SU
ALCUNI COMPITI CHE OGGI ATTENDONO 38.
Dopo aver
fatto alcune considerazioni sulla recente crisi nella venerazione alla
beata Vergine e sul superamento di essa (prima parte), e dopo aver rilevato
la consonanza profonda tra la vita di Maria e la vita religiosa (seconda
parte), desideriamo proseguire la nostra riflessione indicando alcuni
compiti che oggi — a nostro avviso — attendono le Chiese locali
e gli Istituti religiosi in ordine alla promozione del culto alla Madre
e Serva del Signore. 39.
Solo la conoscenza profonda consente l’amore profondo. Perciò
ci sembra che il primo compito da affrontare in vista di un corretto sviluppo
della pietà mariana tra noi e presso il popolo cristiano sia quello
di acquisire una conoscenza profonda della figura della Vergine "nel
mistero di Cristo e della Chiesa" e della sua missione nell’opera
della salvezza. Tale compito è perfettamente consono al carisma
dei nostri Istituti e sommamente utile, se non necessario, nei confronti
delle Chiese locali presso le quali svolgiamo il nostro servizio. 40.
Perché, diciamolo francamente: molti presbiteri, molti religiosi
e religiose, molti altri operatori pastorali sono ancora disinformati
in rapporto sia a documenti fondamentali del Magistero sulla beata Vergine
sia ai progressi più significativi — e talora da anni pacificamente
posseduti dagli studiosi — compiuti dalla mariologia nei suoi vari
settori. 41.
A questo proposito noi, servi e serve di santa Maria, vogliamo esprimere
la nostra gratitudine e ammirazione per quei frati che alla fine del secolo
XLX, in un momento in cui l’Ordine era molto ridotto numericamente,
con coraggio e lungimiranza fondarono nell’Urbe il Collegio s. Alessio
Falconieri (a. 1896) e gli affidarono anche il compito di promuovere gli
studi sulla santa Vergine. Con ciò essi posero una delle più
solide basi per la rinascita dell’Ordine e gli fornirono gli strumenti
per un più qualificato servizio alla Chiese locali e, talora, alla
stessa Sede Apostolica. Nel 1901, il rettore del Collegio s. Alessio,
fra Alessio M. Lépicier, professore di dogmatica all’Urbaniana
— futuro Priore generale e membro del collegio cardinalizio —
pubblicava il Tractatus de beatissima Virgine Maria Matre Dei, ridando
negli ambienti scolastici romani posto e dignità allo studio teologico
di santa Maria.44 42.
Ma proprio per l’attenzione che dedichiamo agli studi mariologici,
siamo in grado di comprendere che l’apporto del nostro Ordine in
questo campo è solo un umile contributo che si aggiunge a quello
di molti altri Istituti religiosi. Pur sapendo di riuscire necessariamente
incompleti, non possiamo passare sotto silenzio l’opera svolta dall’Ordine
dei Frati Minori, cui è affidata la direzione della Pontificia
Accademia Mariana Internazionale (Roma); dei Frati Minori Conventuali,
sostenitori dell’Accademia dell’Immacolata (Roma); della Società
di Maria (Marianisti), promotrice, tra l’altro, della Marian Library
(Dayton, Ohio, U.S.A.); dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria,
che curano la pubblicazione della prestigiosa rivista Ephemerides Mariologicae
(Madrid); della Società Salesiana di s. Giovanni Bosco, che ha
dato vita all’Accademia Mariana Salesiana (Roma); della Compagnia
di Maria (Monfortani) che a Roma ha eretto il Centro Mariano Monfortano
e a Parigi pubblica l’efficace periodico Cahiers Marials; dei Fratelli
Maristi, che hanno fondato il Centro di Spiritualità Mariana di
Belo Horizonte (Brasile); dei teologi dell’Ordine benedettino, della
Compagnia di Gesù, dell’Ordine dei Frati Predicatori, di ambedue
gli Ordini Carmelitani e di tanti altri Istituti, che sono efficacemente
presenti, con numerose pubblicazioni, nella ricerca mariologica; della
Pia Società di s. Paolo, che nei suoi programmi editoriali dedica
largo spazio alle pubblicazioni di indole mariologica. Ed ancora dobbiamo
rilevare che all’attività delle Società Mariologiche
che fioriscono in varie nazioni, i religiosi partecipano in gran numero
e ne sono spesso i principali animatori. Ricordiamo infine gli studiosi
della Prelatura della Santa Croce, editori dell’importante rivista
Scripta de Maria (Saragozza). 43.
L’importanza dello studio in ordine alla promozione del culto alla
Vergine è tale che una conclusione si impone per se stessa: favorire
dappertutto e ai vari livelli formativi, presso i laici, i religiosi e
le religiose, i ministri della Chiesa, lo studio della mariologia e favorire
pure le istituzioni che tale studio rendono possibile. 44.
L’ultima parola di Gesù agli undici apostoli: "Andate
e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del
Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò
che vi ho comandato" (Mt 28, 19) non segna una conclusione ma un
inizio: l’apertura della missione universale della Chiesa. Quella
parola si è incisa profondamente nel cuore della Chiesa e in ogni
tempo urge, sostiene, guida il suo impegno missionario. Lungo i secoli
molti discepoli e discepole del Signore hanno sentito come Paolo l’urgenza
di annunciare la Buona Novella: "Non è per me un vanto predicare
il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il
vangelo!" (1 Cor 9,16). — attualmente l’impegno missionario della Chiesa è sostenuto prevalentemente dagli Istituti religiosi. La Chiesa lo ha affidato a loro, ed essi l’hanno accettato come un’espressione consona al loro carisma istituzionale. Sono infatti pochi gli Istituti religiosi che non hanno un’esplicita attività missionaria, mentre sono molti quelli sorti con lo scopo precipuo di portare la luce della fede a coloro che giacciono ancora nelle tenebre dell’ignoranza; — molti Istituti missionari hanno nel loro stesso titolo una ‘nota mariana’, pongono la loro attività evangelizzatrice sotto la protezione della Vergine e dichiarano di prendere da lei esempio e ispirazione per lo svolgimento del loro specifico servizio apostolico. Ciò, a nostro avviso, non è senza significato: rivela ancora una volta come Maria sia profondamente inserita nel mistero di Cristo, oggetto primordiale dell’evangelizzazione, e della Chiesa, soggetto agente della medesima; e mostra altresì come la Vergine, per la sua funzione materna ed esemplare, abbia anticipato in sé la missione della Chiesa: accogliere e annunciare la Parola. Prima evangelizzata ed evangelizzatrice 45.
La ragione ultima per cui Maria è salutata Guida e Stella dell’evangelizzazione48
non è di natura meramente devozionale ma rigorosamente biblica.
Infatti, secondo gli studiosi della Sacra Scrittura, alcuni episodi evangelici
contengono indicazioni profonde di un rapporto variamente esemplare di
Maria nei confronti della Chiesa in ordine all’accoglimento-annuncio
della Parola. Videro il Bambino con Maria sua Madre 46.
Nell’episodio dei Magi venuti dall’Oriente per rendere omaggio
al Messia (cf. Mt 2, 1-12), possiamo vedere significata non solo la vocazione
di tutte le nazioni alla fede, ma anche la funzione che, sull’esempio
di Maria, dovrà svolgere la Chiesa: mostrare Cristo alle genti,
essere luogo per l’incontro con lui. 47.
Abbiamo già ricordato l’importanza della parola del Risorto
agli Undici in ordine al compito ecclesiale dell’evangelizzazione:
"Andate e ammaestrate tutte le nazioni [...] insegnando loro ad osservare
tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28, 19). Ma ci sembra utile
richiamarla per rilevare che essa si colloca in una ‘teofania’
— l’apparizione agli Undici in Galilea "sul monte che Gesù
aveva loro fissato" (Mt 28, 16) — , che l’evangelista descrive
ricalcando lo schema della teofania del monte Sinai, dove si concluse
l’Antica Alleanza (cf. Es 19, 1-9). Con Maria in attesa dello Spirito 48.
Nell’ambito della riflessione su ‘pietà mariana e annuncio
della Parola’ dobbiamo considerare ancora un testo — Atti 1,
13-14 —, che presenta gli apostoli "insieme con alcune donne
e con Maria, la madre di Gesù, e con i fratelli di lui" (At
1,14), in attesa dell’adempimento della promessa del Signore: "sarete
battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni" (At 1,5; cf. Lc
24, 49). * * * 49. Alla luce dei rapporti che intercorrono tra la missione della Vergine e l’annuncio della Parola non è difficile, fratelli e sorelle, stabilire alcune conclusioni di indole pastorale: — non è possible estraniare la pietà mariana dall’impegno missionario. Una illuminata pietà verso santa Maria ci deve rendere sensibili ai gravi ed urgenti problemi dell’annuncio della Parola; ci deve spingere ad assumere, nei confronti della Parola, lo stesso atteggiamento di Maria di Nazareth: l’accoglimento pieno di fede, che non si risolve tuttavia in un possesso intimistico, ma si prolunga in proclamazione piena di zelo; — è necessario che le espressioni della nostra pietà mariana siano impregnate, più di quanto non lo siano ora, delle tematiche proprie della missione evangelizzatrice della Chiesa; — è da valorizzare il metodo missionario che nel passato ha dato eccellenti risultati: mettere in luce, fin dal primo annuncio della fede, il posto singolare di Maria nella storia della salvezza; — è necessario che nell’azione evangelizzatrice venga ripetuto da noi l’atteggiamento della Chiesa in ogni sua opera apostolica: guardare alla Vergine che "nella sua vita fu modello di quell’amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli, che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini".52 Fedeltà alla riforma liturgica 50.
Il nostro Capitolo generale si avvia alla sua conclusione mentre la Chiesa
si appresta a commemorare il ventesimo anniversario della Costituzione
Sacrosanctum Concilium, promulgata il 4 dicembre 1963. Quel documento
ha avuto conseguenze di immensa portata nella vita della Chiesa cattolica
di rito latino: da esso discende la riforma liturgica post-conciliare
che è da ritenersi uno dei più grandi avvenimenti ecclesiali
del secolo XX. L’Ordine nostro ha vissuto intensamente la riforma
liturgica: con gioia, con speranza, con tensione. 51.
Ma prima di iniziare la riflessione sui rapporti tra la pietà mariana
e la liturgia, ci sembra di dover fare un cenno alla religiosità
popolare. Essa è stata talvolta disprezzata e fatta oggetto di
gravi riserve: veniva indicata, ad esempio, come uno dei ‘luoghi’
in cui facilmente si produce una pericolosa frattura tra religione e fede. 52. Nell’ambito della pietà popolare, i fedeli intuiscono facilmente il legame che intercorre tra Cristo e Maria; con semplicità venerano la Madonna come l’immacolata Madre di Dio; con gioia la riconoscono Madre degli uomini e vivono il loro rapporto con lei in termini di affettuosa relazione materno-filiale; comprendono vitalmente il significato della povertà di Maria e del suo dolore; da lei apprendono pazienza e mitezza, ma sanno che Maria nella sua vita fu una donna forte, che non stava dalla parte dei potenti; sanno pure che la Madre di Gesù è buona e che vive in cielo presso il suo Figlio, quindi ricorrono fiduciosi alla sua intercessione ed implorano il suo aiuto; amano celebrare le sue feste, recarsi in pellegrinaggio ai suoi santuari, cantare in suo onore. 53.
Spesso noi religiosi veniamo a contatto con culture diverse da quelle
del nostro paese d’origine. Quando ciò avvenga, dinanzi alla
pietà mariana popolare è necessario assumere un atteggiamento
di rispetto e di stima: lo esige la ‘cultura’ del popolo in
cui essa si radica. 54.
Strettamente collegato con il discorso sulla pietà mariana popolare,
se pur non del tutto coincidente, è quello sui pii esercizi mariani:
esistono infatti pii esercizi, per così dire, eruditi, che non
hanno radici popolari. — riteniamo che non sia penetrata sufficientemente nella nostra prassi cultuale la norma conciliare secondo cui i pii esercizi, "tenendo conto dei tempi liturgici, siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra liturgia, da essa traggano in qualche modo ispirazione, e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano".59A questa norma, rispondono sempre i nostri ‘pii esercizi mariani’? Sono introduzione o eco o prolungamento delle azioni liturgiche? Purtroppo si ha l’impressione che spesso prosperino ai margini della liturgia; — a nostro parere l’avvenire dei pii esercizi mariani dipende in gran parte dalla loro qualità e dalla loro capacità di operare un sano recupero di forme valide del passato e, ancor più, di rispondere alle istanze che via via emergono nella vita ecclesiale; — la distinzione, pur legittima, tra religiosità popolare e liturgia non deve portare ad escludere praticamente la nota ‘popolare’ dalla liturgia facendo di quest’ultima, più o meno inconsciamente, un’espressione cultuale elitaria. Ciò sarebbe contrario all’intima natura della liturgia, la quale deve essere essa stessa ‘popolare’, cioè propria dell’intero popolo di Dio e adatta a tutte le sue componenti. La pietà mariana nella liturgia 55. Venendo ora a trattare più direttamente di ‘liturgia e pietà mariana’ ci pare necessario ricordare, anzitutto a noi stessi, che la liturgia è il luogo naturale e più appropriato per la venerazione alla Madre del Signore. Le celebrazioni liturgiche sono esse stesse, in molte occasioni e sotto molti aspetti, memoria cultuale della Benedetta fra le donne. a. Nel culto alla beata Trinità. Nella celebrazione dei divini misteri, la venerazione alla beata Vergine confluisce e quasi si annulla nel culto che rendiamo al Padre al Figlio e allo Spirito, anzi là alle nostre voci impure si associa la voce pura di santa Mar¹a per glorificare con noi la gloriosa Trinità. b. Nella celebrazione del mistero pasquale. Nel compiersi dell’azione liturgica, la pietà mariana si immerge nella celebrazione del mistero pasquale e si pone in attesa del dono dello Spirito, perché ogni genuina celebrazione liturgica è — in vario modo e in misura varia — attualizzazione della Pasqua del Signore ed effusione di grazia dello Spirito. c. Nella memoria rituale della storia della salvezza. Nella liturgia, la pietà mariana trova la sua inquadratura più felice: la storia della salvezza, condensata e vissuta dalla Chiesa nel segno dell’Anno liturgico. Così, nella celebrazione annuale del mistero di Cristo — dall’Avvento alla Parusia — la memoria di santa Maria ritorna ora come annuncio profetico in parole figure fatti dell’Antico Testamento, ora come presenza attiva della Madre accanto al Figlio in avvenimenti di immensa portata salvifica — l’Incarnazione-Natale-Epifania, la Pasqua-Pentecoste —, ora come proiezione dinamica verso le realtà ultime, che in lei già si sono compiute. d. Nell’ascolto della Parola. Nella liturgia, la pietà mariana incontra la divina Parola. La celebrazione del Mistero, per la presenza dello Spirito, è lo spazio privilegiato per la proclamazione e l’interpretazione dei testi biblici riguardanti Maria di Nazareth. Così ogni anno, poiché nel tessuto biblico una parola richiama tutte le altre e nel ritmo ciclico l’interpretazione antica si congiunge con l’intuizione nuova, sul frammento — Maria — viene proiettata la luce della Totalità. e. Nella Comunione dei Santi. Nella liturgia, Maria non è celebrata isolatamente ma nella Comunione dei Santi; là, essa appare in collegamento vitale con i suoi progenitori, con i martiri, le vergini e gli innumerevoli discepoli che lungo i secoli hanno reso testimonianza a Cristo. In questo ambito, la Vergine appare via via figlia di Adamo, sorella nostra, madre dei discepoli; la sua figura acquista giuste proporzioni, la sua missione risulta sottolineata in ciò che ha di unico e di esclusivo, il suo rapporto con la Chiesa viene enunciato con varietà di aspetti. Diremo di più: tutto il cosmo è collegato a Cristo, tutto da lui proviene (cf. Gv 1, 2; Col 1, 16), da lui e in lui è stato salvato, a lui deve essere ricondotto perché egli lo offra al Padre (cf. 1 Cor 15, 23-28). Per la liturgia, Maria è il frammento del cosmo, che lo Spirito ha già riportato compiutamente a Cristo: ella è definitivamente inserita in Cristo, "primogenito di ogni creatura" (Col 1, 15), ed è collegata con il resto della creazione, che lo Spirito va riconducendo a Cristo, proprio attraverso la celebrazione del Mistero. f. Nell’attesa della Parusia. Nella celebrazione dei santi misteri la pietà mariana acquista una dimensione essenziale alla liturgia: quella escatologica. La liturgia infatti è proiezione incoercibile verso le ‘realtà ultime’; è attesa vigile del Signore che è venuto, viene e verrà; in essa risuona con ritmo frequente l’implorazione ultima della Rivelazione: "Vieni, Signore Gesù" (Ap 22, 20). Considerata nella prospettiva escatologica, la Vergine appare come santa Maria del triplice Avvento: attese infatti la venuta del Messia — pienezza dei tempi, che in lei coincise con il tempo del parto (nascita di Cristo) —; attese la venuta dello Spirito, che si compì nell’avvento pentecostale (nascita della Chiesa); attese la venuta gloriosa di Cristo, che per lei si attuò nell’assunzione in cielo del suo corpo e della sua anima verginali (nascita di Maria alla vita celeste). 56.
Alla luce della straordinaria capacità della liturgia di collocare
in un quadro efficace e significativo le espressioni di venerazione a
santa Maria, si comprende l’esortazione conciliare a promuovere "il
culto, specialmente liturgico, verso la beata Vergine";60
e, per converso, non si comprende la disattenzione verso la liturgia di
molti operatori pastorali, che pur intendono favorire la pietà
mariana. A questo proposito desideriamo, fratelli e sorelle, manifestarvi
fino in fondo il nostro pensiero: l’attuale risveglio nella pietà
mariana potrebbe risultare anomalo se ignorasse o trascurasse la matrice
liturgica. — che in modo discreto e sapiente sia esplicitato nella liturgia romana del Triduo pasquale un elemento che le è intrinseco: la partecipazione della Madre alla passione del Figlio.61 Ciò è conforme alla natura intima della liturgia, che è celebrazione degli eventi salvifici nella loro totalità; è conforme alla narrazione evangelica (cf. Gv 19, 25-27), che è intesa da molti esegeti come un enunciato biblico, in senso proprio, della maternità spirituale di Maria; è consono alla tradizione liturgica se, al riguardo, si tengono presenti le rispettive celebrazioni del Rito bizantino e di altri Riti orientali;62 è rispondente, infine, alle attese dei fedeli. Non accogliere questo desiderio potrebbe condurre ad accentuare il distacco tra liturgia e pietà popolare là dove, invece, si intravede possibile e legittimo un fecondo interscambio; — che sia salvaguardato il carattere proprio dei Cinquanta giorni pasquali. Nell’ordinamento liturgico quei giorni, compresi tra due effusioni dello Spirito (cf. Gv 20, 19-23 e At 2, 1-12), sono tempo del Paraclito: riverbero e prolungamento dei misteri celebrati nella Notte sacratissima, contemplazione del Cristo risorto e della sua gloria alla destra del Padre, memoria attualizzante dell’evento pentecostale. Nel tempo pasquale la pietà mariana non deve essere occasione, neanche indiretta, per distogliere l’attenzione dei fedeli da questi misteri salvifici. Deve, semmai, mostrare la potenza della Pasqua di Cristo e il dono dello Spirito operanti in Maria. D’altra parte è auspicabile che la liturgia pasquale, sul Filo conduttore del dato biblico (cf. At 1, 14), sviluppi cultualmente il rapporto arcano esistente tra lo Spirito, la Chiesa e Maria.63 Silenzio della Vergine e silenzio liturgico 57. Con queste note non abbiamo certamente esaurito la trattazione dei complessi rapporti tra ‘liturgia e pietà mariana’. Abbiamo solo voluto manifestare la necessità di rimanere fedeli allo spirito della liturgia e ai principi della riforma promossa dal Concilio Vaticano II. E proprio per fedeltà alla riforma liturgica, che ne ha sottolineato la funzione,64 vogliamo fare un cenno al valore del ‘silenzio’ nelle manifestazioni della pietà mariana, siano esse liturgiche o extraliturgiche. A questo cenno ci sollecitano la fisionomia spirituale della Vergine, la natura autentica della liturgia, lo stile genuino della vita religiosa. 58.
Lo stile della Vergine. Siamo persuasi che le manifestazioni di pietà
verso santa Maria debbano avere, per così dire, lo stile stesso
della Vergine: stile fatto di ascolto, di silenzio, di riflessione sapienziale. 59. I1 valore esemplare dell’atteggiamento riflessivo della Vergine in ordine al compito ecclesiale della penetrazione della Parola è già stato efficacemente messo in luce: Maria, "‘Madre muta del Verbo silente’[...] prefigurava quel lungo lavorio di memoria e di intensa ruminazione che costituisce l’anima della Tradizione della Chiesa".66 Ma tale valore esemplare possiamo estenderlo alla celebrazione dei divini misteri: là, la Chiesa proclama la Parola di Dio, che solo nell’attento ascolto e nella riflessione penetrante può essere vitalmente compresa; là, essa celebra sotto il velo dei santi segni gli avvenimenti della nostra salvezza: un velo che solo si dischiude se la mente si apre al Mistero, se la volontà si uniforma al disegno di Dio, se la voce concorda con il cuore.67 60.
Nella liturgia il silenzio non è espressione di inerzia, ma è
elemento strutturale della celebrazione: favorisce il raccoglimento da
cui germoglia la preghiera personale; consente che l’orazione di
colui che presiede diventi con verità e autenticità preghiera
di tutta l’assemblea; facilita l’assimilazione della Parola
proclamata e l’ascolto della voce dello Spirito; è ambito
sacro che immette nell’adorazione e nella lode di Dio: "Tibi
silentium laus", secondo un motto di derivazione biblica.68 61. Il silenzio è stato sempre ritenuto una componente qualificante della vita monastico-religiosa, un mezzo particolarmente effìcace per progredire nella via dell’identificazione con Cristo. Non vi è regola monastica o testo costituzionale che non faccia riferimento all’importanza del silenzio. Se nei testi legislativi leggiamo, ad esempio: "... dobbiamo cercare nel silenzio della cella un mezzo per conoscerci, liberarci dall’egoismo e acquistare quell’atteggiamento di amore a Dio e alle creature, che costituisce il termine del nostro cammino religioso",70 l’odierno magistero della Chiesa afferma nondimeno: "la ricerca dell’intimità con Dio comporta il bisogno, veramente vitale, di un silenzio di tutto l’essere, sia per coloro che devono trovare Dio anche in mezzo al frastuono, sia per i contemplativi".71 Il silenzio dunque, che mai deve abbandonare il religioso nello svolgimento delle sue varie attività, deve a maggior ragione avvolgerlo quando partecipa alla sacra liturgia. 62. Da questa convergenza di indicazioni possiamo trarre una duplice conclusione: — la Vergine del silenzio e dell’ascolto costituisce un invito a interiorizzare la Parola e a celebrare la liturgia penetrandone il Mistero; —
noi, religiosi e religiose, siamo chiamati ad imprimere alle nostre celebrazioni
mariane un tono e uno stile che favoriscano il silenzio riflessivo; ad
avvolgerle, per così dire, di quel santo segno del silenzio, che
rende intimo il Trascendente, udibile il gemito dello Spirito, sperimentabile
la presenza della Parola. 63. Discorrendo sui modi con cui noi religiosi possiamo concorrere alla promozione, qualitativa più che quantitativa, del culto alla Vergine, non ci è difficile indicarne uno, non nuovo tuttavia, ché anzi appartiene alla nostra ‘eredità familiare’: — fare della pietà mariana uno spazio santo e un’occasione propizia per la contemplazione della Bellezza increata — Dio —, del suo splendore divino-umano — Cristo —, dell’opera precipua dello Spirito di Bellezza — la Vergine Maria —; — fare della pietà mariana un luogo propizio per il festoso incontro di tutte le espressioni della creazione artistica. 64.
Dio, il Santo e il Vivente, è la Bellezza suprema. La sua parola
è poetica, cioè creatrice: dal nulla trae l’essere,
dal caos l’armonia, dalla tenebra la luce; le opere delle sue mani
sono ‘belle-buone’, secondo il senso pregnante del termine usato
nel racconto biblico della creazione (cf. Gn 1, 9. 12. 25. 31);72
e, quando attraverso il suo Santo Spirito parla agli uomini con il linguaggio
degli uomini, la sua parola è essa stessa altissima poesia e riveste
spesso le più smaglianti forme letterarie.
65.
Si sa: dinanzi alla bellezza superna che rifulge nella Vergine, il credente
è preso dallo stupore: "Come cantare le tue lodi, santa Vergine
Maria?", s’interroga la liturgia.73 E
con gioia consideriamo come i fratelli d’Oriente, cosìsensibili
al mistero della bellezza, chiamino la Spirito Santo l’Iconografo
divino e ritengano che l’’icone’ capolavoro di Dio sia
la gloriosa Theotokos: "Volendo creare un’immagine della bellezza
assoluta — scrive Gregorio Palamas († 1359) — e manifestare
chiaramente agli angeli e agli uomini la potenza della sua arte, Dio ha
fatto veramente Maria tutta bella. Egli ha riunito in lei le bellezze
particolari distribuite alle altre creature e l’ha costituita come
comune ornamento di tutti gli esseri visibili e invisibilí".75 66.
A questo punto, per completare la nostra riflessione, ci sembra di dover
aggiungere alcune osservazioni. 67.
Bisogna poi rilevare che la ‘via della bellezza’, restando aderente
alla Parola, consente di integrare in un’unica visione armonica la
figura evangelica di Maria con gli enunciati della fede che a lei si riferiscono. — in lei, nella sua Concezione immacolata, vede restituita l’umanita all’innocenza originaria e alla bellezza primigenia, e compiuto il simbolo della ‘vergine terra’; — in lei, nella sua fedeltà a Dio, scorge il vertice spirituale di Israele, l’immagine dell’Alleanza non infranta; — in lei, nella sua docilità allo Spirito, contempla l’ideale del discepolo, vede la trama più pura del dialogo tra Dio e l’uomo, il rapporto più armomco tra natura e grazia; — in lei, nella sua maternità verginale, vede realizzato l’ideale della Sposa fedele, della Vergine integra, della Madre feconda; ammira divenuta reale l’aspirazione impossibile: l’unione dell’onore della verginità con la gioia della maternità;79 e si stupisce di vedere attuato nel frutto di quella maternità l’altro prodigio: Dio nell’uomo e l’uomo in Dio; — in lei, nella sua pietà soccorrevole, vede colmata l’attesa di ogni uomo ferito dal dolore o dal male: ritrovare l’abbraccio della madre che lo accolga, lo comprenda, lo rigeneri; — in lei, nella sua Assunzione gloriosa, contempla avverata la sua aspirazione più intima: il superamento della morte nella vita; e scorge il segno di una "speranza a tutti accessibile".80 68.
Questa ‘immagine’ della Vergine non è — come talvolta
si legge — il risultato di una oggettivazione inconscia delle aspirazioni
profonde dell’uomo, né il frutto di una cristianizzazione
sistematica di miti pagani: è ‘icone’ disegnata dallo
Spirito per illustrare un dono di Dio agli uomini; è documento
facilmente intelligibile del modo con cui Dio, che ha fatto l’uomo
a sua immagine (cf. Gn 1, 26-27), risponde ai bisogni del cuore umano;
è, infine, trascrizione dei dati della Sacra Scrittura con il linguaggio
della fede e della poesia. 69. Ci sembra importante rilevare ancora che l’‘immagine Maria’ non trattiene in sé lo sguardo e la parola che le sono rivolte: li rinvia verso l’‘immagine Cristo’, verso l’‘immagine Chiesa’, verso l’Artefice divino: — verso Cristo, la sola compiuta "immagine del Dio invisibile" (Col 1, 15), la sola che realizza l’armonia perfetta; — verso la Chiesa, perché l’’immagine Maria’ è anticipazione dell’’immagine Chiesa’, che Dio disegna e compie nel corso del tempo salvifico. Così lo sguardo rivolto all’immagine di Maria, madre della Luce, si prolunga in uno sguardo verso la "Donna vestita di sole" (cf. Ap 12, 1), la Chiesa, che genera le membra del Cristo totale; come pure lo sguardo indirizzato a Maria, Vergine Sposa splendente di bellezza, continua nella contemplazione della Gerusalemme celeste, la Chiesa che "scende da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo" (Ap 21,2); — verso l’Artefice divino, perché ogni discepolo del Signore, abituato ad arguire dalla bellezza della creazione l’ineffabile bellezza del Creatore, contemplando l’arcana bellezza di Maria, tanto più è condotto a magnificare l’insondabile bellezza di Dio. 70. Ci sembra che noi religiosi, per la tradizione di cui siamo portatori, dobbiamo cooperare attivamente allo sforzo di rendere operative alcune esigenze della via pulchritudinis: — la rivalutazione del linguaggio simbolico e della poetica biblica; l’educazione allo sguardo poetico e al gusto artistico; il ricorso all’intuizione; la sollecita riconciliazione dell’Arte con la Fede: così il ‘mistero del culto’ tornerà a fecondare le espressioni artistiche; — l’eliminazione dai segni attraverso i quali esprimiamo la nostra pietà mariana — il segno spazio, il segno parola, il segno canto, i1 segno colore... — di tutto ciò che è brutto e oleografico, ripetitivo e fittizio. 71.
Dicevamo, fratelli e sorelle, che la via della bellezza non è cammino
riservato agli specialisti: "è accessibile a tutti, anche
alle anime semplici",81
soprattutto ai puri di cuore che colgono la bellezza "dei gigli del
campo" e con Gesù comprendono che "neanche Salomone,
con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro" (Mt 6, 29); via,
aggiungiamo, preferenziale per i religiosi, che s. Agostino, al termine
della sua Regola, chiama "innamorati della bellezza spirituale".82 72. Cristo è la nostra vera e suprema ricchezza, e somma miseria è per noi essere senza Cristo. Dinanzi a lui e alle esigenze del Regno tutto diviene secondario: padre e madre, moglie e figli, fratelli e sorelle, patrimonio e perfino la propria vita (cf. Lc 14,26.33). Chi antepone anche uno solo di questi valori al valore supremo — Cristo e il Regno — non può essere discepolo del Signore. E poiché, di fatto, l’attaccamento ai beni di questo mondo indurisce il cuore dell’uomo fino a chiuderlo nei confronti della persona stessa di Cristo (cf. Lc 18,18-27) e a renderlo insensibile alle necessità dei fratelli (cf. 1 Gv 3,17; Gc 2,14-16; Lc 16,19-21), si comprende perché i Vangeli e le Lettere apostoliche con tanta insistenza e con tanta energia mettano in guardia i discepoli dal pericolo di porre le ricchezze al centro della propria vita. Perché quando ciò avviene si incorre in una grave forma di idolatria: al posto di Dio, Amore che si diffonde nei cuori (cf. Rm 5,5), si adora l’idolo dell’oro e dell’argento — "disonesta ricchezza" (Lc 16,9) —, sterile e chiuso in tenebroso egoismo. E si comprende perché l’Apostolo ammonisca: "L’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali" (1 Tm 6,10). 73. Gesù non ha condannato in se stessi i beni di questo mondo. Ma, in antitesi alle forme di vita dominate dalla bramosia della ricchezze, egli scelse per sé una vita segnata da una radicale povertà. Lo stesso evento dell’Incarnazione, per l’assunzione da parte del Verbo della "condizione di servo" (Fil 2,7), si configura come un mistero di povertà e di kenosis. Peraltro l’Apostolo scrivendo ai Corinzi chiarisce il senso ultimo della povertà di Cristo: "conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2 Cor 8,9). Non è necessario scrutare a lungo i Vangeli per scoprirvi la povertà di Cristo; essa ci balza davanti agli occhi: nacque povero (cf. Lc 2,7), poveramente visse (cf. Lc 9,58), poveramente morì (cf. Mc 15,24); dell’annuncio della Buona Novella ai poveri fece il segno per riconoscere l’avvento del Regno messianico (cf. Lc 7,22); proclamò beati i poveri in spirito, dichiarando che di essi è il Regno dei cieli (cf. Mt 5,3); volle che gli araldi del Regno non si procurassero né oro, né argento, né moneta di rame, né bisaccia di viaggio (cf. Mt 10,9-10). 74. Analogamente la Madre di Gesù, nella concretezza della sua vicenda evangelica, ci appare come una donna povera, la cui vita fu contrassegnata da una duplice povertà: povertà secondo le categorie sociologiche e povertà secondo le categorie del Regno, in lei armonicamente coincidenti. 75. La povertà sociologica di Maria si offre subito allo sguardo del lettore dei Vangeli: Maria nasce povera nella disprezzata regione di Galilea — la semipagana "Galilea delle genti" (Mt 4,15) —, a Nazareth, una borgata che non conta nulla nella storia di Israele (cf. Gv 1,46; 7,52); è promessa sposa a Giuseppe, un umile carpentiere (cf. Lc 1,27; Mt 13,55); dà alla luce il suo Figlio in una grotta-stalla e lo depone "in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo" (Lc 2,7); lo riscatta con l’offerta dei poveri (cf. Lc 2,24); quando il Figlio è perseguitato dai potenti deve fuggire in un paese straniero, dove conosce i disagi dell’esilio (cf. Mt 2,13); ritornata a Nazareth, vive oscuramente, per molti anni, la vita dei poveri; durante la vita pubblica del Figlio nulla modifica la sua condizione di semplice donna del popolo, aumenta invece la sua partecipazione al mistero del "segno di contraddizione": esperimenta l’ostilità dei concittadini nei confronti del Figlio: "lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte [...] per gettarlo giù dal precipizio" (Lc 4,29); constata l’incomprensione degli stessi parenti: "i suoi [...] uscirono a prenderlo, poiché dicevano: "È fuori di sé"" (Mc 3,21); vive il dramma della morte del Figlio, crocifisso tra "due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra" (Lc 23,33). 76. Ma Maria spicca soprattutto per l’intensità con cui visse la spiritualità dei ‘poveri di Jahvé’. La Vergine "primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza":84 — donna lieta nel servizio del Signore (cf. Lc 1, 38.46-48), fedele nell’osservanza della legge (cf. Lc 2,22-24.27.39), docile alla volontà di Dio (cf. Lc 1,38); — donna premurosa verso Elisabetta nell’offrirle il suo aiuto, nel rallegrarsi con lei per il dono della maternità, nel proclamare la gratuità dei doni di Dio (cf. Lc 1, 39-56); — donna beata per la sua fede (cf. Lc 1, 45), benedetta per il frutto del suo grembo (cf. Lc 1, 42), esemplare per la fiducia nell’adempimento delle promesse fatte ai Padri (cf. Lc 1, 55); — donna del saluto santificante (cf. Lc 1, 40-41. 44), del canto riconoscente (cf. Lc 1, 46-55), della parola decisa (cf. Lc 1, 38; Gv 2, 5), del silenzio riflessivo (cf. Lc 2, 19. 51b); — donna partecipe della sorte del suo popolo (cf. Lc 1, 54), solidale con gli umili di cuore — Simeone e Anna, i pastori e i saggi venuti da lontano — e con gli oppressi (cf. Lc 1, 52-53; Mt 2, 16-18), attenta alle necessità del prossimo (cf. Gv 2, 3) e sollecita verso la nuova comunità dei discepoli di Gesù (cf. Gv 2, 1-12; At 1, 14); — donna dal cuore umile, semplice, fidente in Dio (cf. Lc 1, 48) che, avendo ricevuto misericordia, proclama la misericordia del Signore e ne esalta la potenza liberatrice (cf. Lc 1, 51-53). 77.
Sappiamo che la credibilità delle Chiese locali e degli Istituti
religiosi si gioca in gran parte sulla genuinità della loro testimonianza
di povertà evangelica. Dal rendere tale testimonianza nessuno è
dispensato: essa è richiesta, sia pure in vario modo, a tutti i
discepoli del Signore. E per quanto riguarda noi religiosi sappiamo che
"su questo punto i nostri contemporanei" ci "interrogano
con particolare insistenza".85 78. "Dio mandò suo Figlio, nato da donna" (Gal 4, 4), scrive Paolo intendendo probabilmente alludere all’abbassamento del Verbo che incarnandosi si fece in tutto simile a noi tranne il peccato (cf. Eb 4, 15 ). "Maria è donna", scrivono i Vescovi latino-americani volendo sicuramente sottolineare che Dio in Maria ha innalzato a sublime dignità la condizione femminile.89 Nei quasi due millenni che corrono tra queste due affermazioni si snoda la lunga e travagliata ‘questione femminile’ nella società civile e all’interno del cristianesimo. Non possiamo certo in questa nostra riflessione tracciare le tappe del suo sviluppo storico né tanto meno affrontare i numerosi e gravi problemi che oggi si pongono a proposito della condizione femminile nella Società e nella Chiesa. Vogliamo solo raccogliere alcune indicazioni provenienti da più parti e ordinate a far sì che la pietà mariana, conservando la propria fisionomia e le proprie finalità, divenga pure occasione per un valido contributo alla causa della promozione della donna. 79.
I testi evangelici ci parlano della povertà di Maria, non accennano
invece ad una sua situazione di emarginazione. Nulla ci autorizza tuttavia
a pensare che ella non abbia condiviso la sorte delle donne del suo tempo
e della sua terra: essere serve dei loro mariti, vedersi sbarrata la strada
ad ogni pur minimo progresso culturale, trovarsi senza voce nella vita
sociale e politica, sentirsi addosso come una condanna atavica l’infelicità
di essere donna.90 80. Dicevamo che non possiamo procedere qui ad una analisi della condizione femminile nel mondo contemporaneo. Essa varia notevolmente da un luogo all’altro: in alcune regioni sottosviluppate la situazione della donna non è molto cambiata da quella dei tempi di Maria di Nazareth; in altre — soprattutto nei paesi industrializzati — la donna appare affrancata in sede teorica e giuridica da molte antiche oppressioni, ma in realtà gravano ancora su di lei pregiudizi e condizionamenti secolari. Semplificando i dati della questione possiamo dire che gli obiettivi dell’‘emancipazione’ e della ‘liberazione’ della donna sono dappertutto attuali, sia pure per motivi diversi, e che il ‘movimento femminista’ e il movimento femminile, così vari nelle loro manifestazioni e nelle loro matrici culturali e filosofiche, hanno tuttora una loro ragione di essere, in vista del conseguimento di essi. Pietà mariana e promozione della donna 81. A questo punto sentiamo che lo sguardo cultuale che rivolgiamo a nostra Sorella Maria di Nazareth deve prolungarsi in uno sguardo pieno di rispetto e di interessamento verso la situazione di oppressione in cui versano tante donne. La pietà mariana non può certo né in questo né in altri campi assumere toni e posizioni demagogiche, ma non può nemmeno risultare assente nei confronti di una questione che già Giovanni XXIII riteneva proposta con urgenza dai ‘segni dei tempi’.93 Perciò riteniamo che la pietà mariana, a partire dai dati della fede, si possa inserire efficacemente nel processo di promozione della donna. 82. Anzitutto la pietà mariana è chiamata a favorire il ricupero, dove essa fosse stata offuscata, della visione cristiana della donna e della sua missione, cioè: — a illustrare il significato, la bellezza, la fecondità della verginità consacrata per il Regno; — a riproporre con gioia i valori profondi della vocazione alla rnaternità, intesa come misteriosa partecipazione al progetto creatore di Dio là dove la natura riceve ancora il suo soffio vivificante, come immissione responsabile nell’onda della vita a servizio dell’Umanità e della Chiesa, come realizzazione non egoistica della propria personalità; — a ridare alla donna il senso della sua dignità, della sua "differenziazione funzionale, pur nell’identità della natura [.. ] per rapporto all’uomo",94 della sua originalità affascinante e della sua capacità di affermazione; — a riconsegnarle la ‘memoria storica’ che l’aiuterà a scuotere da sé il senso di inferiorità per riconoscersi protagonista di tante imprese memorabili — di progresso, di libertà, di santità — nella storia dell’umanità e nella storia della salvezza. 83. La pietà mariana poi, secondo le strutture che le sono proprie — la forza della preghiera, i convincimenti profondi che via via si formano nei cuori e si traducono quindi in azione... —, può favorire il riconoscimento pieno dei diritti civili della donna in parità con l’uomo nonché l’esercizio pratico di essi nella vita professionale, sociale e politica.95 Comprendiamo che la questione è delicata, ma riteniamo che in questo campo non possiamo nemmeno rifiutare aprioristicamente l’ascolto delle proposte dei movimenti femministi anche di quelli di matrice non cristiana. Occorre infatti discernere con sapienza apostolica (cf. 1 Ts 5, 21 ) ciò che in essi è accettabile dal punto di vista della Rivelazione e ciò che non è conforme alla divina Parola. Così, se non possiamo accettare alcune proposte radicali che qua e là affiorano — ad esempio il rifiuto dell’istituzione matrimoniale —, possiamo tuttavia condividere la denuncia di tanti subdoli progetti di mercificazione della donna che la società dei consumi pone in atto. 84.
La ricerca mariologica e la pietà mariana sono pure destinate —
ci sembra — a promuovere all’interno della Chiesa l’accesso
della donna a funzioni e compiti da cui finora è stata completamente
o in parte esclusa, non per ragioni dottrinali bensì per motivi
di indole storica e culturale. Ciò è avvenuto pure nell’ambito
di mille servizi pastorali di vitale importanza, la cui dinamica non tocca
la sfera della struttura gerarchica della Chiesa: in essi tuttavia i rapporti
uomo-donna sembrano improntati più ai modelli di una ‘società
maschilista’ che alle proposte innovatrici del messaggio evangelico. 85.
Siamo lieti di affermare con voi, sorelle religiose, che le istituzioni
femminili di vita consacrata, nel loro complesso, hanno contribuito in
larga misura a una genuina promozione della donna. Alle origini dei vostri
Istituti e lungo la loro storia troviamo spesso donne umili e forti, vere
discepole di Cristo, audacemente precorritrici dei tempi, che seppero
liberare se stesse e le loro sorelle da condizionamenti restrittivi, che
alla loro epoca pesavano gravemente sulla donna. Tale ‘promozione’,
efficace nei fatti, della quale tuttavia le stesse protagoniste non ebbero
sempre piena coscienza, era a sua volta finalizzata alla promozione degli
umili: diveniva diffusione della cultura, attraverso numerose istituzioni
di insegnamento; soccorso al bisognoso, attraverso molteplici opere caritative,
che all’aspetto assistenziale congiungevano una tensione promozionale;
illuminazione dello spirito, attraverso l’annuncio del messaggio
evangelico. Per tutto questo noi riteniamo che la storia della emancipazione
della donna debba scriversi guardando anche alle istituzioni femminili
di vita consacrata, nonostante l’eventuale presenza in esse di alcuni
elementi negativi. Pietà mariana e virtù evangeliche 86. La pietà mariana si nutre della fede e, a sua volta, ne irradia i contenuti. Ciò fa che essa sia uno strumento particolarmente valido per la diffusione del Vangelo: "In mezzo alle nostre popolazioni — dichiara il documento di Puebla — il Vangelo è stato annunciato presentando la Vergine Maria come la sua più alta realizzazione";97 ma ciò esige da parte dei nostri Istituti e delle Chiese locali una vigile attenzione perché la pietà mariana, senza cedere a visioni unilaterali, sia eco integra della proposta cristiana e abbia la capacità di rispondere con i fatti ad alcune ricorrenti obiezioni. La pietà mariana — si afferma — ha concorso: — a formare un tipo di ‘donna cristiana’ sottomesso e rassegnato; — a relegare la donna, con intendimenti più o meno scoperti, nella sfera domestica e privata; — a dare alla spiritualità cristiana un’impronta sentimentale, ‘femminile’. Si tratta di obiezioni di rilievo. Una risposta particolareggiata ad esse richiederebbe analisi storiche che qui non possiamo condurre. Ci limiteremo pertanto ad alcune osservazioni. 87. Anzitutto si deve notare che queste deviazioni — se, dove e nella misura in cui si sono prodotte — sono da attribuire a processi degenerativi e a interpretazioni unilaterali e restrittive della pietà mariana, non sono in alcun modo effetti derivanti da essa per intrinseca necessità. La pietà mariana ne soffre: sono contro di essa, non a causa di essa. Sappiamo peraltro che quasi nessun capitolo della fede e del culto cristiani è andato esente da deviazioni più o meno gravi. Se si riflette, per esempio, alle deviazioni che la pietà eucaristica ha subito in alcuni tempi e in alcuni luoghi, si concluderà che quelle di cui ha sofferto la pietà mariana sono, a ben considerare, meno rilevanti. Ora è evidente che le alterazioni nella pietà eucaristica non sono insite nel progetto istituzionale di Cristo, sono bensì frutto della fragilità o della insipienza degli uomini. 88. Le virtù che spesso sono state sottolineate nella pietà mariana — l’umiltà, l’obbedienza, la mitezza, l’abbandono fidente in Dio, la pazienza... —, in quanto virtù di profonde radici bibliche e di cui Cristo stesso si è proposto come modello (cf. Mt 11, 29; Gv 13, 14-15), sono valide per tutti i discepoli del Signore, per gli uomini come per le donne. L’aver supposto che esse fossero ‘riservate’ alle donne rivela una mentalità maschilista, e il fatto di averle configurate come ‘virtù passive’ denuncia una visione della realtà poco conforme al Vangelo. Come pure non si può trarre, a partire dai dati evangelici relativi a Maria, alcuna indicazione per ritenere ottimale per la donna la sua realizzazione nell’ambito del focolare domestico: ciò può costituire una legittima opzione personale, può essere ritenuto un’opportunità e anche un diritto da difendere con appositi strumenti legislativi,98 ma non può essere presentato come ‘vocazione cristiana’ prioritaria nei confronti di altre scelte. Bisognerà invece seguire con attenzione gli esiti delle ricerche di esegeti e teologi, non certo sospettabili di massimalismo mariologico, i quali dallo studio dell’entroterra dei Vangeli ritengono di poter affermare che "per Gesù Maria non era semplicemente ‘madre’ nel senso più usuale del termine. Ella svolse un ruolo molto importante durante la vita del Figlio, tanto che esercitò una sua influenza anche nelle prime comunità cristiane. Dal punto di vista storico possiamo pensare che Maria fosse una personalità di primo piano".99 89.
Con l’Autore del Libro della Sapienza proclamiamo che Dio è
il "Signore, amante della vita" (11, 26); con Giovanni siamo
lieti di professare che nel Verbo "era la vita e la vita era la luce
degli uomini" (1, 4) e che Cristo, venuto perché gli uomini
"abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza" (10, 10), è
egli stesso la vita (cf. 14, 6) e la risurrezione (cf. 11, 24); con la
Chiesa confessiamo la nostra fede "nello Spirito Santo, che è
Signore e dà la vita".100 90.
Ma avvertiamo che la lode alla Sorgente della Vita costituisce per noi
un monito a collocarci dalla parte della víta, a far sì
che la pietà mariana sia essa stessa un canale di comunicazione
del messaggio di vita che il cristianesimo è chiamato ad annunciare
in ogni epoca della storia. 91. Cultura della morte sono "l’aggressione bellica, la violenza e il terrorismo" nonché il terrificante "accumulo di armi, specialmente atomiche, e lo scandaloso traffico di armamenti bellici d’ogni genere".103 Per cui, mentre associamo la nostra umile voce alle recenti condanne della guerra nucleare fatte da Giovanni Paolo II,104 dal VI Sinodo dei Vescovi, dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti e da altre Conferenze episcopali,105 ci sentiamo noi stessi spinti dalla nostra fede in Cristo, "Principe della pace" (Is 9, 5) e dalla nostra pietà verso la Vergine, Regina della pace, a percorrere, come la sola strada conforme al Vangelo, la via della non violenza, della promozione del disarmo, della conversione alla pace. 92.
Cultura della morte sono il disprezzo per la vita che si manifesta in
tanti episodi di criminalità, la scandalosa situazione di fame
per cui muoiono o contraggono gravi malattie milioni di uomini in particolare
bambini, le azioni letali condotte contro i nascituri, contro gli anziani,
contro i malati incurabili, il flagello della droga. Non è nostro
compito né nostra intenzione trattare dei problemi morali connessi
con queste situazioni umane spesso tragiche. In questa sede vogliamo solo
rilevare che dalla tradizione cultuale mariana ci giunge un invito a collocarci
serenamente e, per così dire, pregiudizialmente dalla parte della
vita. 93. La vastità e la gravità dei fenomeni cui dà luogo la cultura della morte — il pericolo della guerra nucleare, la fame nel mondo, il flagello della guerra, il razzismo, lo sterminio di popoli... — ci sgomenta e ci trascende; di fronte ad essi sentiamo di non potere contare su null’altro che sulla potenza della fede (cf. Mt 17, 19; Lc 17, 6), sull’efficacia della preghiera, sull’esempio di Colei che credette alla parola di Gabriele: "nulla è impossibile a Dio" (Lc 1, 37). La promozione della causa ecumenica 94.
Nel 1974 Paolo VI osservava: "Per il suo carattere ecclesiale, nel
culto alla Vergine si rispecchiano le preoccupazioni della Chiesa stessa,
tra cui, ai nostri giorni, spicca l’ansia per la ricomposizione dell’unità
dei cristiani. La pietà verso la Madre del Signore diviene, così,
sensibile alle trepidazioni e agli scopi del movimento ecumenico, cioè
acquista essa stessa una impronta ecumenica".109 95.
Senza dubbio alcuni punti della dottrina cattolica sulla Vergine e alcuni
aspetti della pietà mariana suscitano reazioni negative in altre
Chiese, specialmente in quelle della Riforma. Ma non si deve continuare
pigramente a ritenere che dagli inizi del movimento ecumenico ad oggi
nulla sia cambiato in questo campo. È una voce non cattolica quella
che ha dichiarato: "Oggi, invece di essere una causà di divisione
tra noi, la riflessione cristiana sul ruolo della Vergine Maria è
divenuta causa di gioia e sorgente di preghiera".110
Noi siamo persuasi che le varie Chiese cristiane si pongano in forma più
o meno trepida ed esplicita la domanda: come è possibile che noi,
uniti nella confessione di Cristo unico Signore e unica sorgente di salvezza,
siamo divisi proprio riguardo a sua Madre? E siamo pure persuasi che lo
Spirito suggerisca alle Chiese di non eludere ma di affrontare con un
serio studio il significato della figura della Vergine nella vita della
Chiesa. Una profonda conversione del cuore 96. La nostra parola vuole essere anzitutto invito ad operare in noi una profonda conversione del cuore: il movimento ecumenico farà pochi progressi tra noi cattolici se, relativamente a Maria, ci limiteremo ad attendere il ‘ritorno’ dei fratelli separati, la loro ‘conversione’ dagli ‘errori’ mariologici. Bisogna invece prima di tutto convertire i nostri cuori all’umiltà, al dialogo, al reciproco rispetto. Probabilmente nei confronti di molti nostri fratelli e sorelle, di molti laici che frequentano le nostre comunità, si deve promuovere ancora un ecumenismo ‘ad intra’: non certo per disperdere un patrimonio di fede, ma per rimuovere diffidenze e sospetti, pregiudizi e malintesi che si sono accumulati durante i secoli e che con la fede non hanno nulla a che vedere. La conversione del cuore e la capacità di ascolto sono condizioni previe per iniziare insieme un cammino verso Cristo, sotto la guida dello Spirito e il giudizio della Parola. La ‘purificazione degli occhi’ 97.
Alla conversione del cuore bisogna aggiungere quella che qui chiameremo
la purificazione degli occhi: occorre cioè che il nostro sguardo
sia talmente fisso sulla divina Parola da esserne costantemente purificato
(cf. Gv 15, 3) e reso limpido. Alla Parola ci rinviano, oltre agli insegnamenti
dei Santi Padri, gli esempi dei grandi Legislatori monastici111
e i moniti del magistero della Chiesa.112 Un atteggiamento di comprensione 98.
In questa sorta di ‘ecumenismo ad intra’, alla conversione del
cuore e alla purificazione degli occhi si deve aggiungere un atteggiamento
di ‘comprensione’ verso i fratelli separati per le difficoltà
che essi sperimentano nei confronti di alcuni punti della dottrina e della
pietà mariana della Chiesa cattolica. Questa ‘comprensione’
non è da confondere con quella strategia del ‘nascondimento
dei problemi’, che è uno dei peggiori nemici del vero ecumenismo.116
Essa affronta invece le questioni controverse, ma lo fa sforzandosi di
comprendere le ragioni altrui. 99.
Tra le Chiese d’Oriente e la Chiesa cattolica esiste un’ampia
e sostanziale convergenza riguardo alla dottrina di fede sulla beata Vergine119
e un aperto consenso sulla necessità di non trascurare la fìgura
di Maria nella riflessione teologica: "Non c’è teologia
cristiana — scrive un noto teologo ortodosso — senza un continuo
riferimento alla persona e al ruolo della Vergine Maria nella storia della
salvezza".120 100.
A noi sembra che le Chiese d’Oriente, per l’importante ruolo
che svolgono nel movimento ecumenico, possano recare un contributo decisivo
al chiarimento e all’approfondimento del senso cristiano della pietà
mariana.121 101.
Notevoli invece sono i punti di divergenza tra la Chiesa cattolica e le
Chiese della Riforma: il significato e la portata della cooperazione di
Maria all’opera della salvezza; i dogmi della Concezione immacolata
e dell’Assunzione corporea alla gloria celeste; il valore della dottrina
sulla perpetua verginità di Maria; il senso e l’ambito dell’intercessione-mediazione
della Vergine; la legittimità dell’invocazione a santa Maria.
Su questi temi è in atto un non facile confronto tra i teologi
delle varie Chiese: quel confronto vogliamo noi accompagnare con umile
e tenace preghiera perché sia il Signore a chiarire il senso profondo
di una tradizione che Roma ritiene una espressione concreta e genuina
della vita della Parola e dello Spirito nella Chiesa. 102.
Nella nostra riflessione sulla promozione del movimento ecumenico a partire
dalla pietà mariana abbiamo ristretto il dialogo a noi stessi,
ai nostri fratelli e sorelle, servi e serve di Maria: il tema è
delicato e sentiamo di non avere titoli per allargare i confini del nostro
colloquio. — se non sia giunto il momento di rimuovere ciò che alcuni teologi evangelici chiamano l’’occultamento del tema mariano’ nelle Chiese della Riforma. Al tempo dei grandi Riformatori quell’occultamento non si era prodotto: esso si produsse solo a partire dall’epoca illuministica;125 — se la pietà mariana, alla luce della Parola, non costituisca una possibilità e una opportunità offerta da Dio e radicata nel dato biblico per sviluppare la fede cristiana. * * * 103. Ma ritorniamo a noi. Alle tre consegne che ci siamo date — la conversione del cuore, la purificazione degli occhi, l’atteggiamento comprensivo — sentiamo di dover aggiungere altre due: la partecipazione cordiale agli sforzi interconfessionali che in vari luoghi si compiono per preparare il cammino dell’unione; e soprattutto l’impegno della preghiera: con Cristo e per Cristo, con la Chiesa e nella Chiesa. E là, in Cristo e nella Chiesa, ritroveremo la voce orante di Colei che anche fuori della Comunione cattolica è invocata come Vergine della riconciliazione. Comunione nella fede di Abramo 104.
Nella nostra riflessione sul mistero della frattura dell’unità
tra le Chiese, non possiamo non ricordare un’altra dolorosa frattura:
quella tra il cristianesimo e l’ebraismo. "Benché il
cristianesimo sia nato nell’ebraismo — leggiamo in un documento
recente — e abbia ricevuto da esso alcuni elementi essenziali della
sua fede e del suo culto, la frattura tra le due religioni è divenuta
sempre più profonda, fino a giungere quasi ad una reciproca incomprensione".126Tuttavia
dopo la dichiarazione conciliare Nostra aetate del 28 ottobre 1965, sono
state prese numerose iniziative "per instaurare o proseguire un dialogo
rivolto ad una migliore conoscenza reciproca".127
A tali iniziative noi ci associamo e a tale dialogo vogliamo apportare,
dal nostro angolo visuale — la pietà mariana — un modesto
contributo. 105.
Secondo la fede cristiana Dio, nella sua ammirabile ‘condiscendenza’,
ha voluto che il suo Verbo si incarnasse in una donna ebrea, Maria di
Nazareth. Per mezzo di lei e di Giuseppe, Cristo è veramente, nella
sua umanità, ebreo, della stirpe di Davide: in lui si compiono
le promesse fatte ad Abramo e ai Padri (cf. Lc 1, 54-55.69-70); lui è
in senso pieno la "gloria di Israele" (cf. Lc 2,32), come lo
saluta Simeone, e il "Figlio di Davide", come lo acclama il
popolo (cf. Mt 21,9). 106.
Analogamente, dobbiamo dire per Maria: non possiamo comprenderne pienamente
la figura e la missione senza considerare la sua condizione di donna ebrea.
E ciò non tanto né principalmente perché i dati forniti
dall’antropologia culturale e da altre scienze ci aiutano a situare
la vita di Maria in un preciso contesto sociale e storico, ma perché
solo attraverso la conoscenza della spiritualità ebraica possiamo
afferrare la fisionomia spirituale di Maria di Nazareth. 107. Ciò che per il cristianesimo è la gloria suprema di Maria — essere la madre verginale di Gesù, Verbo incarnato, Messia, Salvatore — costituisce per l’ebraismo una difficoltà umanamente insuperabile. Noi crediamo che essa sarà superata nell’ora e nel modo che Dio solo conosce. A noi, intanto, spetta il dovere della preghiera e l’obbligo di confessare con Paolo e con la tradizione cristiana che "Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio" (Rm 11, 2 ); di riflettere che "se le primizie sono sante, lo sarà anche tutta la pasta; se è santa la radice, lo saranno anche i rami" (ibid., 16); di testimoniare che gli ebrei, "quanto alla elezione, sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!" (ibid., 28-29). 108.
Alla luce della fede e con le parole stesse di una donna ebrea, Elisabetta,
noi riconosciamo nella giovane Myriam, madre di un bambino di nome Gesù,
la "Madre del Signore" (cf. Lc 1, 43 ), donna verso la quale
convergono vari vaticini e figure profetiche. 109. Una illuminata pietà verso la beata Vergine, che tante volte salutiamo nella liturgia come "Gioia di Israele" e "Figlia di Sion", non può consentire la persistenza tra i cristiani di forme più o meno larvate di antisemitismo, anzi deve suscitare un sentimento di rispetto e di stima per il Popolo ebreo; deve favorire l’amore verso il Testamento Antico, sconfessando la disattenzione di molti fedeli verso la pagina veterotestamentaria; deve influire sull’insegnamento religioso perché "ai diversi livelli [...], nella catechesi ai fanciulli ed agli adolescenti, presenti gli ebrei e il giudaismo non solo in modo onesto e oggettivo, senza alcun pregiudizio e senza offendere nessuno, ma, più ancora, con una viva coscienza della comune eredità";130 deve, infine, divenire espressione di una attesa attiva perché giunga il giorno "in cui i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e "lo serviranno sotto lo stesso giogo" (Sof 3, 9)".131 110.
Ci resta da aggiungere una parola sui fratelli musulmani. Essi, come ricorda
la dichiarazione conciliare Nostra aetate, "adorano l’unico
Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del
cielo e della terra, [...] cercano di sottomettersi con tutto il cuore
ai decreti di Dio anche nascosti, come si è sottomesso Abramo"
e "benché non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano
come profeta, ne onorano la Vergine Madre, Maria, e talvolta pure la invocano
con devozione".132 111.
Riguardo a Maria, i punti di convergenza tra il cristianesimo e l’islamismo
sono numerosi; tuttavia i punti di contrasto sono anch’essi molteplici
e gravi, a cominciare dalla negazione della maternità divina.
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