III

SU ALCUNI COMPITI CHE OGGI ATTENDONO
LE CHIESE LOCALI E GLI ISTITUTI RELIGIOSI
IN ORDINE ALLA PROMOZIONE DEL CULTO ALLA BEATA VERGINE

38.  Dopo aver fatto alcune considerazioni sulla recente crisi nella venerazione alla beata Vergine e sul superamento di essa (prima parte), e dopo aver rilevato la consonanza profonda tra la vita di Maria e la vita religiosa (seconda parte), desideriamo proseguire la nostra riflessione indicando alcuni compiti che oggi — a nostro avviso — attendono le Chiese locali e gli Istituti religiosi in ordine alla promozione del culto alla Madre e Serva del Signore.
      Comprendeteci ancora, voi vescovi, nostri padri e amici, e voi religiosi e religiose, nostri fratelli e sorelle: siamo perfettamente consapevoli della pochezza della nostra voce, che tuttavia la vostra condiscendente attenzione rende fiduciosa e il comune amore per la Vergine rende audace.

Lo Studio

39.   Solo la conoscenza profonda consente l’amore profondo. Perciò ci sembra che il primo compito da affrontare in vista di un corretto sviluppo della pietà mariana tra noi e presso il popolo cristiano sia quello di acquisire una conoscenza profonda della figura della Vergine "nel mistero di Cristo e della Chiesa" e della sua missione nell’opera della salvezza. Tale compito è perfettamente consono al carisma dei nostri Istituti e sommamente utile, se non necessario, nei confronti delle Chiese locali presso le quali svolgiamo il nostro servizio.
      Certo, il Padre che tiene nascosti i segreti del Regno ai sapienti e agli intelligenti e li rivela ai piccoli (cf. Mt 11, 25), può condurre ad una approfondita conoscenza di Maria le anime che a lui si affidano con filiale semplicità. Ma questa è via riservata al libero dono di Dio. Alla maggior parte di noi, chiamati a rendere testimonianza alla figura della Vergine in una società che spesso non ne comprende il significato, è necessario avere una conoscenza meditata di Maria di Nazareth: conoscenza che soltanto può dare uno studio rigoroso e sistematico, adattato alla condizione dei singoli soggetti e ai vari periodi della formazione.

40.   Perché, diciamolo francamente: molti presbiteri, molti religiosi e religiose, molti altri operatori pastorali sono ancora disinformati in rapporto sia a documenti fondamentali del Magistero sulla beata Vergine sia ai progressi più significativi — e talora da anni pacificamente posseduti dagli studiosi — compiuti dalla mariologia nei suoi vari settori.
      Le conseguenze di tale disinformazione sono molteplici: la predicazione sulla Vergine non si rinnova e non presenta incisivamente il significato della figura di Maria di Nazareth per l’uomo contemporaneo; i contenuti essenziali, irrinunciabili del Magistero e della Tradizione rischiano di non essere accettati perché trasmessi con moduli non più correnti nel linguaggio teologico; gli indirizzi e le prospettive indicati dalla Lumen gentium si fanno strada faticosamente; si trascurano le sorgenti bibliche per abbeverarsi ai rigagnoli di pie tradizioni e di incerte visioni; si lasciano da parte i tesori della patristica e si ripetono luoghi comuni coniati in epoche di minor rigore teologico; ci si arrocca, intransigentemente e con una certa ‘durezza di cuore’, su posizioni contrapposte e di reciproco sospetto — ‘conservatrici’ e ‘progressiste’, si diceva in un tempo non lontano — , quando a dissiparle sarebbe sufficiente uno studio sereno e aperto, senza preconcetti e alla luce del Magistero, dei dati della divina Scrittura e della santa Tradizione; il movimento ecumenico, per quanto li concerne, subisce battute d’arresto; continua a mancare quella necessaria mediazione, cui abbiamo fatto cenno, tra le ricerche degli studiosi e le urgenze dei pastori; si emargina Maria di Nazareth dalla propria vita e dalla propria pietà semplicemente perché non la si conosce.
      Non vorremmo aver tracciato un quadro troppo fosco della situazione. Esso è limitato — lo ripetiamo — a quei luoghi, a quei fratelli e sorelle, presso i quali si constata una oggettiva e persistente disinformazione. Ma è sempre un limite che a voi e a noi, per il comune amore alla Chiesa e alla Vergine, appare ancora troppo vasto.

41.   A questo proposito noi, servi e serve di santa Maria, vogliamo esprimere la nostra gratitudine e ammirazione per quei frati che alla fine del secolo XLX, in un momento in cui l’Ordine era molto ridotto numericamente, con coraggio e lungimiranza fondarono nell’Urbe il Collegio s. Alessio Falconieri (a. 1896) e gli affidarono anche il compito di promuovere gli studi sulla santa Vergine. Con ciò essi posero una delle più solide basi per la rinascita dell’Ordine e gli fornirono gli strumenti per un più qualificato servizio alla Chiese locali e, talora, alla stessa Sede Apostolica. Nel 1901, il rettore del Collegio s. Alessio, fra Alessio M. Lépicier, professore di dogmatica all’Urbaniana — futuro Priore generale e membro del collegio cardinalizio — pubblicava il Tractatus de beatissima Virgine Maria Matre Dei, ridando negli ambienti scolastici romani posto e dignità allo studio teologico di santa Maria.44
      L’esempio di fra Alessio M. Lépicier fu seguito da vari frati, tra cui emerge fra Gabriele M. Roschini († 1977 ), che collaborò efficacemente alla diffusione del pensiero e dell’interesse mariologico. Così, attraverso varie vicende, dal Collegio s. Alessio è nata la Facoltà Teologica "Marianum". Ci sia consentito esprimere qui la nostra riconoscenza a Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI per la paterna attenzione con cui incoraggiarono gli sviluppi della nostra Facoltà fino a istituire presso di essa il dottorato in sacra teologia con specializzazione in mariologia (7 marzo 1965) e a decorarla con il titolo di ‘pontificia’ (1 gennaio 1971).
      L’Ordine ritiene l’attività della Facoltà " Marianum" come un suo servizio apostolico nel campo della ricerca teologica. E da parte sua la Facoltà, con il suo complesso di strutture docenti, con la Biblioteca specializzata, con la rivista Marianum che cerca di essere presente nel dibattito mariologico, intende "promuovere particolarmente, secondo la missione dell’Ordine nella Chiesa, la conoscenza, l’insegnamento, il progresso scientifico e pastorale del pensiero cristiano sulla Madre di Dio".45 Nei confronti delle Chiese locali, degli Istituti religiosi e degli uomini di cultura, la Facoltà si pone come un organismo fraternamente aperto, sia nella componente docente sia in quella discente, alla collaborazione di studiosi e alunni desiderosi di condividere i suoi scopi istituzionali.

42.   Ma proprio per l’attenzione che dedichiamo agli studi mariologici, siamo in grado di comprendere che l’apporto del nostro Ordine in questo campo è solo un umile contributo che si aggiunge a quello di molti altri Istituti religiosi. Pur sapendo di riuscire necessariamente incompleti, non possiamo passare sotto silenzio l’opera svolta dall’Ordine dei Frati Minori, cui è affidata la direzione della Pontificia Accademia Mariana Internazionale (Roma); dei Frati Minori Conventuali, sostenitori dell’Accademia dell’Immacolata (Roma); della Società di Maria (Marianisti), promotrice, tra l’altro, della Marian Library (Dayton, Ohio, U.S.A.); dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria, che curano la pubblicazione della prestigiosa rivista Ephemerides Mariologicae (Madrid); della Società Salesiana di s. Giovanni Bosco, che ha dato vita all’Accademia Mariana Salesiana (Roma); della Compagnia di Maria (Monfortani) che a Roma ha eretto il Centro Mariano Monfortano e a Parigi pubblica l’efficace periodico Cahiers Marials; dei Fratelli Maristi, che hanno fondato il Centro di Spiritualità Mariana di Belo Horizonte (Brasile); dei teologi dell’Ordine benedettino, della Compagnia di Gesù, dell’Ordine dei Frati Predicatori, di ambedue gli Ordini Carmelitani e di tanti altri Istituti, che sono efficacemente presenti, con numerose pubblicazioni, nella ricerca mariologica; della Pia Società di s. Paolo, che nei suoi programmi editoriali dedica largo spazio alle pubblicazioni di indole mariologica. Ed ancora dobbiamo rilevare che all’attività delle Società Mariologiche che fioriscono in varie nazioni, i religiosi partecipano in gran numero e ne sono spesso i principali animatori. Ricordiamo infine gli studiosi della Prelatura della Santa Croce, editori dell’importante rivista Scripta de Maria (Saragozza).
      E poiché sappiamo quale impiego di persone e di mezzi richieda il mantenimento di tali opere, la nostra parola vuole essere anche espressione di ammirazione e di ringraziamento per questi fratelli e sorelle e, se fosse il caso, di incoraggiamento a proseguire con rigore e con tenacia l’attività che li ha resi tanto benemeriti nella Chiesa.

43.   L’importanza dello studio in ordine alla promozione del culto alla Vergine è tale che una conclusione si impone per se stessa: favorire dappertutto e ai vari livelli formativi, presso i laici, i religiosi e le religiose, i ministri della Chiesa, lo studio della mariologia e favorire pure le istituzioni che tale studio rendono possibile.
      "La cristologia è anche una mariologia", proclama incisivamente un recente documento della S. Congregazione per l’Educazione Cattolica.46 Potremmo chiosarlo aggiungendo: l’ecclesiologia, la pneumatologia sono anch’esse una mariologia.47 A chiunque consideri le questioni dottrinali connesse con la figura di Colei che i fratelli orientali chiamano "corona dei dogmi" e l’utilità pastorale che deriva da una genuina pietà mariana, la mariologia apparirà una disciplina non marginale ma degna di rilevante attenzione.

L’annuncio della Parola

44.   L’ultima parola di Gesù agli undici apostoli: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28, 19) non segna una conclusione ma un inizio: l’apertura della missione universale della Chiesa. Quella parola si è incisa profondamente nel cuore della Chiesa e in ogni tempo urge, sostiene, guida il suo impegno missionario. Lungo i secoli molti discepoli e discepole del Signore hanno sentito come Paolo l’urgenza di annunciare la Buona Novella: "Non è per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!" (1 Cor 9,16).
      Riflettendo ora sull’attività missionaria della Chiesa dall’angolo visuale in cui ci siamo collocati — il compito dei religiosi nella promozione della pietà mariana — , ci sembra di dover sottolineare due fatti:

— attualmente l’impegno missionario della Chiesa è sostenuto prevalentemente dagli Istituti religiosi. La Chiesa lo ha affidato a loro, ed essi l’hanno accettato come un’espressione consona al loro carisma istituzionale. Sono infatti pochi gli Istituti religiosi che non hanno un’esplicita attività missionaria, mentre sono molti quelli sorti con lo scopo precipuo di portare la luce della fede a coloro che giacciono ancora nelle tenebre dell’ignoranza;

— molti Istituti missionari hanno nel loro stesso titolo una ‘nota mariana’, pongono la loro attività evangelizzatrice sotto la protezione della Vergine e dichiarano di prendere da lei esempio e ispirazione per lo svolgimento del loro specifico servizio apostolico.

Ciò, a nostro avviso, non è senza significato: rivela ancora una volta come Maria sia profondamente inserita nel mistero di Cristo, oggetto primordiale dell’evangelizzazione, e della Chiesa, soggetto agente della medesima; e mostra altresì come la Vergine, per la sua funzione materna ed esemplare, abbia anticipato in sé la missione della Chiesa: accogliere e annunciare la Parola.

Prima evangelizzata ed evangelizzatrice

45.   La ragione ultima per cui Maria è salutata Guida e Stella dell’evangelizzazione48 non è di natura meramente devozionale ma rigorosamente biblica. Infatti, secondo gli studiosi della Sacra Scrittura, alcuni episodi evangelici contengono indicazioni profonde di un rapporto variamente esemplare di Maria nei confronti della Chiesa in ordine all’accoglimento-annuncio della Parola.
      Maria, la prima evangelizzata. La Vergine di Nazareth, quale futura madre del Messia e personificazione della Figlia di Sion, riceve per prima la gioiosa Buona Notizia: lo Spirito Santo, energia dell’Altissimo, scenderà su di lei, e da lei nascerà il Salvatore delle genti (cf. Lc 1, 26-38). Con fede Maria accolse questa parola del Signore e la fede divenne "per lei premessa e via alla maternità divina".49
      Maria, la prima evangelizzatrice. Ma la Parola accolta nell’intimo erompe in annuncio, in canto, in profezia: sulle montagne della Giudea, Maria, adombrata dallo Spirito e pregna del Verbo, proclama le grandi cose compiute in lei dall’Onnipotente e reca a Giovanni il Salvatore (cf. Lc 1, 39-56). In quell’episodio alcuni esegeti avvertono anche un’eco, se pur lontana, del tripudio per l’annuncio della liberazione di Gerusalemme: "Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: "Regna il tuo Dio"" (Is 52, 7).

Videro il Bambino con Maria sua Madre

46.   Nell’episodio dei Magi venuti dall’Oriente per rendere omaggio al Messia (cf. Mt 2, 1-12), possiamo vedere significata non solo la vocazione di tutte le nazioni alla fede, ma anche la funzione che, sull’esempio di Maria, dovrà svolgere la Chiesa: mostrare Cristo alle genti, essere luogo per l’incontro con lui.
      È probabile infatti che l’evangelista Matteo, scrivendo l’episodio dell’adorazione dei Magi, si sia ispirato a Isaia 60,1-9, il canto che celebra Gerusalemme capitale dell’universo; e che, strutturando il suo racconto, egli abbia operato una significativa trasposizione di elementi. In esso, infatti, a Gerusalemme, la Città-madre su cui risplende la gloria del Signore (cf. Is 60, 1-2), subentra Maria-madre sulle cui ginocchia siede il Bambino; al posto del Signore, a cui tutte le nazioni rendono omaggio — che per i testi del giudaismo prescristiano è già il Re messianico — , è lo stesso bambino Gesù, che riceve l’ossequio e l’adorazione dei Magi; in luogo dei re e delle principesse che, secondo la parola profetica, "con la faccia a terra si prostreranno davanti a te, baceranno la polvere dei tuoi piedi" (Is 49, 23; cf. 60, 14), e dei ricchi mercanti che con stuoli di cammelli giungono a Gerusalemme "portando oro e incenso" (Is 60, 6), stanno i Magi, i quali "entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro tesori e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra" (Mt 2, 11). Questo incontro-adorazione non avviene tuttavia nella vecchia Gerusalemme, i cui capi hanno rigettato il Messia (cf. Mt 2, 3; 23, 37-38), ma nella ‘casa’ di Betlemme, che sembra essere figura della Chiesa. È importante comunque rilevare che, secondo la densa pagina di Matteo, i Magi — le primizie dei pagani — allorché si aprono alla fede e incontrano Gesù, posano il loro sguardo pure sulla figura di Maria: "videro il bambino con Maria sua madre" (Mt 2, 11). Così avviene ogni volta che gli uomini vengono a Cristo ed entrano nella sua casa — la Chiesa — : là incontrano lui con Maria, la madre.50

La rivelazione di Cana

47.   Abbiamo già ricordato l’importanza della parola del Risorto agli Undici in ordine al compito ecclesiale dell’evangelizzazione: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni [...] insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28, 19). Ma ci sembra utile richiamarla per rilevare che essa si colloca in una ‘teofania’ — l’apparizione agli Undici in Galilea "sul monte che Gesù aveva loro fissato" (Mt 28, 16) — , che l’evangelista descrive ricalcando lo schema della teofania del monte Sinai, dove si concluse l’Antica Alleanza (cf. Es 19, 1-9).
      Nell’intenzione di Matteo, il monte dell’apparizione di Galilea (cf. Mt 28,16-20) è il Sinai della Nuova Alleanza. A Gesù, glorificato dal Padre, sono riconosciuti i titoli e le prerogative proprie del Signore nell’Antico Testamento: il dominio universale (cf. Mt 28, 18-19 e Es 19, 5 ) ; l’adorazione (cf. Mt 28, 17 e Es 3, 12 ; 24,1. 9-1 1) ; la relazione di una nuova Legge ("... tutto ciò che vi ho comandato", Mt 28, 20a: "... tutte queste parole, come gli aveva ordinato il Signore", Es 19, 7b).
      Ne consegue che l’impegno assunto dall’antico popolo d’Israele nei confronti della Legge del Signore: "Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!" (Es 19,8), diviene ora vocazione e prerogativa del nuovo popolo di Dio, formatosi, attorno a Gesù, da discepoli provenienti da tutte le genti: "ammaestrate tutte le nazioni [...] insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28, 19a. 20a).
      Ma, come osservano alcuni esegeti, la rivelazione di Cana (cf. Gv 2, 1-12) è stata scritta anch’essa guardando alla ‘teofania del Sinai’ (cf. Es 19, 1-9). Ora non è chi non veda la singolare affinità che esiste tra la formula della promessa di Israele ("Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo", Es 19, 8), l’ordine dato dal Risorto agli Undici (insegnare ad osservare ciò che egli ha comandato, cf. Mt 28, 20a) e la parola di Maria ai servi delle nozze di Cana ("Quanto egli vi dirà, fatelo", Gv 2, 5b).
      Ciò che Giovanni pone sulle labbra della Madre, Matteo lo presenta come compito affidato da Cristo agli apostoli, cioè alla Chiesa: Maria e la Chiesa si incontrano nel condurre gli uomini all’obbedienza del Vangelo di Cristo. Maria e la Chiesa rinviano alla sola Legge che salva: la parola di Gesù (cf. Gv 6, 68).

Con Maria in attesa dello Spirito

48.   Nell’ambito della riflessione su ‘pietà mariana e annuncio della Parola’ dobbiamo considerare ancora un testo — Atti 1, 13-14 —, che presenta gli apostoli "insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù, e con i fratelli di lui" (At 1,14), in attesa dell’adempimento della promessa del Signore: "sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni" (At 1,5; cf. Lc 24, 49).
      È stato più volte rilevato che lo stesso Luca ha scritto il Vangelo dell’infanzia di Gesù (i primi due capitoli del Terzo Vangelo), documento fondamentale sulla Parola che si è fatta carne, e il Vangelo dell’infanzia della Chiesa (Atti degli apostoli), puntuale resoconto della crescita e della diffusione della Parola (cf. At 6, 7): da Gerusalemme alla Giudea, a Samaria, fino ai confini della terra.
      E sembra che Luca abbia istituito un significativo parallelismo tra gli episodi dell’Annunciazione-Visitazione (Terzo Vangelo) e quelli della Pentecoste-Diffusione della Parola (Libro degli Atti). La Parola-Spirito, ricevuta dapprima nell’intimità — da Maria nella casa di Nazareth, dalla comunità apostolica "nel piano superiore" (cf. At 1,13) di una casa gerosolimitana —, deve essere poi, per la forza dello Spirito, proclamata ben oltre le mura domestiche: a tutte le generazioni, senza limiti né di tempo né di spazio.
      Da una parte Maria, nella quale è disceso lo Spirito Santo, energia dell’Altissimo (cf. Lc 1, 35), sente la necessità di proclamare le "grandi cose" che ha fatto in lei l’Onnipotente: lascia quindi la casa di Nazareth e si reca nella montagna, in una città della Giudea (cf. Lc 1, 39); dall’altra gli apostoli, sui quali nel giorno della Pentecoste è discesa l’"energia dell’alto" (Lc 24, 49) e sono stati "tutti pieni di Spirito Santo", cominciano a parlare in altre lingue (cf. At 2, 4), davanti a "Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo" (At 2, 5 ): lasciano cioè il loro ritiro e, corroborati dallo Spirito, annunciano con franchezza l’opera della salvezza compiuta da Dio nella morte-risurrezione di Cristo (cf. At 2, 14-39; 4, 31).51
      Maria e la Chiesa sono al servizio della Parola. Per l’una e per l’altra "è cosa gloriosa rivelare le opere di Dio" (Tb 12, 11). Ma, anche in questo campo, la Vergine Madre Maria ha preceduto la Vergine Madre Chiesa: la fede, la docilità allo Spirito, la gratitudine e il coraggio, la sollecitudine premurosa della prima saranno ‘atteggiamenti esemplari’ per la seconda, impegnata fino alla fine dei tempi a manifestare a tutte le genti "la multiforme sapienza di Dio, secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore" (Ef 3,10-11).

* * *

49.   Alla luce dei rapporti che intercorrono tra la missione della Vergine e l’annuncio della Parola non è difficile, fratelli e sorelle, stabilire alcune conclusioni di indole pastorale:

— non è possible estraniare la pietà mariana dall’impegno missionario. Una illuminata pietà verso santa Maria ci deve rendere sensibili ai gravi ed urgenti problemi dell’annuncio della Parola; ci deve spingere ad assumere, nei confronti della Parola, lo stesso atteggiamento di Maria di Nazareth: l’accoglimento pieno di fede, che non si risolve tuttavia in un possesso intimistico, ma si prolunga in proclamazione piena di zelo;

— è necessario che le espressioni della nostra pietà mariana siano impregnate, più di quanto non lo siano ora, delle tematiche proprie della missione evangelizzatrice della Chiesa;

— è da valorizzare il metodo missionario che nel passato ha dato eccellenti risultati: mettere in luce, fin dal primo annuncio della fede, il posto singolare di Maria nella storia della salvezza;

— è necessario che nell’azione evangelizzatrice venga ripetuto da noi l’atteggiamento della Chiesa in ogni sua opera apostolica: guardare alla Vergine che "nella sua vita fu modello di quell’amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli, che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini".52

Fedeltà alla riforma liturgica

50.   Il nostro Capitolo generale si avvia alla sua conclusione mentre la Chiesa si appresta a commemorare il ventesimo anniversario della Costituzione Sacrosanctum Concilium, promulgata il 4 dicembre 1963. Quel documento ha avuto conseguenze di immensa portata nella vita della Chiesa cattolica di rito latino: da esso discende la riforma liturgica post-conciliare che è da ritenersi uno dei più grandi avvenimenti ecclesiali del secolo XX. L’Ordine nostro ha vissuto intensamente la riforma liturgica: con gioia, con speranza, con tensione.
      Il nostro riferimento alla Costituzione liturgica non è tuttavia commemorativo. Ci riferiamo ad essa perché riteniamo che i suoi principi siano validi ed efficaci: spesso attendono solo di essere attuati; perché essa ha consentito il rinnovamento della nostra liturgia e della nostra pietà mariana; perché il denso art. 103 ha lasciato una traccia significativa nel cap. I delle nostre Costituzioni;53 perché è impossibile fare un discorso sulla pietà mariana senza inquadrarlo nel più ampio discorso liturgico.

Religiosità popolare

51.   Ma prima di iniziare la riflessione sui rapporti tra la pietà mariana e la liturgia, ci sembra di dover fare un cenno alla religiosità popolare. Essa è stata talvolta disprezzata e fatta oggetto di gravi riserve: veniva indicata, ad esempio, come uno dei ‘luoghi’ in cui facilmente si produce una pericolosa frattura tra religione e fede.
      Negli Anni Settanta la religiosità popolare è stata fatta oggetto di numerosi studi e di essa hanno trattato varie Conferenze episcopali e gli stessi Vescovi di Roma. Da questo complesso di studi e di interventi è derivato un consenso notevole sulla nozione di pietà popolare e sui suoi valori: "Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fìno all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione".54 Ma la pietà popolare presenta pure limiti e rischi: "È frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione, anzi di superstizioni. Resta spesso a livello di manifestazioni cultuali senza impegnare una autentica adesione di fede".55

52.   Nell’ambito della pietà popolare, i fedeli intuiscono facilmente il legame che intercorre tra Cristo e Maria; con semplicità venerano la Madonna come l’immacolata Madre di Dio; con gioia la riconoscono Madre degli uomini e vivono il loro rapporto con lei in termini di affettuosa relazione materno-filiale; comprendono vitalmente il significato della povertà di Maria e del suo dolore; da lei apprendono pazienza e mitezza, ma sanno che Maria nella sua vita fu una donna forte, che non stava dalla parte dei potenti; sanno pure che la Madre di Gesù è buona e che vive in cielo presso il suo Figlio, quindi ricorrono fiduciosi alla sua intercessione ed implorano il suo aiuto; amano celebrare le sue feste, recarsi in pellegrinaggio ai suoi santuari, cantare in suo onore.

53.   Spesso noi religiosi veniamo a contatto con culture diverse da quelle del nostro paese d’origine. Quando ciò avvenga, dinanzi alla pietà mariana popolare è necessario assumere un atteggiamento di rispetto e di stima: lo esige la ‘cultura’ del popolo in cui essa si radica.
      Occorre poi conoscere le radici culturali su cui poggia l’immagine ‘popolare’ — cioè di quel determinato popolo — di Maria e le espressioni cultuali in cui si manifesta. Solo così si possono mettere in luce i valori della pietà mariana popolare e compiere quella operazione di ‘purificazione’ che tutti reclamano, ma che spesso non si compie o si attua in modo errato: rifiutando tutto con la conseguenza di disorientare gli animi e di mortificare la cultura di un popolo.
      Nel campo specifico della pietà mariana più che opporre alla pietà popolare la liturgia dobbiamo favorirne la mutua e feconda compenetrazione. Così, da una parte, la liturgia potrà incanalare con lucidità e prudenza la vitalità e i valori della religiosità popolare; dall’altra, la religione del popolo, con la sua grande ricchezza simbolica ed espressiva, potrà fornire alla liturgia spunti e materiali per il suo impegno creativo.56

54.   Strettamente collegato con il discorso sulla pietà mariana popolare, se pur non del tutto coincidente, è quello sui pii esercizi mariani: esistono infatti pii esercizi, per così dire, eruditi, che non hanno radici popolari.
      Quasi dieci anni fa la Sede Apostolica rivolgeva ai religiosi un preciso invito a rinnovare gli esercizi di pietà mariana: "è compito delle Conferenze episcopali, dei responsabili delle comunità locali, delle varie Famiglie religiose, restaurare sapientemente pratiche ed esercizi di venerazione verso la beata Vergine e assecondare l’impulso creativo di quanti, per genuina ispirazione religiosa o per sensibilità pastorale, desiderano dare vita a nuove forme".57 Oltre all’invito, furono offerti orientamenti, criteri, principi atti a ridare vigore a quei pii esercizi.58
      Ci sembra quindi doveroso chiederci: come è stato accolto quell’invito? Che cosa è stato fatto? Non abbiamo elementi sufficienti per dare una risposta adeguata. Certamente alcuni Istituti hanno rinnovato con sapienza le espressioni della propria pietà mariana; si ha tuttavia l’impressione che nella maggior parte di essi ciò non sia avvenuto. Ma l’invito è sempre là, vivo, senza scadenze, pronto per essere accolto in ogni momento.
      Non possiamo addentrarci nella problematica della non facile convivenza tra pii esercizi e azioni liturgiche. Ci limiteremo ad alcune osservazioni:

— riteniamo che non sia penetrata sufficientemente nella nostra prassi cultuale la norma conciliare secondo cui i pii esercizi, "tenendo conto dei tempi liturgici, siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra liturgia, da essa traggano in qualche modo ispirazione, e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano".59A questa norma, rispondono sempre i nostri ‘pii esercizi mariani’? Sono introduzione o eco o prolungamento delle azioni liturgiche? Purtroppo si ha l’impressione che spesso prosperino ai margini della liturgia;

— a nostro parere l’avvenire dei pii esercizi mariani dipende in gran parte dalla loro qualità e dalla loro capacità di operare un sano recupero di forme valide del passato e, ancor più, di rispondere alle istanze che via via emergono nella vita ecclesiale;

— la distinzione, pur legittima, tra religiosità popolare e liturgia non deve portare ad escludere praticamente la nota ‘popolare’ dalla liturgia facendo di quest’ultima, più o meno inconsciamente, un’espressione cultuale elitaria. Ciò sarebbe contrario all’intima natura della liturgia, la quale deve essere essa stessa ‘popolare’, cioè propria dell’intero popolo di Dio e adatta a tutte le sue componenti.

La pietà mariana nella liturgia

55.   Venendo ora a trattare più direttamente di ‘liturgia e pietà mariana’ ci pare necessario ricordare, anzitutto a noi stessi, che la liturgia è il luogo naturale e più appropriato per la venerazione alla Madre del Signore. Le celebrazioni liturgiche sono esse stesse, in molte occasioni e sotto molti aspetti, memoria cultuale della Benedetta fra le donne.

a.   Nel culto alla beata Trinità. Nella celebrazione dei divini misteri, la venerazione alla beata Vergine confluisce e quasi si annulla nel culto che rendiamo al Padre al Figlio e allo Spirito, anzi là alle nostre voci impure si associa la voce pura di santa Mar¹a per glorificare con noi la gloriosa Trinità.

b.   Nella celebrazione del mistero pasquale. Nel compiersi dell’azione liturgica, la pietà mariana si immerge nella celebrazione del mistero pasquale e si pone in attesa del dono dello Spirito, perché ogni genuina celebrazione liturgica è — in vario modo e in misura varia — attualizzazione della Pasqua del Signore ed effusione di grazia dello Spirito.

c.   Nella memoria rituale della storia della salvezza. Nella liturgia, la pietà mariana trova la sua inquadratura più felice: la storia della salvezza, condensata e vissuta dalla Chiesa nel segno dell’Anno liturgico. Così, nella celebrazione annuale del mistero di Cristo — dall’Avvento alla Parusia — la memoria di santa Maria ritorna ora come annuncio profetico in parole figure fatti dell’Antico Testamento, ora come presenza attiva della Madre accanto al Figlio in avvenimenti di immensa portata salvifica — l’Incarnazione-Natale-Epifania, la Pasqua-Pentecoste —, ora come proiezione dinamica verso le realtà ultime, che in lei già si sono compiute.

d.   Nell’ascolto della Parola. Nella liturgia, la pietà mariana incontra la divina Parola. La celebrazione del Mistero, per la presenza dello Spirito, è lo spazio privilegiato per la proclamazione e l’interpretazione dei testi biblici riguardanti Maria di Nazareth. Così ogni anno, poiché nel tessuto biblico una parola richiama tutte le altre e nel ritmo ciclico l’interpretazione antica si congiunge con l’intuizione nuova, sul frammento — Maria — viene proiettata la luce della Totalità.

e.   Nella Comunione dei Santi. Nella liturgia, Maria non è celebrata isolatamente ma nella Comunione dei Santi; là, essa appare in collegamento vitale con i suoi progenitori, con i martiri, le vergini e gli innumerevoli discepoli che lungo i secoli hanno reso testimonianza a Cristo. In questo ambito, la Vergine appare via via figlia di Adamo, sorella nostra, madre dei discepoli; la sua figura acquista giuste proporzioni, la sua missione risulta sottolineata in ciò che ha di unico e di esclusivo, il suo rapporto con la Chiesa viene enunciato con varietà di aspetti. Diremo di più: tutto il cosmo è collegato a Cristo, tutto da lui proviene (cf. Gv 1, 2; Col 1, 16), da lui e in lui è stato salvato, a lui deve essere ricondotto perché egli lo offra al Padre (cf. 1 Cor 15, 23-28). Per la liturgia, Maria è il frammento del cosmo, che lo Spirito ha già riportato compiutamente a Cristo: ella è definitivamente inserita in Cristo, "primogenito di ogni creatura" (Col 1, 15), ed è collegata con il resto della creazione, che lo Spirito va riconducendo a Cristo, proprio attraverso la celebrazione del Mistero.

f.   Nell’attesa della Parusia. Nella celebrazione dei santi misteri la pietà mariana acquista una dimensione essenziale alla liturgia: quella escatologica. La liturgia infatti è proiezione incoercibile verso le ‘realtà ultime’; è attesa vigile del Signore che è venuto, viene e verrà; in essa risuona con ritmo frequente l’implorazione ultima della Rivelazione: "Vieni, Signore Gesù" (Ap 22, 20). Considerata nella prospettiva escatologica, la Vergine appare come santa Maria del triplice Avvento: attese infatti la venuta del Messia — pienezza dei tempi, che in lei coincise con il tempo del parto (nascita di Cristo) —; attese la venuta dello Spirito, che si compì nell’avvento pentecostale (nascita della Chiesa); attese la venuta gloriosa di Cristo, che per lei si attuò nell’assunzione in cielo del suo corpo e della sua anima verginali (nascita di Maria alla vita celeste).

56.   Alla luce della straordinaria capacità della liturgia di collocare in un quadro efficace e significativo le espressioni di venerazione a santa Maria, si comprende l’esortazione conciliare a promuovere "il culto, specialmente liturgico, verso la beata Vergine";60 e, per converso, non si comprende la disattenzione verso la liturgia di molti operatori pastorali, che pur intendono favorire la pietà mariana. A questo proposito desideriamo, fratelli e sorelle, manifestarvi fino in fondo il nostro pensiero: l’attuale risveglio nella pietà mariana potrebbe risultare anomalo se ignorasse o trascurasse la matrice liturgica.
      Vogliamo ora esprimere la nostra adesione a due proposte avanzate da alcuni vescovi e da vari studiosi:

— che in modo discreto e sapiente sia esplicitato nella liturgia romana del Triduo pasquale un elemento che le è intrinseco: la partecipazione della Madre alla passione del Figlio.61 Ciò è conforme alla natura intima della liturgia, che è celebrazione degli eventi salvifici nella loro totalità; è conforme alla narrazione evangelica (cf. Gv 19, 25-27), che è intesa da molti esegeti come un enunciato biblico, in senso proprio, della maternità spirituale di Maria; è consono alla tradizione liturgica se, al riguardo, si tengono presenti le rispettive celebrazioni del Rito bizantino e di altri Riti orientali;62 è rispondente, infine, alle attese dei fedeli. Non accogliere questo desiderio potrebbe condurre ad accentuare il distacco tra liturgia e pietà popolare là dove, invece, si intravede possibile e legittimo un fecondo interscambio;

— che sia salvaguardato il carattere proprio dei Cinquanta giorni pasquali. Nell’ordinamento liturgico quei giorni, compresi tra due effusioni dello Spirito (cf. Gv 20, 19-23 e At 2, 1-12), sono tempo del Paraclito: riverbero e prolungamento dei misteri celebrati nella Notte sacratissima, contemplazione del Cristo risorto e della sua gloria alla destra del Padre, memoria attualizzante dell’evento pentecostale. Nel tempo pasquale la pietà mariana non deve essere occasione, neanche indiretta, per distogliere l’attenzione dei fedeli da questi misteri salvifici. Deve, semmai, mostrare la potenza della Pasqua di Cristo e il dono dello Spirito operanti in Maria. D’altra parte è auspicabile che la liturgia pasquale, sul Filo conduttore del dato biblico (cf. At 1, 14), sviluppi cultualmente il rapporto arcano esistente tra lo Spirito, la Chiesa e Maria.63

Silenzio della Vergine e silenzio liturgico

57.   Con queste note non abbiamo certamente esaurito la trattazione dei complessi rapporti tra ‘liturgia e pietà mariana’. Abbiamo solo voluto manifestare la necessità di rimanere fedeli allo spirito della liturgia e ai principi della riforma promossa dal Concilio Vaticano II. E proprio per fedeltà alla riforma liturgica, che ne ha sottolineato la funzione,64 vogliamo fare un cenno al valore del ‘silenzio’ nelle manifestazioni della pietà mariana, siano esse liturgiche o extraliturgiche. A questo cenno ci sollecitano la fisionomia spirituale della Vergine, la natura autentica della liturgia, lo stile genuino della vita religiosa.

58.   Lo stile della Vergine. Siamo persuasi che le manifestazioni di pietà verso santa Maria debbano avere, per così dire, lo stile stesso della Vergine: stile fatto di ascolto, di silenzio, di riflessione sapienziale.
      I Padri della Chiesa amavano dire che dall’infinito silenzio di Dio è stata generata la Parola eterna; e che pure dal silenzio del cuore della Vergine è scaturita la parola — fiat —, premessa umana all’incarnazione del Verbo.
      La duplice notazione lucana sul silenzio riflessivo di Maria (cf. Lc 2, 19. 51b), è stata oggetto di diligente studio da parte degli esegeti contemporanei e di amorosa attenzione da parte di uomini spirituali di tutti i tempi.65 Essa apre profondi spiragli sulla vita interiore della Vergine: nel suo silenzio, Maria appare quale donna sapiente che ricorda e attualizza, interpreta e confronta, alla luce dell’evento pasquale, parole e fatti avvenuti nella nascita e nell’infanzia del Figlio; che si interroga sul significato di parole oscure, sulle quali si proietta l’ombra della croce (cf. Lc 2, 34-35; 48-50), e accoglie i silenzi di Dio con il suo silenzio adorante.
      Nel silenzio, il cuore della Vergine appare quale arca, in cui si conserva la ‘memoria’ degli interventi di Dio nella storia di Israele; quale luogo in cui, richiamati dalla riflessione, confluiscono i tempi di ‘prima’ — di Adamo, di Abramo, di Davide — e da cui si diparte il tempo di ‘dopo’ — di Cristo e della Chiesa — ; quale terra, in cui è stato seminato il buon seme che porterà frutti abbondanti; quale scrigno, dove sono custodite parole di cui lo Spirito darà progressivamente alla Vergine stessa e alla Chiesa l’intelligenza piena e dove è depositata la legge del Signore, luce e norma di vita.

59.   I1 valore esemplare dell’atteggiamento riflessivo della Vergine in ordine al compito ecclesiale della penetrazione della Parola è già stato efficacemente messo in luce: Maria, "‘Madre muta del Verbo silente’[...] prefigurava quel lungo lavorio di memoria e di intensa ruminazione che costituisce l’anima della Tradizione della Chiesa".66 Ma tale valore esemplare possiamo estenderlo alla celebrazione dei divini misteri: là, la Chiesa proclama la Parola di Dio, che solo nell’attento ascolto e nella riflessione penetrante può essere vitalmente compresa; là, essa celebra sotto il velo dei santi segni gli avvenimenti della nostra salvezza: un velo che solo si dischiude se la mente si apre al Mistero, se la volontà si uniforma al disegno di Dio, se la voce concorda con il cuore.67

60.   Nella liturgia il silenzio non è espressione di inerzia, ma è elemento strutturale della celebrazione: favorisce il raccoglimento da cui germoglia la preghiera personale; consente che l’orazione di colui che presiede diventi con verità e autenticità preghiera di tutta l’assemblea; facilita l’assimilazione della Parola proclamata e l’ascolto della voce dello Spirito; è ambito sacro che immette nell’adorazione e nella lode di Dio: "Tibi silentium laus", secondo un motto di derivazione biblica.68
      Ma vi è di più: la celebrazione liturgica è celebrazione "in Spirito", ed il silenzio — segno biblico e liturgico del Paraclito69 — è anche via alla comunione con lo Spirito agente nei divini misteri e, attraverso di lui, alla comunione con i partecipanti all’assemblea cultuale.

61.   Il silenzio è stato sempre ritenuto una componente qualificante della vita monastico-religiosa, un mezzo particolarmente effìcace per progredire nella via dell’identificazione con Cristo. Non vi è regola monastica o testo costituzionale che non faccia riferimento all’importanza del silenzio. Se nei testi legislativi leggiamo, ad esempio: "... dobbiamo cercare nel silenzio della cella un mezzo per conoscerci, liberarci dall’egoismo e acquistare quell’atteggiamento di amore a Dio e alle creature, che costituisce il termine del nostro cammino religioso",70 l’odierno magistero della Chiesa afferma nondimeno: "la ricerca dell’intimità con Dio comporta il bisogno, veramente vitale, di un silenzio di tutto l’essere, sia per coloro che devono trovare Dio anche in mezzo al frastuono, sia per i contemplativi".71 Il silenzio dunque, che mai deve abbandonare il religioso nello svolgimento delle sue varie attività, deve a maggior ragione avvolgerlo quando partecipa alla sacra liturgia.

62.   Da questa convergenza di indicazioni possiamo trarre una duplice conclusione:

— la Vergine del silenzio e dell’ascolto costituisce un invito a interiorizzare la Parola e a celebrare la liturgia penetrandone il Mistero;

— noi, religiosi e religiose, siamo chiamati ad imprimere alle nostre celebrazioni mariane un tono e uno stile che favoriscano il silenzio riflessivo; ad avvolgerle, per così dire, di quel santo segno del silenzio, che rende intimo il Trascendente, udibile il gemito dello Spirito, sperimentabile la presenza della Parola.

La via della bellezza

63.   Discorrendo sui modi con cui noi religiosi possiamo concorrere alla promozione, qualitativa più che quantitativa, del culto alla Vergine, non ci è difficile indicarne uno, non nuovo tuttavia, ché anzi appartiene alla nostra ‘eredità familiare’:

— fare della pietà mariana uno spazio santo e un’occasione propizia per la contemplazione della Bellezza increata — Dio —, del suo splendore divino-umano — Cristo —, dell’opera precipua dello Spirito di Bellezza — la Vergine Maria —;

— fare della pietà mariana un luogo propizio per il festoso incontro di tutte le espressioni della creazione artistica.

64.   Dio, il Santo e il Vivente, è la Bellezza suprema. La sua parola è poetica, cioè creatrice: dal nulla trae l’essere, dal caos l’armonia, dalla tenebra la luce; le opere delle sue mani sono ‘belle-buone’, secondo il senso pregnante del termine usato nel racconto biblico della creazione (cf. Gn 1, 9. 12. 25. 31);72 e, quando attraverso il suo Santo Spirito parla agli uomini con il linguaggio degli uomini, la sua parola è essa stessa altissima poesia e riveste spesso le più smaglianti forme letterarie.
      Vorremmo sostare, fratelli e sorelle, nella contemplazione della bellezza di Cristo, ma dobbiamo abbreviare la nostra riflessione. Ci limiteremo a contemplarne la bellezza nel suo essere, che è irradiazione della gloria del Padre e impronta della sua sostanza (cf. Eb 1, 3 ), e nello splendore della luce che lo avvolge (cf. Mc 9, 2-3); a ricordare, sulla scorta dei Santi Padri, che a Cristo va riferito l’elogio reso alla Sapienza "più bella del sole" (Sap 7, 29), "riflesso della luce perenne, specchio senza macchia dell’attività di Dio e immagine della sua bontà" (ibid., 26); la lode delle fattezze dell’Amato, per cui la Sposa esclama: "Come sei bello, mio diletto" (Ct 1, 16); la celebrazione delle sembianze del Re messianico: "Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia, ti ha benedetto Dio per sempre" (Sal 44 [45], 3).

65.   Si sa: dinanzi alla bellezza superna che rifulge nella Vergine, il credente è preso dallo stupore: "Come cantare le tue lodi, santa Vergine Maria?", s’interroga la liturgia.73
      Non senza commozione ogni anno, nell’ufficiatura del Giovedì Santo, rileggiamo un antichissimo testo — l’Omelia pasquale di Melitone di Sardi († 190 ca.) —, in cui Maria è chiamata "la bella agnella".74

E con gioia consideriamo come i fratelli d’Oriente, cosìsensibili al mistero della bellezza, chiamino la Spirito Santo l’Iconografo divino e ritengano che l’’icone’ capolavoro di Dio sia la gloriosa Theotokos: "Volendo creare un’immagine della bellezza assoluta — scrive Gregorio Palamas († 1359) — e manifestare chiaramente agli angeli e agli uomini la potenza della sua arte, Dio ha fatto veramente Maria tutta bella. Egli ha riunito in lei le bellezze particolari distribuite alle altre creature e l’ha costituita come comune ornamento di tutti gli esseri visibili e invisibilí".75
      E venendo ai tempi nostri, alla Chiesa latina, possiamo ascoltare la voce di un Vescovo di Roma, Paolo VI († 1978); egli che, come è noto, invitò i cultori di mariologia a non trascurare la ‘via della bellezza’,76 vedeva in Maria "un capolavoro di bellezza umana, non ricercata nel solo modello formale, ma realizzata nell’intrinseca ed incomparabile capacità di esprimere lo Spirito nella carne, la sembianza divina nel volto umano, la Bellezza invisibile nella figura corporea".77

Via di impegno ascetico

66.   A questo punto, per completare la nostra riflessione, ci sembra di dover aggiungere alcune osservazioni.
      Anzitutto è necessario fugare ogni perplessità sulla natura della via pulchritudinis: essa non consiste in un esercizio intellettuale e non è un cammino riservato agli spiriti raffinati.
      La ‘via della bellezza’ è via di severo impegno ascetico: Filocalìa, cioè "amore alla bellezza", s’intitola significativamente uno dei libri di ascesi più diffusi nell’Oriente cristiano.
      La scoperta e la fruizione della bellezza suppongono la vittoria in noi, conseguita spesso faticosamente, della verità sulla menzogna, della bontà sulla cattiveria, dell’amore sull’odio; implicano il superamento delle divisioni e delle lacerazioni perché nel nostro intimo si faccia unità e armonia.
      La bellezza è splendore della bontà e della verità. Perciò Maria è bella: è bella allorché con cuore umile (bonitas) e con parola vera (veritas) accoglie la volontà di Dio e si lascia possedere dallo Spirito di pace; quando nel suo grembo verginale si ricompone l’unità tra Dio e l’uomo, la terra e il cielo; quando con la sua semplicità e la sua umiltà cancella un’antica doppiezza e una folle superbia.
      Maria è bella perché lo Spirito l’ha sottratta al dominio del peccato: il titolo di Tuttasanta, tipico della Tradizione orientale, e quello di Tota pulchra, caratteristico della liturgia romana, designano la stessa realtà ed hanno la stessa motivazione: in Maria non vi è macchia di peccato.78
      La ‘via della bellezza’ è cammino di illuminazione e sforzo di trasparenza; è lotta contro il peccato nel quale i Santi Padri e la liturgia vedono la somma bruttura; è progressiva liberazione dal male e crescente immissione nella verità e santità di Dio: per tutto ciò la ‘via della bellezza’ si configura come ‘via di salvezza’.

Via aderente alla Parola

67.   Bisogna poi rilevare che la ‘via della bellezza’, restando aderente alla Parola, consente di integrare in un’unica visione armonica la figura evangelica di Maria con gli enunciati della fede che a lei si riferiscono.
      Come Paolo discerne in Gesù, "nato da donna, nato sotto la legge" (Gal 4, 4), l’Uomo nuovo (cf. 1 Cor 15, 45) e il Signore della gloria (cf. 1 Cor 2, 8), così la Chiesa ha intuito in Maria di Nazareth, donna umile, la Donna nuova preparata da Dio per Cristo e per l’umanità. In Maria la ‘donna reale’ e la ‘donna ideale’ coincidono. Sorretto dalla fede, il credente contempla attuati in Maria i suoi più alti ideali religiosi e umani:

— in lei, nella sua Concezione immacolata, vede restituita l’umanita all’innocenza originaria e alla bellezza primigenia, e compiuto il simbolo della ‘vergine terra’;

— in lei, nella sua fedeltà a Dio, scorge il vertice spirituale di Israele, l’immagine dell’Alleanza non infranta;

— in lei, nella sua docilità allo Spirito, contempla l’ideale del discepolo, vede la trama più pura del dialogo tra Dio e l’uomo, il rapporto più armomco tra natura e grazia;

— in lei, nella sua maternità verginale, vede realizzato l’ideale della Sposa fedele, della Vergine integra, della Madre feconda; ammira divenuta reale l’aspirazione impossibile: l’unione dell’onore della verginità con la gioia della maternità;79 e si stupisce di vedere attuato nel frutto di quella maternità l’altro prodigio: Dio nell’uomo e l’uomo in Dio;

— in lei, nella sua pietà soccorrevole, vede colmata l’attesa di ogni uomo ferito dal dolore o dal male: ritrovare l’abbraccio della madre che lo accolga, lo comprenda, lo rigeneri;

— in lei, nella sua Assunzione gloriosa, contempla avverata la sua aspirazione più intima: il superamento della morte nella vita; e scorge il segno di una "speranza a tutti accessibile".80

68.   Questa ‘immagine’ della Vergine non è — come talvolta si legge — il risultato di una oggettivazione inconscia delle aspirazioni profonde dell’uomo, né il frutto di una cristianizzazione sistematica di miti pagani: è ‘icone’ disegnata dallo Spirito per illustrare un dono di Dio agli uomini; è documento facilmente intelligibile del modo con cui Dio, che ha fatto l’uomo a sua immagine (cf. Gn 1, 26-27), risponde ai bisogni del cuore umano; è, infine, trascrizione dei dati della Sacra Scrittura con il linguaggio della fede e della poesia.
      In questo campo dobbiamo guardarci, fratelli e sorelle, dalla finzione letteraria: essa, staccandosi dalla Parola, rimane sterile ed è ingannatrice. Ma, al seguito dei Santi Padri, dobbiamo apprezzare lo sguardo poetico che, sorretto dalla fede, si posa sulla Parola. Tale sguardo, intuitivo e penetrante, si trasforma in parola poetica, che rende udibili ai fratelli di fede vibrazioni nascoste nella Parola divina.

69.   Ci sembra importante rilevare ancora che l’‘immagine Maria’ non trattiene in sé lo sguardo e la parola che le sono rivolte: li rinvia verso l’‘immagine Cristo’, verso l’‘immagine Chiesa’, verso l’Artefice divino: — verso Cristo, la sola compiuta "immagine del Dio invisibile" (Col 1, 15), la sola che realizza l’armonia perfetta;

— verso la Chiesa, perché l’’immagine Maria’ è anticipazione dell’’immagine Chiesa’, che Dio disegna e compie nel corso del tempo salvifico. Così lo sguardo rivolto all’immagine di Maria, madre della Luce, si prolunga in uno sguardo verso la "Donna vestita di sole" (cf. Ap 12, 1), la Chiesa, che genera le membra del Cristo totale; come pure lo sguardo indirizzato a Maria, Vergine Sposa splendente di bellezza, continua nella contemplazione della Gerusalemme celeste, la Chiesa che "scende da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo" (Ap 21,2);

— verso l’Artefice divino, perché ogni discepolo del Signore, abituato ad arguire dalla bellezza della creazione l’ineffabile bellezza del Creatore, contemplando l’arcana bellezza di Maria, tanto più è condotto a magnificare l’insondabile bellezza di Dio.

70.   Ci sembra che noi religiosi, per la tradizione di cui siamo portatori, dobbiamo cooperare attivamente allo sforzo di rendere operative alcune esigenze della via pulchritudinis:

— la rivalutazione del linguaggio simbolico e della poetica biblica; l’educazione allo sguardo poetico e al gusto artistico; il ricorso all’intuizione; la sollecita riconciliazione dell’Arte con la Fede: così il ‘mistero del culto’ tornerà a fecondare le espressioni artistiche;

— l’eliminazione dai segni attraverso i quali esprimiamo la nostra pietà mariana — il segno spazio, il segno parola, il segno canto, i1 segno colore... — di tutto ciò che è brutto e oleografico, ripetitivo e fittizio.

Via filiale

71. Dicevamo, fratelli e sorelle, che la via della bellezza non è cammino riservato agli specialisti: "è accessibile a tutti, anche alle anime semplici",81 soprattutto ai puri di cuore che colgono la bellezza "dei gigli del campo" e con Gesù comprendono che "neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro" (Mt 6, 29); via, aggiungiamo, preferenziale per i religiosi, che s. Agostino, al termine della sua Regola, chiama "innamorati della bellezza spirituale".82
      La ‘via della bellezza’ è, infine, una ‘via filiale’: i figli infatti, per consuetudine di vita e per disposizione di amore, scoprono nella propria madre tratti di profonda bellezza, che ad altri restano nascosti. Perciò, poiché con Gesù, "primogenito tra molti fratelli" (Rm 8, 29), chiamiamo Maria ‘madre’ — sia pure su un diverso piano di realtà —, ci sembra di poter fare nostre le parole che il b. Amedeo di Losanna († 1159) pone sulle labbra del Figlio in lode della Madre: ""Tu sei tutta bella, o madre mia, e in te non v’è macchia alcuna" (Ct 4, 7 ). Tu sei bella, le dice: bella nei pensieri, bella nelle parole, bella nelle azioni; bella dalla nascita fino alla morte; bella nella concezione verginale, bella nel parto divino, bella nella porpora della mia passione, bella soprattutto nello splendore della mia risurrezione".83

L’Opzione per i poveri

72.   Cristo è la nostra vera e suprema ricchezza, e somma miseria è per noi essere senza Cristo. Dinanzi a lui e alle esigenze del Regno tutto diviene secondario: padre e madre, moglie e figli, fratelli e sorelle, patrimonio e perfino la propria vita (cf. Lc 14,26.33). Chi antepone anche uno solo di questi valori al valore supremo — Cristo e il Regno — non può essere discepolo del Signore. E poiché, di fatto, l’attaccamento ai beni di questo mondo indurisce il cuore dell’uomo fino a chiuderlo nei confronti della persona stessa di Cristo (cf. Lc 18,18-27) e a renderlo insensibile alle necessità dei fratelli (cf. 1 Gv 3,17; Gc 2,14-16; Lc 16,19-21), si comprende perché i Vangeli e le Lettere apostoliche con tanta insistenza e con tanta energia mettano in guardia i discepoli dal pericolo di porre le ricchezze al centro della propria vita. Perché quando ciò avviene si incorre in una grave forma di idolatria: al posto di Dio, Amore che si diffonde nei cuori (cf. Rm 5,5), si adora l’idolo dell’oro e dell’argento — "disonesta ricchezza" (Lc 16,9) —, sterile e chiuso in tenebroso egoismo. E si comprende perché l’Apostolo ammonisca: "L’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali" (1 Tm 6,10).

73.   Gesù non ha condannato in se stessi i beni di questo mondo. Ma, in antitesi alle forme di vita dominate dalla bramosia della ricchezze, egli scelse per sé una vita segnata da una radicale povertà. Lo stesso evento dell’Incarnazione, per l’assunzione da parte del Verbo della "condizione di servo" (Fil 2,7), si configura come un mistero di povertà e di kenosis. Peraltro l’Apostolo scrivendo ai Corinzi chiarisce il senso ultimo della povertà di Cristo: "conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2 Cor 8,9). Non è necessario scrutare a lungo i Vangeli per scoprirvi la povertà di Cristo; essa ci balza davanti agli occhi: nacque povero (cf. Lc 2,7), poveramente visse (cf. Lc 9,58), poveramente morì (cf. Mc 15,24); dell’annuncio della Buona Novella ai poveri fece il segno per riconoscere l’avvento del Regno messianico (cf. Lc 7,22); proclamò beati i poveri in spirito, dichiarando che di essi è il Regno dei cieli (cf. Mt 5,3); volle che gli araldi del Regno non si procurassero né oro, né argento, né moneta di rame, né bisaccia di viaggio (cf. Mt 10,9-10).

74.   Analogamente la Madre di Gesù, nella concretezza della sua vicenda evangelica, ci appare come una donna povera, la cui vita fu contrassegnata da una duplice povertà: povertà secondo le categorie sociologiche e povertà secondo le categorie del Regno, in lei armonicamente coincidenti.

75.   La povertà sociologica di Maria si offre subito allo sguardo del lettore dei Vangeli: Maria nasce povera nella disprezzata regione di Galilea — la semipagana "Galilea delle genti" (Mt 4,15) —, a Nazareth, una borgata che non conta nulla nella storia di Israele (cf. Gv 1,46; 7,52); è promessa sposa a Giuseppe, un umile carpentiere (cf. Lc 1,27; Mt 13,55); dà alla luce il suo Figlio in una grotta-stalla e lo depone "in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo" (Lc 2,7); lo riscatta con l’offerta dei poveri (cf. Lc 2,24); quando il Figlio è perseguitato dai potenti deve fuggire in un paese straniero, dove conosce i disagi dell’esilio (cf. Mt 2,13); ritornata a Nazareth, vive oscuramente, per molti anni, la vita dei poveri; durante la vita pubblica del Figlio nulla modifica la sua condizione di semplice donna del popolo, aumenta invece la sua partecipazione al mistero del "segno di contraddizione": esperimenta l’ostilità dei concittadini nei confronti del Figlio: "lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte [...] per gettarlo giù dal precipizio" (Lc 4,29); constata l’incomprensione degli stessi parenti: "i suoi [...] uscirono a prenderlo, poiché dicevano: "È fuori di sé"" (Mc 3,21); vive il dramma della morte del Figlio, crocifisso tra "due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra" (Lc 23,33).

76.   Ma Maria spicca soprattutto per l’intensità con cui visse la spiritualità dei ‘poveri di Jahvé’. La Vergine "primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza":84

— donna lieta nel servizio del Signore (cf. Lc 1, 38.46-48), fedele nell’osservanza della legge (cf. Lc 2,22-24.27.39), docile alla volontà di Dio (cf. Lc 1,38);

— donna premurosa verso Elisabetta nell’offrirle il suo aiuto, nel rallegrarsi con lei per il dono della maternità, nel proclamare la gratuità dei doni di Dio (cf. Lc 1, 39-56);

— donna beata per la sua fede (cf. Lc 1, 45), benedetta per il frutto del suo grembo (cf. Lc 1, 42), esemplare per la fiducia nell’adempimento delle promesse fatte ai Padri (cf. Lc 1, 55);

— donna del saluto santificante (cf. Lc 1, 40-41. 44), del canto riconoscente (cf. Lc 1, 46-55), della parola decisa (cf. Lc 1, 38; Gv 2, 5), del silenzio riflessivo (cf. Lc 2, 19. 51b);

— donna partecipe della sorte del suo popolo (cf. Lc 1, 54), solidale con gli umili di cuore — Simeone e Anna, i pastori e i saggi venuti da lontano — e con gli oppressi (cf. Lc 1, 52-53; Mt 2, 16-18), attenta alle necessità del prossimo (cf. Gv 2, 3) e sollecita verso la nuova comunità dei discepoli di Gesù (cf. Gv 2, 1-12; At 1, 14);

— donna dal cuore umile, semplice, fidente in Dio (cf. Lc 1, 48) che, avendo ricevuto misericordia, proclama la misericordia del Signore e ne esalta la potenza liberatrice (cf. Lc 1, 51-53).

77.   Sappiamo che la credibilità delle Chiese locali e degli Istituti religiosi si gioca in gran parte sulla genuinità della loro testimonianza di povertà evangelica. Dal rendere tale testimonianza nessuno è dispensato: essa è richiesta, sia pure in vario modo, a tutti i discepoli del Signore. E per quanto riguarda noi religiosi sappiamo che "su questo punto i nostri contemporanei" ci "interrogano con particolare insistenza".85
      Dopo aver contemplato la figura evangelica di Maria, "donna povera", sentiamo che anche da essa ci giunge un pressante invito a compiere una chiara opzione in favore dei poveri e a porre in atto un serio sforzo per vivere una vita sobria, libera da possessi e da poteri, partecipe dei disagi di una effettiva povertà.
      Per quanto concerne la pietà mariana, la nostra riflessione ci ha portati a concludere: il culto alla beata Vergine, se si vuole che non si perda nell’astrattezza o sia confinato in dimensioni puramente individuali, deve essere permeato dai contenuti del messaggio evangelico sulla povertà. Vogliamo dire: deve essere occasione per predicare a coloro che sono sociologicamente ricchi e a coloro che sono sociologicamente poveri l’unico evangelium paupertatis, cioè la subordinazione dei beni di questo mondo ai valori del Regno e la loro primordiale destinazione al servizio e alla promozione dell’uomo; deve essere momento cultuale per l’annuncio del messaggio del Magnificat e delle Beatitudini, per il rifiuto di ogni "compromesso con qualsiasi forma di ingiustizia sociale"86 e per la denuncia di ogni forma di oppressione dei poveri; ambito orante per sollevare i cuori sfiduciati verso Dio che "solleva l’indigente dalla polvere, dall’immondizia rialza il povero" (Sal 112 [113], 7) e per ascoltare il "grido dei poveri" (Gb 34, 28) che si leva "più incalzante che mai [...] dalla loro indigenza personale e dalla loro miseria collettiva";87 deve essere ammonimento a non presentare certe situazioni sociali come espressione della ‘volontà di Dio’, quando sono soltanto effetto del peccato degli uomini.
      In questo atteggiamento cultuale — di fiducia in Dio e di denuncia dell’ingiustizia — ci ha preceduti Maria di Nazareth. Il suo inno di ringraziamento non è certo un proclama di messianismo terreno né un grido di rivolta sociale, ma non è nemmeno una preghiera disincarnata: è un canto di liberazione sgorgato dalla fede; è memoria degli interventi di Dio nella storia; è parola detta a nome di "coloro che non accettano passivamente le avverse circostanze della vita personale e sociale né sono vittime dell’‘alienazione’ — come si dice oggi — bensì proclamano con lei che Dio è "vindice degli umili" e, se è il caso, "depone i potenti dal trono"".88

La questione femminile

78.   "Dio mandò suo Figlio, nato da donna" (Gal 4, 4), scrive Paolo intendendo probabilmente alludere all’abbassamento del Verbo che incarnandosi si fece in tutto simile a noi tranne il peccato (cf. Eb 4, 15 ). "Maria è donna", scrivono i Vescovi latino-americani volendo sicuramente sottolineare che Dio in Maria ha innalzato a sublime dignità la condizione femminile.89 Nei quasi due millenni che corrono tra queste due affermazioni si snoda la lunga e travagliata ‘questione femminile’ nella società civile e all’interno del cristianesimo. Non possiamo certo in questa nostra riflessione tracciare le tappe del suo sviluppo storico né tanto meno affrontare i numerosi e gravi problemi che oggi si pongono a proposito della condizione femminile nella Società e nella Chiesa. Vogliamo solo raccogliere alcune indicazioni provenienti da più parti e ordinate a far sì che la pietà mariana, conservando la propria fisionomia e le proprie finalità, divenga pure occasione per un valido contributo alla causa della promozione della donna.

79.   I testi evangelici ci parlano della povertà di Maria, non accennano invece ad una sua situazione di emarginazione. Nulla ci autorizza tuttavia a pensare che ella non abbia condiviso la sorte delle donne del suo tempo e della sua terra: essere serve dei loro mariti, vedersi sbarrata la strada ad ogni pur minimo progresso culturale, trovarsi senza voce nella vita sociale e politica, sentirsi addosso come una condanna atavica l’infelicità di essere donna.90
      Eppure a questa donna emarginata si rivolse Dio scavalcando — ci si consenta l’espressione — le strutture della cultura giudaica e i giudizi degli uomini, per operare in lei "grandi cose" (Lc 1, 49) e per assumerla a interlocutore qualificato in un momento culminante del dialogo della salvezza. In questo agire di Dio abbiamo un’indicazione di stile e di metodo che non possiamo trascurare. E, interpretandolo a partire dai presupposti della fede, il ‘dialogo di Nazareth’ ci appare come il momento più pregnante e il punto più alto del femminismo nella storia della salvezza.
      Questa donna emarginata è stata chiamata ad essere nella Chiesa "una presenza e un sacramentale dei lineamenti materni di Dio", come si esprime la III Conferenza generale dell’Episcopato latino-americano.91
      "In lei — prosegue il documento di Puebla — il Vangelo ha penetrato la femminilità, l’ha redenta ed esaltata [...] Maria è garanzia della grandezza femminile, indicando il modo specifico dell’essere donna con quella sua vocazione ad essere anima, donazione capace di spiritualizzare la carne e di incarnare lo spirito".92

80.   Dicevamo che non possiamo procedere qui ad una analisi della condizione femminile nel mondo contemporaneo. Essa varia notevolmente da un luogo all’altro: in alcune regioni sottosviluppate la situazione della donna non è molto cambiata da quella dei tempi di Maria di Nazareth; in altre — soprattutto nei paesi industrializzati — la donna appare affrancata in sede teorica e giuridica da molte antiche oppressioni, ma in realtà gravano ancora su di lei pregiudizi e condizionamenti secolari. Semplificando i dati della questione possiamo dire che gli obiettivi dell’‘emancipazione’ e della ‘liberazione’ della donna sono dappertutto attuali, sia pure per motivi diversi, e che il ‘movimento femminista’ e il movimento femminile, così vari nelle loro manifestazioni e nelle loro matrici culturali e filosofiche, hanno tuttora una loro ragione di essere, in vista del conseguimento di essi.

Pietà mariana e promozione della donna

81.   A questo punto sentiamo che lo sguardo cultuale che rivolgiamo a nostra Sorella Maria di Nazareth deve prolungarsi in uno sguardo pieno di rispetto e di interessamento verso la situazione di oppressione in cui versano tante donne. La pietà mariana non può certo né in questo né in altri campi assumere toni e posizioni demagogiche, ma non può nemmeno risultare assente nei confronti di una questione che già Giovanni XXIII riteneva proposta con urgenza dai ‘segni dei tempi’.93 Perciò riteniamo che la pietà mariana, a partire dai dati della fede, si possa inserire efficacemente nel processo di promozione della donna.

82.   Anzitutto la pietà mariana è chiamata a favorire il ricupero, dove essa fosse stata offuscata, della visione cristiana della donna e della sua missione, cioè:

— a illustrare il significato, la bellezza, la fecondità della verginità consacrata per il Regno;

— a riproporre con gioia i valori profondi della vocazione alla rnaternità, intesa come misteriosa partecipazione al progetto creatore di Dio là dove la natura riceve ancora il suo soffio vivificante, come immissione responsabile nell’onda della vita a servizio dell’Umanità e della Chiesa, come realizzazione non egoistica della propria personalità;

— a ridare alla donna il senso della sua dignità, della sua "differenziazione funzionale, pur nell’identità della natura [.. ] per rapporto all’uomo",94 della sua originalità affascinante e della sua capacità di affermazione;

— a riconsegnarle la ‘memoria storica’ che l’aiuterà a scuotere da sé il senso di inferiorità per riconoscersi protagonista di tante imprese memorabili — di progresso, di libertà, di santità — nella storia dell’umanità e nella storia della salvezza.

83.   La pietà mariana poi, secondo le strutture che le sono proprie — la forza della preghiera, i convincimenti profondi che via via si formano nei cuori e si traducono quindi in azione... —, può favorire il riconoscimento pieno dei diritti civili della donna in parità con l’uomo nonché l’esercizio pratico di essi nella vita professionale, sociale e politica.95 Comprendiamo che la questione è delicata, ma riteniamo che in questo campo non possiamo nemmeno rifiutare aprioristicamente l’ascolto delle proposte dei movimenti femministi anche di quelli di matrice non cristiana. Occorre infatti discernere con sapienza apostolica (cf. 1 Ts 5, 21 ) ciò che in essi è accettabile dal punto di vista della Rivelazione e ciò che non è conforme alla divina Parola. Così, se non possiamo accettare alcune proposte radicali che qua e là affiorano — ad esempio il rifiuto dell’istituzione matrimoniale —, possiamo tuttavia condividere la denuncia di tanti subdoli progetti di mercificazione della donna che la società dei consumi pone in atto.

All’interno della Chiesa

84.   La ricerca mariologica e la pietà mariana sono pure destinate — ci sembra — a promuovere all’interno della Chiesa l’accesso della donna a funzioni e compiti da cui finora è stata completamente o in parte esclusa, non per ragioni dottrinali bensì per motivi di indole storica e culturale. Ciò è avvenuto pure nell’ambito di mille servizi pastorali di vitale importanza, la cui dinamica non tocca la sfera della struttura gerarchica della Chiesa: in essi tuttavia i rapporti uomo-donna sembrano improntati più ai modelli di una ‘società maschilista’ che alle proposte innovatrici del messaggio evangelico.
      A questo proposito ci sembra di dover rilevare nella Chiesa un certo ritardo nel riconoscere alla donna la capacità di ricevere i ministeri — il lettorato, l’accolitato... —, i quali non appartengono all’ambito del sacramento dell’Ordine, ma sono una semplice istituzione ecclesiale. Tale non riconoscimento appare superato dall’evolversi della realtà, poiché di fatto le donne svolgono dappertutto tali ministeri o per consuetudine acquisita o per legittimo incarico dell’autorità ecclesiastica, ma sempre con carattere ‘extra-ordinario’.
      Il problema dell’accesso delle donne ai ministeri è particolarmente sentito dalle religiose di alcuni paesi. A questo proposito facciamo nostro il voto espresso dalla S. Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli: "... possiamo augurarci che le autorità rispondano all’offerta di servizio delle donne consacrate, con una simpatia attiva, in tutta la gamma — che è ampia — delle possibilità",96 e formuliamo l’auspicio che tale problema, previamente approfondito in sede dottrinale, sia affrontato non in termini di contrapposizione e di rivendicazione, ma di cooperazione e di servizio.
      E relativamente all’argomento che ci occupa, si può osservare ancora come l’autorità ecclesiastica assuma spesso nei confronti degli Istituti religiosi femminili un atteggiamento di tipo protezionistico; come tenda in non pochi casi a indirizzare il servizio di questi verso mansioni subalterne presso organismi ecclesiali maschili; come non sempre tragga tutte le conseguenze pratiche derivanti dal fatto che, quanto all’essenza della ‘vita consacrata’, gli Istituti religiosi maschili e quelli femminili si trovano in situazione di perfetta parità.

85.   Siamo lieti di affermare con voi, sorelle religiose, che le istituzioni femminili di vita consacrata, nel loro complesso, hanno contribuito in larga misura a una genuina promozione della donna. Alle origini dei vostri Istituti e lungo la loro storia troviamo spesso donne umili e forti, vere discepole di Cristo, audacemente precorritrici dei tempi, che seppero liberare se stesse e le loro sorelle da condizionamenti restrittivi, che alla loro epoca pesavano gravemente sulla donna. Tale ‘promozione’, efficace nei fatti, della quale tuttavia le stesse protagoniste non ebbero sempre piena coscienza, era a sua volta finalizzata alla promozione degli umili: diveniva diffusione della cultura, attraverso numerose istituzioni di insegnamento; soccorso al bisognoso, attraverso molteplici opere caritative, che all’aspetto assistenziale congiungevano una tensione promozionale; illuminazione dello spirito, attraverso l’annuncio del messaggio evangelico. Per tutto questo noi riteniamo che la storia della emancipazione della donna debba scriversi guardando anche alle istituzioni femminili di vita consacrata, nonostante l’eventuale presenza in esse di alcuni elementi negativi.
      E per quanto attiene alla nostra riflessione non è difficile rilevare che alla base di tale ‘promozione’ ci sono stati quasi sempre, dopo l’amore di Cristo, un’intuizione e un impulso provenienti dalla pietà mariana di tante vostre Madri e Sorelle insigni.

Pietà mariana e virtù evangeliche

86.   La pietà mariana si nutre della fede e, a sua volta, ne irradia i contenuti. Ciò fa che essa sia uno strumento particolarmente valido per la diffusione del Vangelo: "In mezzo alle nostre popolazioni — dichiara il documento di Puebla — il Vangelo è stato annunciato presentando la Vergine Maria come la sua più alta realizzazione";97 ma ciò esige da parte dei nostri Istituti e delle Chiese locali una vigile attenzione perché la pietà mariana, senza cedere a visioni unilaterali, sia eco integra della proposta cristiana e abbia la capacità di rispondere con i fatti ad alcune ricorrenti obiezioni. La pietà mariana — si afferma — ha concorso: — a formare un tipo di ‘donna cristiana’ sottomesso e rassegnato;

— a relegare la donna, con intendimenti più o meno scoperti, nella sfera domestica e privata;

— a dare alla spiritualità cristiana un’impronta sentimentale, ‘femminile’.

Si tratta di obiezioni di rilievo. Una risposta particolareggiata ad esse richiederebbe analisi storiche che qui non possiamo condurre. Ci limiteremo pertanto ad alcune osservazioni.

87.   Anzitutto si deve notare che queste deviazioni — se, dove e nella misura in cui si sono prodotte — sono da attribuire a processi degenerativi e a interpretazioni unilaterali e restrittive della pietà mariana, non sono in alcun modo effetti derivanti da essa per intrinseca necessità. La pietà mariana ne soffre: sono contro di essa, non a causa di essa. Sappiamo peraltro che quasi nessun capitolo della fede e del culto cristiani è andato esente da deviazioni più o meno gravi. Se si riflette, per esempio, alle deviazioni che la pietà eucaristica ha subito in alcuni tempi e in alcuni luoghi, si concluderà che quelle di cui ha sofferto la pietà mariana sono, a ben considerare, meno rilevanti. Ora è evidente che le alterazioni nella pietà eucaristica non sono insite nel progetto istituzionale di Cristo, sono bensì frutto della fragilità o della insipienza degli uomini.

88.   Le virtù che spesso sono state sottolineate nella pietà mariana — l’umiltà, l’obbedienza, la mitezza, l’abbandono fidente in Dio, la pazienza... —, in quanto virtù di profonde radici bibliche e di cui Cristo stesso si è proposto come modello (cf. Mt 11, 29; Gv 13, 14-15), sono valide per tutti i discepoli del Signore, per gli uomini come per le donne. L’aver supposto che esse fossero ‘riservate’ alle donne rivela una mentalità maschilista, e il fatto di averle configurate come ‘virtù passive’ denuncia una visione della realtà poco conforme al Vangelo. Come pure non si può trarre, a partire dai dati evangelici relativi a Maria, alcuna indicazione per ritenere ottimale per la donna la sua realizzazione nell’ambito del focolare domestico: ciò può costituire una legittima opzione personale, può essere ritenuto un’opportunità e anche un diritto da difendere con appositi strumenti legislativi,98 ma non può essere presentato come ‘vocazione cristiana’ prioritaria nei confronti di altre scelte. Bisognerà invece seguire con attenzione gli esiti delle ricerche di esegeti e teologi, non certo sospettabili di massimalismo mariologico, i quali dallo studio dell’entroterra dei Vangeli ritengono di poter affermare che "per Gesù Maria non era semplicemente ‘madre’ nel senso più usuale del termine. Ella svolse un ruolo molto importante durante la vita del Figlio, tanto che esercitò una sua influenza anche nelle prime comunità cristiane. Dal punto di vista storico possiamo pensare che Maria fosse una personalità di primo piano".99

La cultura della vita

89.   Con l’Autore del Libro della Sapienza proclamiamo che Dio è il "Signore, amante della vita" (11, 26); con Giovanni siamo lieti di professare che nel Verbo "era la vita e la vita era la luce degli uomini" (1, 4) e che Cristo, venuto perché gli uomini "abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza" (10, 10), è egli stesso la vita (cf. 14, 6) e la risurrezione (cf. 11, 24); con la Chiesa confessiamo la nostra fede "nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita".100
      E poiché la beata Vergine ha dato alla luce Cristo-Vita e con la sua materna carità coopera alla nascita dei fedeli alla vita della grazia,101 si comprende come i testi liturgici salutino gioiosamente santa Maria quale "madre" e "sorgente della Vita" e a lei si rivolgano invocandola come "vita, dolcezza, speranza nostra".102

90.   Ma avvertiamo che la lode alla Sorgente della Vita costituisce per noi un monito a collocarci dalla parte della víta, a far sì che la pietà mariana sia essa stessa un canale di comunicazione del messaggio di vita che il cristianesimo è chiamato ad annunciare in ogni epoca della storia.
      Ai nostri giorni la tensione tra la luce e le tenebre (cf. Gv 1, 5), tra l’amore e l’odio (cf. 1 Gv 2, 8-11) si presenta come un’immensa ed immane lotta tra la cultura della vita e la cultura della morte.

91.   Cultura della morte sono "l’aggressione bellica, la violenza e il terrorismo" nonché il terrificante "accumulo di armi, specialmente atomiche, e lo scandaloso traffico di armamenti bellici d’ogni genere".103 Per cui, mentre associamo la nostra umile voce alle recenti condanne della guerra nucleare fatte da Giovanni Paolo II,104 dal VI Sinodo dei Vescovi, dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti e da altre Conferenze episcopali,105 ci sentiamo noi stessi spinti dalla nostra fede in Cristo, "Principe della pace" (Is 9, 5) e dalla nostra pietà verso la Vergine, Regina della pace, a percorrere, come la sola strada conforme al Vangelo, la via della non violenza, della promozione del disarmo, della conversione alla pace.

92.   Cultura della morte sono il disprezzo per la vita che si manifesta in tanti episodi di criminalità, la scandalosa situazione di fame per cui muoiono o contraggono gravi malattie milioni di uomini in particolare bambini, le azioni letali condotte contro i nascituri, contro gli anziani, contro i malati incurabili, il flagello della droga. Non è nostro compito né nostra intenzione trattare dei problemi morali connessi con queste situazioni umane spesso tragiche. In questa sede vogliamo solo rilevare che dalla tradizione cultuale mariana ci giunge un invito a collocarci serenamente e, per così dire, pregiudizialmente dalla parte della vita.
      Così dall’immagine della Vergine gravida — soggetto trattato dagli artisti quasi sempre con mirabile delicatezza e pietà106 — ci sembra giunga a noi l’esortazione a considerare con sommo rispetto ogni donna incinta; a vedere in ogni parto di donna un riflesso del parto di Maria, per mezzo del quale l’Uomo-Dio è entrato nella storia e dalla radice di Iesse è spuntato il Germoglio messianico (cf. Is 11, 1); a favorire ogni iniziativa volta a tutelare la vita incipiente; ad essere vicini con comprensione e misericordia alle donne che per circostanze diverse — ingiustizia della società, violenza subita, mancanza di fede... — sono tentate di adottare soluzioni di morte nei confronti del frutto che portano nel grembo.
      Così l’icone della Vergine che allatta il Bambino, e i testi liturgici che con simpatia e stupore rilevano come Maria "con un po’ di latte nutre Colui che sazia l’universo",107 oltre al messaggio dottrinale ed estetico, inviano a noi un pressante appello: non è giusto che i bambini muoiano di fame; e, per converso: è doveroso che la pietà mariana si risolva — come già avviene esemplarmente in molti casi — in attenzione verso gli orfani, in pane per i piccoli affamati, in impegno educativo per i giovani.
      Ed ancora: l’icone della Vergine addolorata ci è stimolo e guida per avvicinarci al mistero del dolore e della morte con una visione di fede, che proietta su di esso una luce di vita. Nei confronti di tale mistero infatti non abbiamo spiegazioni razionali da offrire, solo un’esperienza di fede da proporre: la Pasqua di Cristo, la morte inghiottita dalla vita (cf. 1 Cor 15, 54), la sicurezza che Dio nella sua condiscendenza trasforma "la pena del dolore in strumento di salvezza".108 Maria visse quell’esperienza accanto al Figlio. Perciò la pietà mariana ci apre alla speranza e ci spinge ad adottare ‘soluzioni di vita’, anche là dove il dolore imperversa e la morte apre i suoi varchi.

93.   La vastità e la gravità dei fenomeni cui dà luogo la cultura della morte — il pericolo della guerra nucleare, la fame nel mondo, il flagello della guerra, il razzismo, lo sterminio di popoli... — ci sgomenta e ci trascende; di fronte ad essi sentiamo di non potere contare su null’altro che sulla potenza della fede (cf. Mt 17, 19; Lc 17, 6), sull’efficacia della preghiera, sull’esempio di Colei che credette alla parola di Gabriele: "nulla è impossibile a Dio" (Lc 1, 37).

La promozione della causa ecumenica

94.   Nel 1974 Paolo VI osservava: "Per il suo carattere ecclesiale, nel culto alla Vergine si rispecchiano le preoccupazioni della Chiesa stessa, tra cui, ai nostri giorni, spicca l’ansia per la ricomposizione dell’unità dei cristiani. La pietà verso la Madre del Signore diviene, così, sensibile alle trepidazioni e agli scopi del movimento ecumenico, cioè acquista essa stessa una impronta ecumenica".109
      I responsabili delle Chiese locali e degli Istituti religiosi, cui fraternamente ci rivolgiamo, condividono certamente il nostro convincimento sulla necessità che la pietà mariana sia sensibile ai problemi dell’ecumenismo e diventi una forza promotrice dell’unione dei cristiani. Ma forse qualche lettore si domanderà: non vi è contraddizione tra la richiesta frequentemente avanzata di un corretto (ché così abbiamo scritto quasi sempre) sviluppo della pietà mariana e l’invito a promuovere, attraverso di essa, la causa ecumenica ? non sono la dottrina e la pietà mariana della Chiesa cattolica uno degli ostacoli maggiori all’unione diei cristiani?

95.   Senza dubbio alcuni punti della dottrina cattolica sulla Vergine e alcuni aspetti della pietà mariana suscitano reazioni negative in altre Chiese, specialmente in quelle della Riforma. Ma non si deve continuare pigramente a ritenere che dagli inizi del movimento ecumenico ad oggi nulla sia cambiato in questo campo. È una voce non cattolica quella che ha dichiarato: "Oggi, invece di essere una causà di divisione tra noi, la riflessione cristiana sul ruolo della Vergine Maria è divenuta causa di gioia e sorgente di preghiera".110 Noi siamo persuasi che le varie Chiese cristiane si pongano in forma più o meno trepida ed esplicita la domanda: come è possibile che noi, uniti nella confessione di Cristo unico Signore e unica sorgente di salvezza, siamo divisi proprio riguardo a sua Madre? E siamo pure persuasi che lo Spirito suggerisca alle Chiese di non eludere ma di affrontare con un serio studio il significato della figura della Vergine nella vita della Chiesa.
      Per quanto ci concerne vogliamo offrire — in primo luogo a noi stessi, servi e serve di santa Maria —, alcune indicazioni per migliorare dal punto di vista della pietà mariana, il nostro contributo alla causa ecumenica.

Una profonda conversione del cuore

96.   La nostra parola vuole essere anzitutto invito ad operare in noi una profonda conversione del cuore: il movimento ecumenico farà pochi progressi tra noi cattolici se, relativamente a Maria, ci limiteremo ad attendere il ‘ritorno’ dei fratelli separati, la loro ‘conversione’ dagli ‘errori’ mariologici. Bisogna invece prima di tutto convertire i nostri cuori all’umiltà, al dialogo, al reciproco rispetto. Probabilmente nei confronti di molti nostri fratelli e sorelle, di molti laici che frequentano le nostre comunità, si deve promuovere ancora un ecumenismo ‘ad intra’: non certo per disperdere un patrimonio di fede, ma per rimuovere diffidenze e sospetti, pregiudizi e malintesi che si sono accumulati durante i secoli e che con la fede non hanno nulla a che vedere. La conversione del cuore e la capacità di ascolto sono condizioni previe per iniziare insieme un cammino verso Cristo, sotto la guida dello Spirito e il giudizio della Parola.

La ‘purificazione degli occhi’

97.   Alla conversione del cuore bisogna aggiungere quella che qui chiameremo la purificazione degli occhi: occorre cioè che il nostro sguardo sia talmente fisso sulla divina Parola da esserne costantemente purificato (cf. Gv 15, 3) e reso limpido. Alla Parola ci rinviano, oltre agli insegnamenti dei Santi Padri, gli esempi dei grandi Legislatori monastici111 e i moniti del magistero della Chiesa.112
      La Parola è lo spazio in cui vogliamo situare ogni nostro discorso teoligico. Essa ci sollecita a condurre la riflessione dottrinale su Maria e le manifestazioni della pietà mariana nell’ambito del mistero di Cristo e della Chiesa: di Cristo, per mezzo del quale e in vista del quale "sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra" (Col 1, 16); della Chiesa, corpo di Cristo, che ha sottoposto a sé tutte le cose e su tutte ottiene il primato (cf. Ef 1, 22; Col 1, 18).
      Maria in Cristo: tale è la sola collocazione che, secondo la genuina Tradizione cattolica, consente un fondato e proficuo discorso dottrinale su Maria. La Chiesa di Roma lo ricorda spesso in autorevoli documenti: solo in vista di Cristo, in riferimento a lui, in dipendenza da lui può essere compresa la figura e la missione della beata Vergine.113
      Maria nella Comunione dei Santi: tale è la collocazione, a partire dalla quale la Chiesa di Roma ha esplicitato l’espressione più classica della sua pietà mariana: "In comunione con tutta la Chiesa — diciamo nel Canone Romano — ricordiamo e veneriamo anzitutto la gloriosa e sempre vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo".114
      Nello spazio e nella luce della Parola ci ritroviamo largamente uniti ortodossi, anglicani, evangelici, cattolici. Riconosciamo tuttavia che la salutare adozione di questo ‘terreno comune’ non risolve immediatamente tutte le questioni: restano divergenze non lievi connesse con il problema dell’‘interpretazione della Parola’. E ciò a motivo anche di una diversa tradizione ecclesiale o di una differente situazione esistenziale.115

Un atteggiamento di comprensione

98.   In questa sorta di ‘ecumenismo ad intra’, alla conversione del cuore e alla purificazione degli occhi si deve aggiungere un atteggiamento di ‘comprensione’ verso i fratelli separati per le difficoltà che essi sperimentano nei confronti di alcuni punti della dottrina e della pietà mariana della Chiesa cattolica. Questa ‘comprensione’ non è da confondere con quella strategia del ‘nascondimento dei problemi’, che è uno dei peggiori nemici del vero ecumenismo.116 Essa affronta invece le questioni controverse, ma lo fa sforzandosi di comprendere le ragioni altrui.
      Sul piano dottrinale la ‘comprensione’ si traduce in disponibilità a riconsiderare, dal punto di vista cattolico, i propri enunciati dogmatici per distinguere ciò che in essi è il nucleo essenziale di fede da ciò che è solo rivestimento storico-culturale: si tratta di un’operazione teologica delicata, di cui tuttavia è stata riconosciuta la legittimità da parte del magistero ecclesiastico.117
      Sul piano cultuale essa implica la disponibilità ad accettare l’esistenza di diverse tradizioni ecclesiali e di diverse sensibilità nell’esprimere la pietà verso santa Maria. Così, ad esempio, nei confronti delle Chiese che, pur venerando la Madre del Signore, trovano difficoltà ad ammettere l’invocazione rivolta direttamente a lei, noi, che tale invocazione riteniamo legittima e quotidianamente pratichiamo, non assumeremo un atteggiamento di disapprovazione: da una parte ricorderemo che vi fu un tempo in cui essa, mentre nella liturgia delle Chiese d’Oriente era largamente usata, nella liturgia di Roma era scarsamente adottata,118 dall’altra ci sforzeremo di mostrare le ragioni che, a nostro avviso, la rendono valida.

Le Chiese d’Oriente

99.   Tra le Chiese d’Oriente e la Chiesa cattolica esiste un’ampia e sostanziale convergenza riguardo alla dottrina di fede sulla beata Vergine119 e un aperto consenso sulla necessità di non trascurare la fìgura di Maria nella riflessione teologica: "Non c’è teologia cristiana — scrive un noto teologo ortodosso — senza un continuo riferimento alla persona e al ruolo della Vergine Maria nella storia della salvezza".120
      Per quanto attiene alla pietà mariana si può affermare che non solo esiste una piena convergenza tra le Chiese d’Oriente e la Chiesa di Roma, ma che essa costituisce un patrimonio comune. La Chiesa cattolica infatti non solo apprezza e ammira la pietà delle Chiese orientali verso la Theotokos, ma la ritiene un’espressione cultuale ‘propria’, poiché è celebrata da milioni di ‘suoi fedeli’, cioè cristiani a lei pienamente.uniti, in quanto la comunione o non è stata mai interrotta o da lunghi secoli è stata ristabilita.
      Come è noto la pietà mariana dell’Oriente si esprime soprattutto nel culto liturgico, in forme di alto lirismo e di profonda dottrina. Diremo di più: le celebrazioni liturgiche, nelle quali si concentra la fede e la vita di ogni Chiesa orientale, hanno in tutte le loro componenti — stile, struttura, contenuti, iconografia — un costante riferimento alla Tuttasanta. Ciò non deve sorprendere: appunto perché nelle liturgie orientali tutto si esprime e si interpreta in una prospettiva cristologica e pneamatologica, tutto diviene contemplazione e lode del ruolo svolto dalla Vergine nell’incarnazione del Verbo per opera dello Spirito Santo.

100.   A noi sembra che le Chiese d’Oriente, per l’importante ruolo che svolgono nel movimento ecumenico, possano recare un contributo decisivo al chiarimento e all’approfondimento del senso cristiano della pietà mariana.121
      In primo luogo, perché esse sono rimaste ai margini delle polemiche che, a proposito del culto alla Vergine, si sono accese tra la Chiesa cattolica e le Chiese della Riforma. La testimonianza di pietà mariana che ci giunge dall’Oriente è infatti antica, serena, non sospetta, non polemica, affonda le sue radici nella Tradizione dei Santi Padri e, per essi, nella divina Parola.
      Poi, perché la pietà mariana delle Chiese orientali non ha conosciuto le ‘deviazioni’ (distacco tra pietà liturgica e pietà popolare, fenomeni di occultamento, perdita del senso simbolico...) che si sono avute invece, in varia misura e per opposti motivi, nelle Chiese d’Occidente.
      Nel suo insieme il ricco patrimonio dottrinale e cultuale delle Chiese orientali si propone alle Chiese occidentali come un sicuro punto di riferimento perché avvenga serenamente l’assunzione nella pietà mariana di alcune istanze tipiche del nostro tempo: perché, ad esempio, la necessaria attenzione alla dimensione antropologica non sia a scapito della insostituibile e prevalente dimensione teologica; perché la giusta esigenza di uguaglianza tra l’uomo e la donna non degeneri in una deleteria mascolinizzazione di quest’ultima; perché l’interesse rivolto alla mutevole temperie culturale non si risolva in trascuratezza del permanente valore della Tradizione. E così via.
      E poiché la causa dell’unione dei cristiani è problema che ci deve stare profondamente a cuore, vorremmo che ci fosse sempre presente, fratelli e sorelle, l’ammonimento conciliare: "Sappiano tutti che il conoscere, venerare, conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio liturgico e spirituale degli Orientali è di somma importanza per la fedele custodia dell’integra tradizione cristiana e per la riconciliazione dei cristiani d’Oriente e d’Occidente".122

Le Chiese della Riforma

101.   Notevoli invece sono i punti di divergenza tra la Chiesa cattolica e le Chiese della Riforma: il significato e la portata della cooperazione di Maria all’opera della salvezza; i dogmi della Concezione immacolata e dell’Assunzione corporea alla gloria celeste; il valore della dottrina sulla perpetua verginità di Maria; il senso e l’ambito dell’intercessione-mediazione della Vergine; la legittimità dell’invocazione a santa Maria. Su questi temi è in atto un non facile confronto tra i teologi delle varie Chiese: quel confronto vogliamo noi accompagnare con umile e tenace preghiera perché sia il Signore a chiarire il senso profondo di una tradizione che Roma ritiene una espressione concreta e genuina della vita della Parola e dello Spirito nella Chiesa.
      Ma siamo lieti di constatare che, relativamente a Maria di Nazareth, esistono pure molti punti di convergenza tra la Chiesa cattolica e le Chiese sorelle della Riforma: insieme, per una esigenza cristologica, riconosciamo che Maria è la gloriosa Theotokos che per opera dello Spirito ha generato il Cristo, Figlio di Dio, nostro Salvatore; insieme lodiamo Dio per le "grandi cose" che ha operato nella sua Serva (cf. Lc 1,49); insieme salutiamo Maria "colmata dal favore divino" (cf. Lc 1, 28) e in lei contempliamo la discepola intenta a compiere la volontà di Dio (cf. Lc 1, 38); ne apprezziamo la voce profetica e la testimonianza data a Cristo; ne lodiamo la fede, l’obbedienza, l’umiltà, il coraggio paziente, ma siamo consapevoli che tale lode rimane sterile se non è seguita da una fattiva imitazione; insieme professiamo la sua esemplarità per la Chiesa nell’ascolto della Parola e nel servizio del Signore e degli uomini; insieme ascoltiamo con rispetto la parola di Cristo al "discepolo che egli amava: [...] "Ecco la tua madre!"" (Gv 19, 26-27); insieme crediamo che Maria è alla presenza di Dio, accanto a suo Figlio "sempre vivo per intercedere" a nostro favore (cf. Eb 7, 25), e che, prima tra i Santi, prega con essi "per noi peccatori che sulla terra lottiamo e soffriamo";123 insieme riteniamo che le nostre comunità, al seguito della comunità apostolica (cf. At 1, 14), possano con lei pregare e con lei invocare lo Spirito.124

102.   Nella nostra riflessione sulla promozione del movimento ecumenico a partire dalla pietà mariana abbiamo ristretto il dialogo a noi stessi, ai nostri fratelli e sorelle, servi e serve di Maria: il tema è delicato e sentiamo di non avere titoli per allargare i confini del nostro colloquio.
      Ma se la nostra parola dovesse giungere a qualche fratello o sorella delle Chiese della Riforma, vorremmo che essa fosse intesa quale rispettoso invito a una duplice riflessione:

— se non sia giunto il momento di rimuovere ciò che alcuni teologi evangelici chiamano l’’occultamento del tema mariano’ nelle Chiese della Riforma. Al tempo dei grandi Riformatori quell’occultamento non si era prodotto: esso si produsse solo a partire dall’epoca illuministica;125

— se la pietà mariana, alla luce della Parola, non costituisca una possibilità e una opportunità offerta da Dio e radicata nel dato biblico per sviluppare la fede cristiana.

* * *

103.   Ma ritorniamo a noi. Alle tre consegne che ci siamo date — la conversione del cuore, la purificazione degli occhi, l’atteggiamento comprensivo — sentiamo di dover aggiungere altre due: la partecipazione cordiale agli sforzi interconfessionali che in vari luoghi si compiono per preparare il cammino dell’unione; e soprattutto l’impegno della preghiera: con Cristo e per Cristo, con la Chiesa e nella Chiesa. E là, in Cristo e nella Chiesa, ritroveremo la voce orante di Colei che anche fuori della Comunione cattolica è invocata come Vergine della riconciliazione.

Comunione nella fede di Abramo

I fratelli ebrei

104.   Nella nostra riflessione sul mistero della frattura dell’unità tra le Chiese, non possiamo non ricordare un’altra dolorosa frattura: quella tra il cristianesimo e l’ebraismo. "Benché il cristianesimo sia nato nell’ebraismo — leggiamo in un documento recente — e abbia ricevuto da esso alcuni elementi essenziali della sua fede e del suo culto, la frattura tra le due religioni è divenuta sempre più profonda, fino a giungere quasi ad una reciproca incomprensione".126Tuttavia dopo la dichiarazione conciliare Nostra aetate del 28 ottobre 1965, sono state prese numerose iniziative "per instaurare o proseguire un dialogo rivolto ad una migliore conoscenza reciproca".127 A tali iniziative noi ci associamo e a tale dialogo vogliamo apportare, dal nostro angolo visuale — la pietà mariana — un modesto contributo.
      Ma prima di proseguire vogliamo esprimere, unendo la nostra voce alla voce di tanti sinceri cristiani, la più viva deplorazione per le persecuzioni di cui, lungo i secoli, gli ebrei sono stati oggetto e, in particolare, per gli orribili massacri da essi subiti "in Europa immediatamente prima e durante la seconda guerra mondiale".128

105.   Secondo la fede cristiana Dio, nella sua ammirabile ‘condiscendenza’, ha voluto che il suo Verbo si incarnasse in una donna ebrea, Maria di Nazareth. Per mezzo di lei e di Giuseppe, Cristo è veramente, nella sua umanità, ebreo, della stirpe di Davide: in lui si compiono le promesse fatte ad Abramo e ai Padri (cf. Lc 1, 54-55.69-70); lui è in senso pieno la "gloria di Israele" (cf. Lc 2,32), come lo saluta Simeone, e il "Figlio di Davide", come lo acclama il popolo (cf. Mt 21,9).
      Non si può comprendere pienamente Cristo se non si considerano con attenzione le sue radici ebraiche. Egli, l’Uomo nuovo e universale, venuto per denunciare ogni forma di razzismo e di emarginazione e per abbattere "il muro di separazione che era framezzo" (Ef 2,14) tra gli ebrei e i pagani, fu nondimeno un ‘rabbi’ intensamente partecipe della vita e della sorte del suo popolo: amò le sue istituzioni e le sue leggi, che non volle abolire ma portare alla loro pienezza (cf. Mt 5,17); nella sua predicazione, oltre alle parole udite dal Padre (cf. Gv 8,26), risuonano le parole apprese dai testi dei profeti; limitò la sua missione pubblica "alle pecore perdute della casa di Israele" (Mt 15,24); pianse su Gerusalemme (cf. Lc 19, 41) per le minacce incombenti su di essa e per il rifiuto che essa opponeva alla "via della pace" (Lc 19, 42), che Dio le offriva nella sua persona; ed egli che inaugurava in se stesso un culto al Padre in spirito e verità (cf. Gv 4,23), senza ‘templi’ e senza frontiere, dichiarò tuttavia alla Donna samaritana che "la salvezza viene dai Giudei" (Gv 4, 22).

106.   Analogamente, dobbiamo dire per Maria: non possiamo comprenderne pienamente la figura e la missione senza considerare la sua condizione di donna ebrea. E ciò non tanto né principalmente perché i dati forniti dall’antropologia culturale e da altre scienze ci aiutano a situare la vita di Maria in un preciso contesto sociale e storico, ma perché solo attraverso la conoscenza della spiritualità ebraica possiamo afferrare la fisionomia spirituale di Maria di Nazareth.
      La sua fede è radicata nella fede di Abramo (cf. Gn 15, 6). Il suo fiat è prolungamento e culmine del fiducioso abbandono con cui tanti pii israeliti accoglievano la volontà di Dio su di loro. Il suo amore per la "Legge del Signore" è compendio dell’attaccamento di Israele per i comandamenti di Dio, che "sono giusti, fanno gioire il cuore; [...] sono limpidi, danno luce agli occhi" (Sal 18 [19], 9). La sua umile condizione di "Serva del Signore" (Lc 1, 38. 48) riassume la condizione stessa del popolo di Israele che si riconosce "Servo del Signore" (cf. Is 49, 3). Il suo cantico è eco e sintesi di molte voci profetiche; è giubilo e ringraziamento a Dio perché egli "ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre" (Lc 1, 54-55).

107.   Ciò che per il cristianesimo è la gloria suprema di Maria — essere la madre verginale di Gesù, Verbo incarnato, Messia, Salvatore — costituisce per l’ebraismo una difficoltà umanamente insuperabile. Noi crediamo che essa sarà superata nell’ora e nel modo che Dio solo conosce. A noi, intanto, spetta il dovere della preghiera e l’obbligo di confessare con Paolo e con la tradizione cristiana che "Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio" (Rm 11, 2 ); di riflettere che "se le primizie sono sante, lo sarà anche tutta la pasta; se è santa la radice, lo saranno anche i rami" (ibid., 16); di testimoniare che gli ebrei, "quanto alla elezione, sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!" (ibid., 28-29).

108.   Alla luce della fede e con le parole stesse di una donna ebrea, Elisabetta, noi riconosciamo nella giovane Myriam, madre di un bambino di nome Gesù, la "Madre del Signore" (cf. Lc 1, 43 ), donna verso la quale convergono vari vaticini e figure profetiche.
      Guidata da questo convincimento, la riflessione cristiana ha scorto nelle grandi figure femminili di Israele, nelle sue ‘madri’ — Sara, Rebecca, Rachele, Lia —, nelle sue eroine — Myriam sorella di Mosè, Debora, Giuditta, Esther, la madre dei Maccabei... —, e nelle sue figlie favorite con il dono di una maternità straordinaria — Anna, madre di Samuele, la madre del giudice Sansone.. —, prefigurazioni e anticipazioni di Maria di Nazareth.
      Nelle celebrazioni cultuali, la Chiesa ha applicato a lei, riferendoli all’evento unico della sua maternità verginale e divina, alcuni dei simboli più cari a Israele: il tabernacolo, l’arca, il tempio, il roveto ardente, la città-madre...; ed ha riconosciuto in Maria di Nazareth la personificazione della "Figlia di Sion", a cui erano stati rivolti importanti vaticini messianici (cf. Sof 3, 14-18; Zc 2, 14-17; 9, 9; Gl 2, 21-27).
      In una parola: la riflessione cristiana si è compiaciuta di riconoscere che Maria rappresenta il vertice di Israele e l’inizio della Chiesa; che lei è il punto di passaggio perché le dodici tribù diventino la Chiesa dell’Agnello fondata sui dodici apostoli: "La Vergine Maria — scrive Gerhoh di Reichersberg († 1169) — è il compimento della Sinagoga, lei, la figlia più eletta dei patriarchi; dopo il Figlio, è l’inizio della Chiesa, lei, madre degli apostoli".129
      Comprendiamo che i nostri fratelli ebrei non ci possano seguire in questa ‘lettura mariana’ di tante significative pagine del Libro sacro, ma vorremmo che vedessero in essa un segno del rispetto e dell’amore della Chiesa per il Popolo di Israele, dalla cui radice santa è nata Maria di Nazareth.

109.   Una illuminata pietà verso la beata Vergine, che tante volte salutiamo nella liturgia come "Gioia di Israele" e "Figlia di Sion", non può consentire la persistenza tra i cristiani di forme più o meno larvate di antisemitismo, anzi deve suscitare un sentimento di rispetto e di stima per il Popolo ebreo; deve favorire l’amore verso il Testamento Antico, sconfessando la disattenzione di molti fedeli verso la pagina veterotestamentaria; deve influire sull’insegnamento religioso perché "ai diversi livelli [...], nella catechesi ai fanciulli ed agli adolescenti, presenti gli ebrei e il giudaismo non solo in modo onesto e oggettivo, senza alcun pregiudizio e senza offendere nessuno, ma, più ancora, con una viva coscienza della comune eredità";130 deve, infine, divenire espressione di una attesa attiva perché giunga il giorno "in cui i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e "lo serviranno sotto lo stesso giogo" (Sof 3, 9)".131

I fratelli musulmani

110.   Ci resta da aggiungere una parola sui fratelli musulmani. Essi, come ricorda la dichiarazione conciliare Nostra aetate, "adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, [...] cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come si è sottomesso Abramo" e "benché non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano come profeta, ne onorano la Vergine Madre, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione".132
      Nella pietà mariana dei cristiani i dati del Corano riguardanti la beata Vergine non hanno avuto eco alcuna o l’hanno avuta in modo molto limitato: se ne comprendono i motivi storici (secolari inimicizie tra cristiani e musulmani) e dottrinali (contrasti profondi nella valutazione dei rispettivi libri sacri, la Bibbia e il Corano).
      Tuttavia a noi sembra, fratelli e sorelle, che i testi mariani del Corano meritino un’attenzione maggiore di quella che solitamente vi prestiamo. Infatti il Libro santo della fede islamica — ci dicono gli studiosi — "assegna a Maria [...] un posto di eccezione e di privilegio: un posto singolare, rilevante".133
      Secondo il Corano, Maria, prescelta da Dio per essere la madre di Cristo e da lui singolarmente favorita, è insieme con "suo Figlio un Segno per le creature":134 è donna resa pura da un singolare intervento divino; è vergine intatta e pur vera madre; strettamente associata al figlio Gesù e vincolata dalla stessa sorte, è donna "eletta su tutte le donne del creato".135 Maria pertanto non è solo un segno da ammirare, ma anche un "ideale da raggiungere e un modello da riprodurre":136 per la sua fede, la sua pietà, la sua riservatezza.

111.   Riguardo a Maria, i punti di convergenza tra il cristianesimo e l’islamismo sono numerosi; tuttavia i punti di contrasto sono anch’essi molteplici e gravi, a cominciare dalla negazione della maternità divina.
      Ciononostante pensiamo che la nostra pietà mariana debba divenire occasione propizia per ricordare con frequenza e con stima i fratelli musulmani; costituisca un momento favorevole per dimenticare, come auspica il Concilio Vaticano II, un passato segnato da non pochi dissensi e inimicizie;137 sia gradita opportunità per gioire insieme, vedendo avverata tra noi, cristiani e musulmani, la parola profetica della Vergine: "Tutte le generazioni mi chiameranno beata" (Lc 1, 48); offra, infine, una valida ragione per superare qualche esitazione cultuale eventualmente insinuatasi tra noi nei confronti della Vergine: ché sarebbe anomalo che i cristiani, avendone maggiori motivi, avessero minore venerazione dei musulmani verso Colei che "credette alle parole del suo Signore, e nei suoi Libri".138