è il «frutto più eccelso della redenzione».295 Redenzione sgorgata dal costato aperto del Salvatore (cf. Gv 19, 34); redenzione che è riunificazione dei dispersi figli di Dio secondo la parola profetica di Caifa: «“Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera”. Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11, 49b-52). Dalla croce Gesù attira a sé tutte le genti (cf. Gv 12, 32); presso la croce si riuniscono i dispersi figli di Dio; ai piedi della croce Maria diviene la Madre dei discepoli di Gesù (cf. Gv 19, 25-27). Maria è dunque costitutivamente ecumenica.
     Per la riunione dei figli di Dio Gesù è venuto (cf. Gv 10, 16; 19, 23-24; 21, 11), ha pregato (cf. Gv 17, 20) ed è morto (cf. Gv 10, 16; 11, 49-52; 12, 24; 17, 19-23; 19, 20).296 Evento ultimo che la fede continua a proclamare e a cantare:

Egli infatti è la nostra pace,
colui che ha fatto dei due un popolo solo
abbattendo il muro di separazione che era frammezzo
cioè l’inimicizia...
per mezzo della croce...
Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri
al Padre in un solo Spirito (Ef 2, 14.16b.18).

     In Gesù, figlio di Davide (cf. Lc 3, 31), figlio di Abramo (cf. Lc 3, 34) figlio di Adamo (cf. Lc 3, 38), l’intera Oikouméne è raccolta e riconciliata.
     L’inimicizia che separa è distrutta infatti in coloro che dallo Spirito, dono pasquale, sono resi conformi nei pensieri e nei sentimenti al Signore della pace (cf. Fil 2, 5). Di questi Maria è la perfetta icona; in lei, infatti, la conformità a Cristo raggiunge il suo apice. Dell’azione unificatrice dello Spirito ella è espressione insigne: figlia di Sion ricapitola in sé Israele; immagine della Chiesa ricapitola in sé i cristiani di ogni luogo e di ogni tempo; figlia di Eva ricapitola in sé l’umanità di ieri, di oggi e di sempre.
     In Maria, icona data da Gesù »elevato da terra» (Gv 12, 32) al »discepolo amato» (cf. Gv 19, 25-27), la Chiesa vede come evento possibile la realizzazione del progetto di Dio: l’umanità raccolta, al di là di ogni separazione, assorbimento o omologazione, in una unità, in cui la pluralità dei linguaggi viene assunta, rispettata, valorizzata. Lo Spirito della Pentecoste, spirito di unità, ha vinto lo spirito dell’antica Babilonia (cf. Gen 11, 1-9), spirito di divisione.

112.    La ‘lettura ecumenica’ della figura di Maria affonda le radici nella Scrittura santa. Il suo valore di rappresentanza è riconosciuto dalla riflessione teologica contemporanea di Oriente e d’Occidente, in sintonia peraltro con un sentimento antico, efficacemente espresso dalla liturgia natalizia bizantina:

Il Signore Gesù è nato dalla santa Vergine
e ha rischiarato ogni cosa con la sua luce.
Cosa possiamo offrirti, o Cristo,
che per noi nasci sulla terra come un uomo?
Ogni creatura uscita da te
ti porta la testimonianza della sua gratitudine:
gli angeli ti offrono il loro canto
i cieli le stelle, i magi i loro doni, i pastori la loro ammirazione,
la terra ti offre una grotta e il deserto una mangiatoia;
ma noi, ti offriamo una Madre vergine.
297

     Noi — comunità ecclesiale — offriamo al Figlio, a nome di tutta l’umanità, Colei nella quale e dalla quale ci sentiamo rappresentati. Un teologo ortodosso contemporaneo scrive:

Da un lato, è l’umanità che, per la spinta tenace di Dio — la volontà di Dio che costantemente fa crescere (Col 2, 19) — è arrivata al punto di presentare a Dio, per mezzo della Vergine, una carne capace di rivestirlo e divenire sua dimora.
Dall’altro, è l’umanità che pure, per bocca della Vergine, ha consentito a Dio di assumere questa carne.
298

     Il personalissimo di Maria è infatti voce di tutta l’umanità; il dono della sua carne al Verbo è offerta di tutta l’umanità. Tale sentire, mirabilmente sintetizzato da Tommaso d’Aquino: »Expetebatur consensus Virginis loco totius humanae naturae», (Era richiesto il consenso della Vergine a nome di tutto il genere umano) 299 è comune all’Oriente e all’Occidente. Un teologo occidentale contemporaneo, illustrando la cooperazione di Maria nell’evento Cristo, conclude così le sue argomentazioni:

Al Fiat di Maria, si deve dunque attribuire un significato universale, una portata che abbraccia l’umanità.300

     E altrettanto si deve dire del Magnificat. In Maria, come già si è accennato,301 cantano, ciascuno con il proprio timbro, Israele, le Chiese, l’umanità intera. »Maria — scrive Lutero — non ha cantato per se sola, ma per tutti noi».302 E non a caso, ma proprio a motivo di questa valenza ecumenica propria del cantico della Madre del Signore, le Chiese cristiane, nell’incontro interreligioso di Assisi del 27 ottobre 1986, hanno pregato con il Magnificat, riconoscendo ad esso il carattere di preghiera universale, di ‘cosa preziosa’ da condividere, assieme al Pater noster, con tutta l’umanità orante.303

In breve. Tutto in Maria è ‘ecumenico’, in senso sia estensivo sia qualitativo. Nella sua persona, infatti, nel suo fiat e nel suo Magnificat è riassunta e rappresentata l’intera terra abitata: l’Oikouméne (ecumenismo in senso estensivo), in amicizia, aperta all’amen e al canto (ecumenismo in senso qualitativo, come ‘modo’ di abitare la terra).
     L’intera Oikouméne è oggetto dell’agire misericordioso e salvifico di Dio, il quale non nega a nessuno il suo dono più grande: il Figlio (cf. Gv 3, 16). Esso è consegnato alla casa (cf. Lc 1, 39-45), alla contemplazione (cf. Lc 2, 15-17) e alle braccia (cf. Lc 2, 28) di Israele; ma, nella persona dei magi, è consegnato anche all’adorazione delle nazioni: »Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono» (Mt 2, 11).

113.    La lettura in chiave ecumenica della figura di santa Maria non è una forzatura; è piuttosto un segno dei tempi: la riflessione ecumenica ha permesso di evidenziare una prerogativa che è propria a lei, così come lo è a coloro che, per una scelta di fede e di amore, fanno riferimento al suo nome. L’ecumenicità pertanto è inerente a quanti si definiscono »Servi di santa Maria»: Ordine, conventi, case e singoli. È incisa nel nome stesso di uomini e donne chiamati a divenire sulle sue orme, come già san Filippo Benizi,304 icone somiglianti del Figlio, l’‘uomo ecumenico’ per eccellenza.
     Nel cuore dei Servi di santa Maria, l’ortodosso, il protestante, l’ebreo, il mussulmano, il buddista, l’induista, il seguace di ogni religione o di nessuna religione devono trovare spazio, come in un cuore che li ricapitola e li ama sino al dono di sé. La Famiglia Servitana deve essere segno e profezia di uno stare insieme, nella variegata compagnia umana con simpatia e apertura. Ogni casa dei Servi deve divenire tale per cui tutti, vicini e lontani, entrando in essa vi incontrino Gesù con la Madre (cf. Mt 2, 11). Casa dunque dell’ospitalità ai cristiani di ogni confessione, ai pellegrini dell’assoluto di ogni religione, a ogni creatura che bussa alla porta.
     La frequentazione ecumenica è un segno dei tempi rilevato a più riprese dal Magistero — dal decreto conciliare Unitatis redintegratio (21 novembre 1964) all’enciclica Ut unum sint (25 maggio 1995) — e dalla ricca e ufficiale documentazione del dialogo ebreo-cristiano e cristiano-interreligioso. Ciò che la lettera apostolica Orientale lumen (2 maggio 1995) scrive a proposito del rapporto della Chiesa cattolica con l’Ortodossia può essere esteso a ogni tipo di relazione ecumenica:

Oltre alla conoscenza, sento molto importante la frequentazione reciproca. Al riguardo, auspico che un’opera particolare esercitino i monasteri, proprio per il ruolo tutto speciale che riveste la vita monastica all’interno delle Chiese e per i molti punti che uniscono l’esperienza monastica, e quindi la sensibilità spirituale, in Oriente e in Occidente. Un’altra forma di incontro è costituita dall’accoglienza di docenti e studenti ortodossi presso le Università Pontificie ed altre istituzioni accademiche cattoliche. Continueremo a fare il possibile perché tale accoglienza possa assumere proporzioni maggiori. Dio benedica inoltre la nascita e lo sviluppo di luoghi destinati proprio all’ospitalità dei nostri fratelli d’Oriente, anche in questa città di Roma, che custodisce la memoria vivente e comune dei corifei degli Apostoli e dei tanti martiri.
     È importante che le iniziative d’incontro e di scambio coinvolgano nel modo e nelle forme più ampie le comunità ecclesiali: sappiano ad esempio quanto positive possano risultare iniziative di contatto tra parrocchie, come »gemellate» per un reciproco arricchimento culturale e spirituale anche nell’esercizio della carità.
     Giudico molto positivamente le iniziative di pellegrinaggi comuni sui luoghi dove la santità si è espressa in modo particolare, nel ricordo di uomini e donne che in ogni tempo hanno arricchito la Chiesa del sacrificio della propria vita.
305

     I Servi e le Serve di santa Maria, parte integrante di quel fenomeno umano-divino che è il monachesimo, sollecitati alla conversione ecumenica dal nome che portano e dagli inviti della Chiesa, dovranno dunque rivedere in prospettiva ecumenica i loro monasteri, conventi, parrocchie, santuari, istituzioni culturali.
     La frequentazione ecumenica nasce necessariamente da un cuore ecumenico. Essa è via a una conoscenza reciproca capace di cogliere ciò che pulsa nel cuore dell’altro e genera a sua volta una comunione sempre più piena, un desiderio di camminare insieme, liberi da ogni logica di annessione e da ogni atteggiamento di demissione, disponibili allo scambio dei doni, con animo discepolare, pronti a lasciarsi investire da ogni frammento di verità, quindi di luce e di bellezza, che proviene dall’altro, pronti pure, in tutta umiltà e dolcezza, a render conto della propria speranza, Cristo Gesù, nato e donato da Maria, in forme e linguaggi che lo Spirito suggerirà di volta in volta. Si avrà così la gioia di condividere con le confessioni cristiane e le grandi religioni il recupero di una sorta di lingua materna universale, che si configura in una compagnia attiva con ogni creatura.

114.    Non pretendiamo di aver svolto, a questo proposito, un discorso compiuto. Abbiamo semplicemente inteso rivolgere un invito a risalire alla sorgente del nostro nome — Servi di Maria per riscoprire un aspetto della nostra identità: l’essere costitutivamente ecumenici. La riscoperta di tale aspetto ci condurrà a una sorta di ristrutturazione che investe:

— la preghiera, per cui favoriremo il pregare insieme, quando e dove sia possibile, con un sapiente scambio di moduli e testi;

— il sentimento, per cui invocheremo dallo Spirito il dono della passione ecumenica;

— il pensiero, per cui imploreremo dallo Spirito la grazia di un cuore aperto e di una mente ecumenica;

— lo studio, per cui ci preoccuperemo di far nostre le acquisizioni del dialogo ecumenico interconfessionale e interreligioso;

— l’azione, per cui offriremo il nostro servizio alla salvaguardia del creato, al ristabilimento della pace tra gli uomini, alla tutela del diritto del povero.

     Il progresso nella via dell’ecumenismo darà senza dubbio nuovo vigore, nuova creatività e nuove prospettive al nostro Ordine di Servi della Vergine del Magnificat.
     Ciò sarà una ‘meraviglia di Dio’, che farà sgorgare dal nostro intimo di umili Servi e Serve il cantico del Magnificat, e sarà altresì un rinnovato fiat, in risposta alla chiamata di conformarci a Gesù e a riunire in noi e in quell’aiuola in cui ci è dato vivere, quel che è disperso e disgregato. Sulle orme di Maria, la somigliantissima a Colui,306 che ha frantumato ogni barriera che divide (cf. Gal 3, 28).

 

INDICE

Lettera del Priore Generale

INTRODUZIONE (nn. 1-3)

Prima parte
LA VERGINE MARIA E LA VITA CONSACRATA ALL'ALBA DEL TERZO MILLENNIO
(nn. 4-58)

La metafora dell'alba (nn. 4-5)

Sezione prima
Le ragioni di una consonanza profonda
(nn. 6-27)

La Vergine: una «presenza materna» (n. 6)
Maria, donna consacrata dallo Spirito (nn. 7-8)
Maria, donna fedele alla vocazione (nn. 9-12)
Maria, la prima e perfetta discepola (nn. 13-18)
Maria, donna consacrata per la missione (nn. 19-23)
Conclusione (nn. 24-27)

Sezione seconda
La tipologia di un rapporto
(nn. 28-58)

La Madre (nn. 29-31)
La Patrona(nn.32-34)
La Regina e Signora (nn. 35-39)
La Maestra (nn. 40-43)
La Guida (nn. 44-46)
Il Modello (nn. 47-49)
La Sorella (nn. 50-52)
Conclusione (nn. 53-58)

Seconda parte
LA RIFLESSIONE SULLA VITA CONSACRATA ALLA LUCE DEL MAGNIFICAT: PROSPETTIVE E STIMOLI
(nn. 59-114)

Sezione prima
Il dono del Magnificat
(nn. 60-67)

Un dono congiunto ad altri doni (n. 61)
Un dono da accogliere, vivere, trasmettere (n. 62)
Un dono che ci introduce riella vicenda di Maria (n. 63)
Un dono per la nostra preghiera (nn. 64-67)

Sezione seconda
Il carisma del servizio alla luce del Magnificat
(nn. 68-114)

Un servizio difficile: parlare di Dio all’uomo e alla donna del nostro tempo (nn. 69-72)
Il servizio della lode (nn. 73-76)
Al servizio della nuova evangelizzazione (nn. 77-83)
     Condivisione sollecita (nn. 79-80)
     Novità nella continuità (nn. 81-82)
     Icona dell’evangelizzazione (n. 83)
A1 servizio della promozione della donna (nn. 84-95)
     La Vergine nella Visitazione (n. 85)
     Gesù e la donna (nn. 86-88)
     Alcune indicazioni (nn. 89-95)
Al servizio della liberazione dell’uomo e della dignità degli ultimi (nn. 96-100)
Al servizio della vita e delle opere di Dio (nn. 101-110)
     Minacce alla vita (nn. 103-107)
     Aspetti cosmici della figura della Vergine (n. 108)
     Nell’alveo della nostra tradizione (nn. 109-110)
Al servizio della causa ecumenica (nn. 111-114)